Il Notiziario di
Sky & Telescope

Edizione italiana a cura di Mario Farina

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La rivista indispensabile di astronomia

Giovedi 15 aprile

A sinistra: Il sistema planetariodi Upsilon Andromedae. Le orbite verdi con i puntini sono quelle delle conponenti b, c e d. I cerchi tratteggiati indicano le orbite di Mercurio, Venere, la Terra e Marte, per dare una scala di paragone. Giove apparirebbe esternamente ai bordi di questo schiema. Schema di Sky & Telescope.

Scoperto un sistema solare con tre pianeti

Si è aperto un nuovo capitolo nella scoperta di pianeti in orbita intorno ad altre stelle. Oggi, due gruppi di ricercatori hanno annunciato di aver trovato le prove evidenti che non meno di tre pianeti giganti orbitano intorno alla stella Upsilon Andromedae, un astro simile al Sole. Gli annunci di singoli pianeti giganti in orbita intorno ad altre stelle è ormai quasi una routine, sono infatti almeno 20 i pianeti attualmente noti. Un sistema solare multiplanetario supera una nuova barriera.

La scoperta è stata fatta da due veterani della ricerca di pianeti extrasolari R. Paul Butler (Anglo-Australian Observatory) e Geoffrey Marcy (San Francisco State University) e, indipendentemente, dal team AFOE insieme all'Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics. Entrambe le scoperte sono state fatte monitorando i piccoli cambiamenti nella velocità radiale (lungo la nostra linea di vista) provocati dall'orbitare dei pianeti intorno alla stella.

L'esistenza del pianeta più interno di Upsilon Andromedae è nota da un paio di anni: si tratta di una sorta di "Giove caldo" che gira molto vicino alla stella ogni 4,6 giorni. Per rilevare i cambiamenti ciclici nella velocità radiale della stella causati dagli altri due corpi è stato necessario un arco di tempo maggiore.

I responsabili dei cambiamenti sarebbero due "super-Giove" Uno avrebbe una massa pari a 2,1 Giove e gira intorno alla stella ogni 241 giorni in un'orbita legermente eccentrica. Se appartenesse al nostro sistema solare, si troverebbe tra Venere e la Terra. L'altro corpo è più massiccio, misura almeno 4,6 Giove e percorre un'orbita ellittica in 1260 giorni, ad una distanza superiore a quella di Marte dal Sole.

La prima domanda balzata alla mente degli astronomi sentendo questa notizia è se tre pianeti massivi così vicini alla loro stella possano essere stabili. La risposta è si! Simulazioni eseguite al computer da Gregory Laughlin (University of California at Berkeley) mostrano che la configurazione di Upsilon Andromedae dovrebbe durare per miliardi di anni. In altre circostanze, pianeti giganti troppo vicini tra loro potrebbero perturbarsi reciprocamente le orbite in modo caotico e forse anche intrecciarle ed alla fine, uno o due pianeti sarebbero espulsi dal sistema e l'ultimo resterebbe in un'orbita molto eccentrica.

Upsilon Andromedae stessa (tipo spettrale F8) è poco più grande, calda e massiva del Sole ed è tre volte più luminosa. Si trova a 44 anni luce di distanza ed ha un'età stimata in circa 2,6 miliardi di anni, poco più della metà di quella del nostro Sole e del nostro sistema solare. Ha una magnitudine di 4,1, è quindi appena visibile in cielo ad occhio nudo.

Ulteriori informazioni sulla scoperta sono disponibili al sito di Marcy: Extrasolar Planet Search page ed all'AFOE team Web site. L'ultimo sito contiene delle animazioni sul confronto tra il sistema di Upsilon Andromedae ed il nostro.


Mercoledi 14 aprile

A sinistra: L'immagine grande è una ripresa nella radiazione X (rosso) della regione intorno alla galassia M101, sovrapposta ad una ripresa nel visibile (blu). Molte delle sorgenti X visibili sono quasar sullo sfondo o stelle binarie interagenti. Due però sono bolle di gas che si espandono con un'energia pari rispettivamente a quella di 10 e 100 supernovae. Insets: Queste immagini nella luce visibile in falsi colori sono state realizzate colorando la luce dello zolfo ionizzato in rosso, le emissioni dell'idrogeno alfa in verde e la luce bianca in blu. Si ringraziano Y.-H. Chu, R. Fesen, D. Matonick, e Q. D. Wang. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Le potendi onde d'urto ci raccontano la storia dell'esplosione di un' "ipernova"

Cosa c'è di più dirompente di una supernova? Qualcosa c'è, anche se esattamente nessuno sa cosa sia. L'astronomo Q. Daniel Wang dell'Università del Nord-ovest ha annunciato di aver scoperto la prima chiara prova di una "ipernova": esplosioni stellari con un'energia 100 volte superiore a quella di una supernova. Le energie in gioco hanno valori simili a quelli dei lampi gamma cosmici, le cui potenze hanno intimorito e confuso gli astronomi negli ultimi anni. Sono in molti ora a sospettare che gamma-ray bursts ed ipernove siano la stessa identica cosa.

