Sky & Telescope
Notiziario settimanale

9 ottobre 1998

Edizione italiana a cura di Mario Farina

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Hubble Deep Field nel'infrarosso A sinistra: (38K JPEG) Questa immagine nell'infrarosso del Telescopio Spaziale Hubble ci mostra una porzione dell'Hubble Deep Field nell'rsa Maggiore. Alcuni degli oggetti presentati, tra cui quello al centro del primo piano, non erano visibili nella precedente ripresa effettuata nella luce visibile e si ritiene siano le galassie più lontane mai osservate. Per realizzare questa immagine in falsi colori le immagini, riprese alle frequenze di 0,45, 1,1 ed 1,6 micron sono state rispettivamente colorate in blu, verde e rosso. Coartesia Rodger Thompson (University of Arizona), NASA e STScI.

L'Hubble va in profondità

Nel 1995, la fotocamera principale per le riprese nell'ottico del Telescopio Spaziale Hubble fissò per 100 ore una regione "vuota" del cielo nell'Orsa Maggiore, visualizzando migliaia di galassie remote in quella ripresa che divenne nota come Hubble Deep Field. Adesso, l'osservatorio orbitante ci ha dato un'altra occhiata, questa volta però alle lunghezze d'onda infrarosse. La Near Infrared Camera and Multi-Object Spectrometer (NICMOS) di Hubble hanno ripreso la regione del Deep Field per 36 ore catturando oltre 300 galassie a spirale, ellittiche ed irregolari in una zona di soli 20 secondi d'arco di diametro (l'Hubble Deep Field originale spaziava per 2,7 minuti d'arco). Secondo Rodger Thompson, rsponsabile della ricerca, alcuni di questi oggetti potrebbero rappresentare le più lontane galassie mai osservate, trovandosi ad oltre 12 milirdi di anni luce. Poiché le regioni più remote dell'universo appaiono estremamete spostate verso il rosso, non sorprende che la camera per l'infrarosso di Hubble possa vedere più lontano delle controparti nell'ultravioletto e nel visibile. Thompson chiarisce che alcune di quelle che, nell'immagine originale dell'Hubble Deep Field, parevano indistinte galassie blu adesso, nell'immagine del NICMOS, sono chiaramente distinguibili come brillanti noduli di stelle in formazione situati in galassie molto più grandi, vecchie e arrossate. Per maggiori informazioni ed immagini, consultate il sito Web dello Space Telescope Science Institute.


M27 vista dal VLT A sinistra: La Dumbbell Nebula nella Volpetta, conosciuta anche come M27, per gli astrofili è un oggetto familiare. In pochi però l'hanno potuta vedere così! Il primo dei quattro riflettori di 8,2 metri del Very Large Telescope è stato usato per comporre questa immagine ricavata da riprese nella luce blu, nell'ossigeno ionizzato due volte e dell'idrogeno neutro (rispettivamente nei colori blu, verde e rosso). Cortesia ESO.

Completata la prima fase di test del VLT

Gli astronomi all'European Southern Observatory non stanno perdendo tempo per mettere in funzione il loro Very Large Telescope. Il primo dei suoi quattro specchi di 8,2 metri è sottoposto al collaudo da diversi mesi e tutto continua ad andare bene. L'ultimo ha riguardato lo spettrografo che può riprendere lo spettro di tutti gli oggetti inquadrati contemporaneamente. Per ulteriori informazioni, leggete il comunicato stampa dell'ESO. O leggete l'articolo "Eyewitness View: First Sight for a Glass Giant" nel numero di novembre 1998 di Sky & Telescope.


Buco nell'ozono A sinistra: Un'enorme zona priva di ozono (in blu) sul continente antartico, è visibile in questa immagine in falsi colori del Total Ozone Mapping Spectrometer (TOMS). Le aree che progressivamente presentano concentrazioni superiori di ozono sono mostrate in giallo, arancione e rosso. Coutesia NASA/Goddard Space Flight Center.

Aumenta il buco nell'ozono

Il buco nell'ozono che annualmente si forma sull'Antartico è più grande dell'anno scorso. I dati di metà settembre della Earth Probe della NASA e del satellite NOAA-14 della National Oceanic and Atmospheric Administration presentano una zona priva di ozono che copre un'area record vasta 27,3 milioni di chilometri quadrati. Inoltre, il livello di ozono è caduto ad una piccola percentuale del valore minimo mai registrato. Per gli scienziati della NASA e del NOAA, il buco si è ingrandito a causa delle temperature stratosferiche stranamente elevate, non a per via dell'aumento dei clorofluorocarburi e degli alogenati. L'espansione in più, preoccupa anche perché espone il sud del Cile e dell'Argentina ad un aumento dei livelli di radiazione solare ultravioletta. Con le trattative internazionali in corso per la diminuzione dell'uso delle sostanze dannose per l'ozono, dall'inizio del XXI secolo non dovrebbe rappresentare più un problema.


Radio/Radar Telescopio di Arecibo A sinistra: Il telescopio di 300 metri di Arecibo è situato in una depressione naturale a Puerto Rico. I ricevitori, sospesi sulla gigantesca antenna radio, sono stati aggiornati recentemente. Cortesia Cornell University.

