Sky & Telescope Notiziario settimanale:
Edizione straordinaria
8 agosto 1996

Marte e roccia marziana

Vita dal passato di Marte ?

di J. Kelly Beatty

Tratto da Sky & Telescope, Ottobre 1996

( Edizione italiana a cura di Mario Farina )

In alto: se il gruppo di ricercatori finanziati dalla NASA ha ragione, questo meteorite ( a destra ) delle dimensioni di una piccola zucca del peso di 1,9 kg, contiene le vestigia di vita primitiva che ha prosperato su Marte miliardi di anni fa. ALH84001, questa la denominazione ufficiale, fu scoperto in Antartide nel 1984 ed è uno dei solo 12 meteoriti marziani conosciuti. Immagini a cura della NASA-Johnson Space Center ( Immagine di Marte dal Telescopio Spaziale Hubble a cura di Philip James, Steven Lee, e NASA ).

Il 20 luglio, dipendenti della NASA vecchi e nuovi si sono riuniti a Washington D.C., per celebrare il 20° anniversario dell'atterraggio dei Viking su Marte. La missione affrontò una questione vecchia di secoli: c'è vita sul pianeta rosso ? Due moduli di atterraggio ( lander ) faticarono per mesi prima che gli scienziato giungessero alla conclusione che la superficie di Marte è completamente sterile, almeno nella zona intorno ai bracci dei lander.

Proprio mentre era in corso la riunione, altrove gli scienziati stavano dando gli ultimi ritocchi ad una radicale scoperta su Marte che, come il rombo di un tuono, avrebbe avuto eco in tutto il mondo.
Il 7 agosto, dopo due anni di accurate analisi, un gruppo di nove ricercatori ha svelato la prova che primitive forme di vita potrebbero aver abitato un pezzo di crosta marziana. Inoltre, per scovare questa pietra particolare, non si sono avventurati su Marte bensì è stata lei ad arrivare da noi, come meteorite.

Ai tempi delle missioni Viking, pochi scienziati avrebbero creduto alla possibilità che un frammento di Marte ( o della Luna ) avrebbe potuto cadere dal cielo. Ma oggi hanno accettato prontamente l'idea che queste pietre possono raggiungere la Terra dopo essere state scagliate da mondi vicini da impatti colossali. Attualmente, sono 11 quelle provenienti dalla Luna e 12 quelle da Marte (S&T: Febbraio 1996, pagina 12).

La roccia chiamata in causa dagli studiosi ha diverse storie da raccontare. Basandosi sulla quantità di raggi cosmici assorbiti durante la permanenza nello spazio, che alterano gli equilibri degli isotopi dei minerali, sembra che questa esule marziana abbia trascorso 16 milioni di anni girovagando per il sistema solare interno, prima di cadere sulla banchisa antartica di Allan Hill. Poi, dopo 13.000 anni di pace, un gruppo di ricercatori americani casualmente la trovarono, dandole in seguito l'identificativo ALH 84001. Roberta Score, una dei ricercatori, si ricordòche quella era il meteorite più verde che avesse osservato tra le centinaia ritrovati dal team in Antartide. "Ho sempre pensato che quella roccia fosse strana" dice.

La seconda storia, riguarda la confusione iniziale sull'età di ALH 84001. Per quasi un decennio, la pietra fu considerata una diogenite, una categoria di meteoriti ignee ritenute frammenti dell'asteroide Vesta. Una ulteriore analisi compiuta tre anni fa ne rivelò l'origine marziana ( S&T: giugno 1994, pagina 14 ). Seguì un frenetico crescendo di attività, quando il laboratorio chiese al mondo intero campioni da analizzare. Presto arrivarono alla conclusione e che la pietra era veramente antica, 4½ miliardi di anni e che si trattava di un campione della crosta primordiale del pianeta. Per contro il fatto che tutte le meteoriti marziane ritrovate non erano più vecchie di 1,3 miliardi di anni.