La prova di Wang consiste in due bolle di gas in espansione scoperte in un'immagine in profondità della galassia M101 ripresa con il satellite Rosat nella radiazione X. Queste bolle sono così grandi e massive e si espandono così velocemente (almeno 350 chilometri al secondo in uno dei casi) che solo la forza delle loro onde d'urto supera l'energia di una supernova.

Una delle bolle si trova in una zona nota come NGC 5471B. Ha circa 30.000 anni, misura 200 anni luce ed ha un'energia cinetica (del moto) 10 volte superiore a quella prodotta da una supernova. L'altra, denominata MF83, ha circa un milione di anni, 850 anni luce luce di diametro ed è 10 volte più potente. Le scoperte sono state annunciate da Wang martedi, il resoconto completo apparirà il 20 maggio su Astrophysical Journal Letters.

Sebbene nessuno sappia esattamente come si sviluppi un'ipernova, si ritiene sia la fase finale di una stella molto massiva che collassa improvvisamente per formare un buco nero. Se il buco nero ruota abbastanza rapidamente ed ha un campo magnetico sufficientemente intenso, come occasionalmente può capitare, l'ammontare dell'energia può essere fornito dalla rotazione ed espulso dalla parte del materiale più vicina al buco nero. Questo processo avrebbe luogo nel giro di pochi secondi, un tempo simile alla durata dei lontani gamma-ray bursts.

Se ipernovae e lampi gamma sono lo stesso fenomeno, lo studio delle prime potrebbe rivelare molto sui misteriosi bursts, anche relativamente alla loro frequenza, sui loro progenitori e se dirigono la loro energia in tutte le direzioni o, come sospettano sempre più gli astronomi, in un raggio che solo occasionalmente punta verso la Terra.


Martedi 13 aprile

A sinistra: Immagine artistica di un buco nero di "medie dimensioni" circondato da un vasto disco di materiale in caduta. Il buco nero stesso non è più grande della nostra Luna. Si ringrazia NASA/Goddard Space Flight Center. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Un peso medio nei buchi neri

Sino ad ora, i buchi neri erano solo di due tipi: quelli di massa stellare, creati da stelle giganti esplose come supernovae e supermassivi, formatisi probabilmente nelle fasi iniziali dell'universo e scoperti nei nuclei galattici. Finalmente gli astronomi hanno scoperto le tracce di un oggetto di massa intermedia, da 100 a 10.000 masse solari equivalenti. Edward Colbert e Richard Mushotzky (NASA/Goddard Space Flight Center) hanno studiato le emissioni X provenienti da oltre tre dozzine di galassie vicine rilevate dal Rosat e dalla sonda Advanced Satellite for Cosmology and Astrophysics (ASCA). In maniera simile, Andrew Ptak e Richard Griffiths (Carnegie Mellon University) hanno esaminato i dati dell'ASCA della galassia irregolare M82. Entrambi i gruppi hanno scoperto che le impronte dei raggi X negli spettri provenienti dai gas e dalle polveri in caduta nel buco nero sono dovute a buchi neri di dimensioni intermedie. Come si formino questa specie di buchi neri gli astronomi esattamente non lo sanno ma l'ipotesi più attendibile al momento è che aumentino gradualmente di dimensioni man mano che buchi neri di massa stellare collidono e si fondono. I risultati verranno pubblicati rispettivamente su Astrophysical Journal ed Astrophysical Journal Letters,.


Venerdi 9 aprile

A sinistra: Una luminosa perseide sfreccia attraverso Orione la mattina del 12 agosto 1997. Wally Pacholka di Long Beach, in California, ha realizzato questa immagine dal Joshua Tree National Park. ©1997 Wally Pacholka. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

A caccia di meteore in pallone

Sabato 10 aprile, gli studiosi della NASA sperano di lanciare un pallone sonda nella speranza di raccogliere polvere meteorica. Un esperimento simile venne condotto nel novembre scorso durante il picco dello sciame delle Leonidi ed ora i ricercatori vogliono compiere un volo di verifica in un periodo di bassa attività meteorica per poter meglio valutare i dati acquisiti in precedenza. Il pallone rimarrà nella stratosfera, a 30 km di altezza, per 2-3 ore raccogliendo polvere utilizzando un sistema simile a quello a bordo della sonda Stardust. La missione dovrebbe iniziare alle 21:00 TU. Il video, registrato da una telecamera a bordo del pallone, verrà trasmesso in diretta su Internet (e replicato in seguito) dal sito web Star Trails Society del Marshall Space Flight Center della NASA.