SETI, 4° edizione

Dopo aver sofferto, il mese scorso, qualche danno di lieve entità per il passaggio dell'uragano George, l'Osservatorio di Arecibo è tornato a far notizia. Gli scienziati della Planetary Society e dell'Università Berkley della California, il 5 ottobre hanno dato il via all'ultima campagna per la ricerca di intelligenze extraterrestri. Come i tre predecessori, il programma SERENDIP IV sonderà il cielo alla ricerca di segnali alieni mentre altri strumenti utilizzeranno il telescopio per osservazioni più tradizionali. Il nuovo ricevitore SERENDIP analizzerà 168 milioni di canali radio simultaneamente, a cavallo delle emissioni dell'idrogeno atomico a 1420 MHz che permeano l'intero cielo. Iniziato nel 1976, SERENDIP come gli altri programmi SETI, non ha ancora trovato tracce di intelligienze aliene, a dispetto di quanto dichiarano certi rotocalchi di bassa legha!


Meteore contro satelliti A sinistra: Potrebbero i meteoroidi associati allo sciame delle Leonidi colpire i satelliti in orbita terrestre? No, ma sicuramente un colpo ricevuto direttamente da un granello di sabbia che si muove alla velocità di 71 chilometri potrebbe mettere fuori uso una sonda. Si ringrazia per il disegno artistico lo Space Environments & Effects Program presso il Marshall Space Flight Center della NASA.

Diminuisce la paura per lo sciame delle Leonidi

Il 17 ed il 18 novembre le agenzie spaziali di tutto il mondo attenderanno nervosamente il possibile centro di uno degli oltre 500 satelliti attualmente in orbita terrestre. Il pericolo arriverà quando lo sciame meteorico delle Leonidi farà ritorno sui nostri cieli, portando forse un intensa pioggia meteorica con centinaia di "stelle cadenti" al minuto. Molte sonde, compreso il Telescopio Spaziale Hubble, saranno preventivamente girati per rivolgere la parte meno vulnerabile verso il potenziale arrivo del pietrisco. Per la NASA ed il Dipartimento della Difesa però, che le hanno studiate, ritengono che per le sonde orbitanti non ci sia un pericolo "serio" ma solo un pericolo "elevato". In un comunicato stampa congiunto, reso noto il 7 ottobre, stimano che nel corso delle 12 ore del massimo dello sciame, i satelliti saranno esposti ad un'energia di origine meteorica di molto superiore a quella cui sarebbero sottoposti in mesi o addirittura anni di permanenza nello spazio. Il pericolo resta relativo anche perché, nonostante tutto, la maggior parte dei satelliti trascorre l'intera vita operativa senza mai presentare problemi elettrici o fisici dovuti a colpi ricevuti da meteore. Gli operatori delle sonde sperano quindi di poter trascorrere una notte tranquilla.

Gli astrofili invece, l'otto ottobre attendevano il ritorno dello sciame meteorico delle Giacobinidi. Questo sciame, originato dalla cometa Giacobini-Zinner, è a riposo da tempo ma ha prodotto due delle pioggie meteoriche più grandi di questo secolo: quella del 1933 e quella del 1946. Sono trascorsi molti anni senza che ritornassero ma il 1998, con la cometa relativamente vicina al punto in cui interseca l'orbita terrestre, gli astronomi avevano previsto una pioggia potenzialmente intensa. I primi rapporti ricevuti da Sky & Telescope dagli Stati Uniti e dall'Europa occidentale, lasciavano intendere che, molto semplicemente, le Giacobinidi non si erano materializzate ma i successivi provenienti dall'Europa orientale e dall'Asia, in particolar modo da Giappone e Cina, hanno reso chiaro il fatto che un incrmento c'è stato. Al massimo, intorno alle ore 13-14 Tempo Universale del giorno 8, il tasso orario zenitale (ZHR) delle meteore superava quota 500 (lo ZHR è il numero di meteore che un singolo osservatore vedrebbe in un'ora se il cielo fosse abbastanza scuro da rendere visibili le stelle di magnitudine 6,5 ed il radiante dello sciame, o punto apparente della sua origine, fosse allo zenith, cioé direttamente sopra la testa). Per ulteriori informazioni, consultate il sito Web dell'International Meteor Organization (http://www.imo.net/) e della Dutch Meteor Society (http://home.wxs.nl/~dms-web/).


La cometa Williams A sinistra: L'astrofotografo australiano Gordon Garradd ha realizzato questa immagini in falsi colori ella cometa Williams la notte del 18 settembre utilizzado un riflettore di 45 cm f/5.4 ed una camera CCD AP-7 esponendo per 20 secondi. Il campo inquadrato misura 17 minuti d'arco quadrati, il nord è in alto. Nelle ultime settimane la coda della cometa è aumentata di luminosità ed ora è visibile, visualmente, con il telescopio. © 1998 Gordon Garradd.

La Williams punta a nord

La scorsa settimana, la cometa Williams (C/1998 P1) ha attraversato il confine del Centauro passando nella costellazione dell'Idra. Pur essendo la cometa più luminosa del cielo, di 8° magnitudine, resta è essenzialmente un oggetto osservabile solo dall'emisfero sud. Per una carta celeste con l'ubicazione della cometa consultate la pagina Web di Dale Ireland. Secondo Charles Morris (Jet Propulsion Laboratory), dalla fine di novembre la cometa sarà di 10° e visibile da entrambi gli emisferi. Ecco le posizioni della cometa Williams per l'ora 0 Tempo Universale (coordinate riferite al 2000) per la prossima settimana:

Cometa C/1998 P1 A.R. Dec.
10 ottobre 13h 30m -29.1°
12 ottobre 13h 30m -28.7°
14 ottobre 13h 30m -28.2°


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