Abbiamo quindi una pietra che, virtualmente, conosce l'intera storia di Marte. Gli analisti sottilizzano su alcuni dettagli, ma sono d'accordo sul fatto che ALH 84001 deve essersi cristallizzato lentamente dal magma, che fu in seguito, tra 3,8 e 4 miliardi di anni fa, fratturato dall'urto di un impatto vicino, precedendo di un'eternità il lancio in direzione della Terra. Il campione trascorse un po di tempo immerso nell'acqua, forse impregnandosi ancora una volta di biossido di carbonio. Questa immersione consentì la formazione di piccole perle di carbonati lungo le fessure della roccia.

DOV'E' LA PROVA?

Fin da principio, i chimici del cosmo furono affascinati dallo strano aspetto dei "globuli" carbonati. Bruno-arancioni al centro, con bordi esterni chiaro-scuri, queste stratificazioni rivelano composizioni differenti ed il tipo di fluido nel quale sono precipitati. Più i ricercatori guardarono in profondità, più i carbonati diventavano sorprendenti e non ci volle molto a capire che ALH 84001 poteva dare molto di più che una testimonianza della storica geologica del pianeta Marte.

Globuli di carbonati marziani (66K gif) I "globuli" carbonati all'interno di ALH 84001, nei quali potrebbe esserci la prova dell'esistenza della vita, hanno un diametro non superiore a 250 milionesimi di millimetro ( 0,25 millimetri ). Le forme tondeggianti sono circondate da minerali ricchi di magnesio ( nero ) e ferro ( bianco ). Cortesia Science e NASA.

Nel numero di Science del 16 agosto, il gruppo guidato da David S. McKay ed Everett K. Gibson Jr. ( NASA/Johnson Space Center ) presenta le prove raccolte che questo meteorite presenta un biglietto da visita marziano e non terrestre.

Primo: l'immagine ottenuta con un microscopio elettronico a scansione rivela ammassi di forme allungate non più lunghe di 100 nanometri ( 0.00001 millimetri ) all'interno e vicino ai carbonati. Simili a minuscole collane di salsiccie, queste forme potrebbero essere semplicemente delle macchie del minerale, però presentano una forte somiglianza con i microfossili primordiali che si formarono sulla Terra 3,5 miliardi di anni fa.

Microfossili marziani ? (96K gif) Potrebbero essere microsopicili fossili di esseri viventi del passato marziano questi queste forme allungate ingrandite circa 100.000 volte ? Assomigliano fortemente agli organismi elementari che si diffusero ampiamente sulla Terra 3,5 miliardi di anni fa, anche se quelli terrestri in realtà erano 100 volte più grandi. Cortesia Science e NASA.

Secondo: il gruppo ha rilevato che i margini scuri sui noccioli di carbonati sono dovuti all'inclusione di minuscoli grani di magnetite ( Fe3O4 ) e solfato ferroso ( FeS ). I cristalli hanno una purezza ed una mancanza di difetti degni di nota oltre ad essere incredibilmente piccoli. "Potremmo metterne a miliardi sulla punta di una spilla" fa notare Kathie L. Thomas-Keprta ( Lockheed Martin ), membro del team di ricercatori. Nella maggior parte dei casi, questi composti ferrosi non coesistono, in special modo assieme ai carbonati. Alcuni batteri terrestri però, in particolare quelli di tipo anaerobico ( "che necessitano di ossigeno" ), li sintetizzano contemporaneamente e con relativa facilità.

Terzo e più importante, la scoperta che i carbonati contengono molecole organiche chiamate idrocarburi aromatici policiclici o PAH ( S&T: luglio 1995, pagina 12 ). Normalmente la loro presenza non è considerata un indicatore di attività biologica, spesso sono stati rilevati in oggetti diversi come le meteoriti ed i gas interstellari, probabilmente come conseguenza della formazione stellare. Ma, come spiega Richard N. Zare ( Stanford University ) ciò che importa è la qualità e non la quantità. " Abbiamo esaminato altri meteoriti che contengono PAH e ne è risultato che la distribuzione ( dei tipi di PAH ) di ALH 84001 è molto più semplice, molto più vicina a quella che potremmo aspettarci dalla decomposizione di materia organica.