Venerdi 9 aprile

A sinistra: Lo stato del New Mexico ora ha una severa legge contro l'inquinamento luminoso. Per ulteriori informazioni sulle battaglie in corso per tenere buie le notti, leggete l'articolo Light Pollution page.

Il New Mexico contro l'inquinamento luminoso

Il 6 aprile, il Governatore del New Mexico Gary E. Johnson, con la sua firma ha posto in vigore la nuova legge sull'inquinamento luminoso. La Rappresentante dello Stato Pauline K. Gubbels introdusse, nel gennaio scorso, il Night Sky Protection Act al fine di "regolare i limiti delle illuminazioni esterne per preservare e migliorare il cielo notturno dello Stato e contemporaneamente promuovere la sicurezza, la conservazione dell'energia e la salvaguardia dell'ambiente per l'astronomia". Tutte e due le camere legislative hanno approvato la legge con largo margine. Questa sancisce che gli apparecchi per l'illuminazione esterna di potenza superiore a 150w debbano essere schermati oppure spenti dalle ore 23:00 sino al sorgere del Sole. Inoltre, dal 1 gennaio 2000, le lampade ai vapori di mercurio non potranno essere vendute o installate. Per maggiori informazioni, cliccate su questo indirizzo: http://www.seeNstars.org/lights/.


Giovedi 8 aprile

A sinistra: L'enigmatica stella binaria WR104, in questa immagine ripresa nel vicino infrarosso con il telescopio Keck I di 10 metri sulla somità del Mauna Kea, presenta delle polveri che si allontanano a spirale come l'acqua emessa da un getto sprinkler (un particolare diffusore utilizzato negli impianti antincendio NdT). L'immagine ha un campo di 0,25 secondi d'arco. Si ringrazia Peter Tuthill. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Una strana stella a spirale

Sembra un paradosso ma gli astronomi di Berkeley, l'Università della California, hanno osservato più dettagli eliminando la maggior parte della luce che colpisce lo specchio primario del telescopio Keck di 10 metri. Come viene spiegato dettagliatamente nel numero odierno della rivista Nature, Peter Tuthill, John Monnier e William Danchi hanno puntato il Keck I su WR104, una stella di magnitudine 13 del tipo Wolf-Rayet nella costellazione del Sagittario. Alla luce, però, hanno permesso di passare solo attraverso 36 piccole aperture e le frange di interferenza formatesi sono state analizzate con un programma sviluppato in origine per le reti di radiotelescopi. Ciò ha permesso di raggiungere una risoluzione di circa 0,02 secondi d'arco, cioé dozzine di volte superiore a quella delle immagini convenzionali.

Oltre ad aver raggiunto un risultato tecnologicamente importantissimo, Tuthill e colleghi potrebbero aver inoltre risolto un mistero dell'astrofisica: WR104 sembrava espellere molta polvere ma nessuno sapeva come questa potesse sopravvivere alla spinta della radiazione emessa dall'astro. Le nuove immagini del Keck ci mostrano che la polvere viene emessa continuamente dalla stella ed allontanata con un percorso a spirale. Ciò avvalorerebbe una teoria del 1997 secondo la quale la polvere si addensa laddove i venti delle particelle provenenti da WR104 si scontrano con quelli di una seconda stella compagna.


Mercoledi 7 aprile

A sinistra: Le riprese che hanno reso possibile la realizzazione di questa immagine a tre colori compositi della galassia NGC5090A (a destra) ed NGC5090B nel centauro sono state effettuate dal telescopio di 8,2 metri Kueyen il 29 marzo. In questa immagine, che ha un campo di 1,5 secondi d'arco, il nord è in alto e l'est a sinistra. Si ringrazia l'ESO. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

La prima immagine dal Kueyen

Oggi l'European Southern Observatory ha presentato la prima immagine astronomica realizzata dal telescopio Kueyen, il secondo riflettore di 8,2 metri (denominato 2° Unità Telescopica) del Very Large Telescope in Cile. La ripresa, che ha una risoluzione massima di 0,05 secondi d'arco, comprende l'ammasso globulare M68 e diverse galassie. L'ESO ha inoltre annunciato che il primo telescopio del VLT, chiamato Antu, è stato definitivamente completato e dal primo di aprile è in grado di effettuare le osservazioni proposte dagli astronomi. Per ulteriori immagini del Kueyen, leggete il comunicato stampa sul sito web dell'ESO.