Il leader dei ricercatori McKay ammette che nessuna di queste scoperte, da sola, offre la prova definitiva che forme di vita primitiva hanno permeato ALH 84001. Possono essere dovute tutte a meccanismi di natura puramente inorganica. Però ribadisce "La relazione tra tutti questi fattori in termini di locazione, sono stati trovati tutti nello spazio di pochi centomillesimi di millimetro l'uno dall'altro, è la prova più evidente".

Comprensibilmente, ciascuno è coinvolto, dai ricercatori alla comunità scientifica più in generale, al direttore della NASA Daniel Goldin, evindenziando la necessità di rafforzare queste conclusioni provvisorie, peraltro convincenti, con qualcosa di più inoppugnabile. Persino il Presidente Clinton ha fatto la sua valutazione, ammonendo la NASA affinché "assicuri che questa scoperta, sia sottoposta ad un ulteriore processo sistematico di accurate analisi e valutazioni".

"Non è una scienza facile" dichiara il microbiologo J. William Schopf ( University of California, Los Angeles ). Mentre il team della NASA ha dato un'argomentazione convincente che non è avvenuta nessuna contaminazione terrestre, Schops è preoccupato dal fatto che i PAH siano prodotti ovunque da un gran numero di processi non vitali e lancia un'occhiata scettica ai "microfossili" dei carbonati, 100 volte più piccoli delle loro antiche controparti terrestri.

C'è discussione inoltre su quando e come si siano formati i carbonati. Uno studio iniziale ha fissato ll'età a 3,6 miliardi di anni e questo è il dato portato avanti dalla NASA. Una datazione più recente di Meenakshi Wadwha ( Field Museum, Chicago ) e Günter W. Lugmair ( Scripps Institute of Oceanography ) però, porta provocatoriamente ad un'età più recente, tra 1,3 e 1,4 miliardi di anni. La risposta corretta potrebbe fornire una verifica importante, poichè sul suolo marziano negli ultimi 3 miliardi di anni pare non vi sia stato alcun flusso consistente di acqua ( S&T: Dicembre 1995, pagina 18 ). Wadwha e Lugmair fanno rilevare che qualche altro meteorite marziano cristallizzò 1,3 miliardi di anni fa, una coincidenza che può segnare un periodo di elevata attività di tipo vulcanica ed idrotermale su Marte.

L'ultima controversia riguarda la temperatura alla quale si formano i carbonati. Mantenere in salute i batteri avrebbe richiesto una temperatura non superiore a circa 150° Celsius, al di sopra della quale la vita non può esistere. Alcuni studi ipotizzano che i carbonati si formino, forse casualmente, da fluidi riscaldati a temperature al massimo di 80° C. Una minoranza di geochimici però, ritiene che le temperature siano almeno di 650° C. Altri sostengono che se i carbonati si formarono in condizioni favorevoli di temperatura ed umidità, una parte della roccia che li circonda dovrebbe essersi trasformata in minerali argillosi, dei quali però, non v'è traccia.

Quali che siano i risultati, ALH 84001 ha ridato forma alle nostre prospettive su Marte ed agli obiettivi delle future missioni delle sonde spaziali. Ufficialmente, i responsabili della NASA hanno adottato, nei riguardi dei risultati, un atteggiamento di "affascinato scetticismo ", lasciando alla sola comunità scientifica l'accertamento della propria credibilità. Per svariati attimi però, devono essersi sicuramente fregati le mani dalla felicità, se la spiegazione di tutta questa ipotesi speculativa si rivelasse fondata, le prospettive di un'esplorazione di Marte su scala globale sarebbero certamente molto rosee.

J. Kelly Beatty è Senior Editor della rivista Sky & Telescope ed esperto in scienze planetarie e ricerche di vita nell'universo.


Per maggiori informazioni su questa scoperta, visitate la pagina :
"Life on Mars" della Federation of American Scientists.


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