Lunedi 5 aprile

A sinistra: Con questa immagine CCD, l'astrofilo canadese Paul Boltwood ha ripreso degli oggetti sino ad oggi solo alla portata di telescopi come quello di 5 m dell'Osservatorio Palomar. Copyright 1998 Paul Boltwood. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Il cielo profondo degli astrofili

Il lavoro di un astrofilo canadese ha provato che gli amatori possono osservare il cielo a profondità raggiungibili, sino ad una generazione fa, solo dagli osservatori professionali. L'anno scorso, sulla rivista Sky & Telescope, l'astronomo Bradley E. Schaefer (Università di Yale) sfidò gli astrofili a riprendere un'immagine dell'universo che raggiungesse la massima profondità possibile. L'area prescelta come obiettivo da Schaefer era una piccola regione nella costellazione del Serpente, nella zona dove sperava di identificare la galassia da cui, nel gennaio 1996, avrebbe avuto origine un gamma-ray burst. Il vincitore della Deep-Field Challenge, nominato "Re del Profondo Cielo", è Paul Boltwood di Ottawa, in Canada. La sua immagine, ripresa con una camera CCD montatata su un riflettore newton di 40 cm f/4.78, ha ripreso stelle sino alla magnitudine 24,1, risultato che fa superare il limite fotografico del telescopio di 5 metri sulla sommità di Monte Palomar. Per ulteriori dettagli sull'immagine vincitrice e su come è stata realizzata, leggete il numero di maggio di Sky & Telescope (a pagina 126) o visitate la pagina web AstroPhotos di Boltwood.


Venerdi 2 aprile

A sinistra: Sebbene nel dicembre scorso la sonda Near Earth Asteroid Rendezvous della NASA non sia riuscita ad entrare in orbita intorno all'asteroide 433 Eros, avrà un'altra possibilità di conseguire il suo obiettivo il 14 febbraio del 2000. Si ringrazia il Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Le misure di Eros

Se le cose fossero andate come previsto, ora la sonda della NASA Near Earth Asteroid Rendezvous starebbe orbitando molto prossima all'asteroide 433 Eros. Il 20 dicembre scorso però, l'accensione pasticciata di un razzo gli ha fatto mancare mancare l'appuntamento con il suo obiettivo. Il non voluto flyby non è stato, comunque, privo di risultati scientifici. Secondo il ricercatore Joseph Veverka, la NEAR ha realizzato delle riprese sufficientemente valide da permettere di risolvere delle caratteristiche superficiali di almeno 400 m di larghezza. Ricordiamo che l'asteroide ha una forma estremamente allungata e misura 33 x 13 x 13 km. Aggiunte Veverka che il passaggio è stato sufficientemente ravvicinato (3,827 km) e lento (965 metri al secondo) da alterare leggermente la traiettoria della NEAR. La deviazione è appena percepita dalle stazioni a Terra ma ha permesso gli specialisti di determinare la massa di eros, pari a 7 trilioni di tonnellate, e la densita, prossima a 2,5 grammi per centimetro cubico. Un valore, quello della densità, molto prossimo a quello dell'asteroide 243 Ida e molto più elevato di quello di 253 Mathilde, il cui interno sembra molto poroso. Un'attenta ricerca ha evidenziato la mancanza di satelliti di dimensioni superiori a 50 m di diametro.


Venerdi 2 aprile

A sinistra: La nebulosa Tarantola, nella Grande Nube di Magellano, è illuminata dalla radiazione dell'ammasso di stelle visibili in basso a destra. Si ringrazia l'Hubble Heritage Team (AURA/STScI/NASA). Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

La Tarantola in primo piano

Un'altro tassello di universo è stato posto ieri sotto i riflettori dell' Hubble Heritage Project. Lo Space Telescope Science Institute ha rilasciato un'impressionante immagine del cuore della Nebulosa Tarantola, una nube iridescente di gas nella Grande Nube di Magellano, una galassia satellite della nostra Via Lattea visibile dall'emisfero australe. L'immagine mostra l'ammasso di stelle massiccie, denominato Hodge 301. Secondo gli astronomi, è così vecchio che molte delle sue stelle hanno già superato la fase della fusione dell'idrogeno e sono esplose come supernovae. I veloci flussi di gas hanno generato delle onde d'urto nella nebulosa circostante, creando le intricate strutture visibili nella foto. Hodge 301 ha ancora qualche stella supergigante rossa, destinata a trasformarsi presto in supernova.


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