Il Notiziario di
Sky & Telescope

Edizione italiana a cura di Mario Farina

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La rivista indispensabile di astronomia

I team di Hubble e della Cassini al lavoro su Giove

L'All-Sky Optical SETI Observatory

Altri quattro satelliti per Saturno

Hubble osserva le Pleiadi

Sedimenti marziani: sono fondali di antichi laghi o li ha portati il vento?

Un gigante nella Fascia di Kuiper?


 

Venerdi 15 dicembre

A sinistra: L'Hubble Space Telescope Imaging Spectrograph (STIS) ha svelato un'intensa attività aurorale sul polo nord di Giove. L'immagine, rirpesa il 26 novembre 1998, presenta anche le "impronte" sull'aurora dei tre maggiori satelliti. Sono gli artefatti dei campo elettrico generato dal passaggio dei satelliti nella magnetosfera del pianeta. Quella di Io è l'impronta più luminosa ed è visibile lungo il limbo sinistro; quella di Ganymede è vicina al centro dell'immagine e quella di Europa è appena al di sotto di quella della precedente. Cortesia NASA/ESA, John Clarke (University of Michigan). Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

I team di Hubble e della Cassini al lavoro su Giove

La giornata di ieri ha segnato l'inizio di una campagna osservativa di due settimane dell'Hubble Space Telescope e della sonda Cassini per monitorare l'attività aurorale di Giove. La Cassini, in viaggio verso Saturno che raggiungerà nel 2004, è prossima al pianeta gigante e gli scienziati vogliono trarre il massimo vantaggio da questa opportunità. La sonda, infatti, transiterà a 9,8 milioni di chilometri da Giove il 30 dicembre. Poco dopo il flyby, inizieranno le doppie osservazioni, con Hubble che riprenderà il lato di Giove in cui è giorno e la Cassini quello opposto. Gli astronomi sperano di arrivare ad una migliore comprensione dell'interazione tra il vento solare ed il suo campo magnetico realizzando un modello dell'aurora. Per illustrare cosa osserverà Hubble, lo Space Telescope Science ha reso pubblica una ripresa dettagliata del polo nord di Giove circondato dall'aurora. Per maggiori informazioni, leggete il comunicato online e visitate la pagina Jupiter Auroral Campaign.

— Stuart J. Goldman —

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Mercoledi 13 dicembre

A sinistra: Il progetto per l'All-Sky Optical SETI Observatory. Una costruzione con il tetto scorrevole ospiterà un telescopio a corta focale di 1,8 m che cercherà dei brevi impulsi luminosi provenienti dalle altre stelle. l telescopio sarà puntato permanentemente sul meridiano e si muoverà solo verso nord o sud. La rotazione terrestrefornirà il movimento est-ovest. Cortesia Paul Horowitz. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

La survey ottica a tutto cielo del SETI

Sta par partire un nuovo tipo di ricerca di vita intelligente: Paul Horowitz (Harvard University) ed i suoi allievi Andrew Howard e Chip Coldwell hanno iniziato la costruzione di un particolare telescopio di 1,8 metri che esaminerà più di metà della sfera celeste alla ricerca di impulsi laser estremamente brevi provenienti da altre civiltà.

Studi recenti indicano che i laser potrebbero essere efficienti quanto le radio per la comunicazione interstellare. Seguendo questa nuova idea, sono già in corso diversi nuovi progetti ottici del SETI (tra cui uno del gruppo di Horowitz) o sono in costruzione. Questi hanno però obiettivi "mirati" alla ricerca in una lista su poche migliaia di stelle al massimo. La nuova survey ottica darà una breve occhiata ad almeno qualche centinaio di milioni di astri.

Lo specchio principale del telescopio avrà una bassa qualità ottica ma il cuore dello strumento saranno due serie parallele di 1024 fotomoltiplicatori ad alta velocità che osserveranno un campo di 1,6 gradi per 0,2 alla volta. Solo recentemente sono stati realizzati simili dispositivi che riusciranno a risolvere impulsi della durata di un nanosecondo (un miliardesimo di secondo). Qualsiasi impuso di così breve durata proveniente dalle stelle sarebbe chiaramente di origine artificiale e rappresenterebbe un efficace metodo di comunicazione per distanze dell'ordine degli anni luce.

Il progetto, del costo di 350.000 dollari, è finanziato dalla The Planetary Society. Metà dell'ammontare è stato offerto come donazione da David Brown, il resto verrà raccolto dai suoi membri.

Horowitz ha spiegato che lo strumento esaminerà ogni punto in più di metà della sfera celeste per almeno 48 secondi ogni 150 notti osservative. Sonderà l'intero cielo da una declinazionedi +60 a –20 gradi, una zona che comprende più di età della Via Lattea visibile. Se tutto anfrà bene, le osservazioni potrebbero iniziare alla fine del 2001 o nel 2002.

Tutti i dettagli del progetto sono leggibili in formato PDF in un documento di Howard, Horowitz e Coldwell.

— Alan MacRobert —

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Venerdi 8 dicembre

A sinistra: Nell'originale di questa immagine del Voyager 2 sono visibili 4 satelliti di Saturno. La telecamera della sonda ha mancato di osservare altre 10 lune minori scoperte negli ultimi mesi dagli osservatori terrestri. Cortesia NASA/JPL. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Altri quattro satelliti per Saturno

Lo spazio intorno a Saturno forse non sarà affollato come le strade nei giorni precedenti il Natale ma il numero degli oggetti che vi orbitano aumenta sempre. Ieri infatti gli astronomi hanno annunciato la scoperta di altri quattro piccoli satelliti. I nuovi oggetti, tutti tra la magnitudine 13 e 24, erano stati avvistati il 23 settembre dagli esperti Brett Gladman (Osservatorio di Nizza) e J. J. Kavelaars (McMaster University) con il telescopio di 3,6 metri franco-canadese-hawaiano. Successive osservazioni effettuate alla fine di novembre da altri membri del team di Gladman hanno confermato le scoperte, che portano il numero totale dei satelliti a 28. Al momento non sono note le orbite e per ora sono stati designate da S/2000 S 7 sino a S/2000 S 10. Verso la fine del mese sono previste ulteriori osservazioni ma le piccole lune occupano, probabilmente, varie orbite tra normali e retrograde. Il team continua, oltretutto, a seguire altre candidate, "Nel corso dell'ultimo anno e mezzo, il numero dei satelliti (o candidati satelliti) dei pianeti esterni giganti è più che raddoppiato" osserva Brian G. Marsden del Minor Planet Center della IAU. I dettagli delle nuove scoperte sono apparsi sulle Circolari 7538 e 7539.

— J. Kelly Beatty —

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Giovedi 7 dicembre

A sinistra: L'Hubble Space Telescope ha rivelato la presenzsa di sottili grumi e filamenti nella Nebulosa Barnard di Merope (IC 349) nelle Pleiadi. Cortesia NASA ed Hubble Heritage Team. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Hubble osserva le Pleiadi

L'Hubble Space Telescope ha ripreso questo primo piano all'interno di uno degli oggetti più familiari dell'emisfero settentrionale invernale: l'ammasso stellare delle Pleiadi. L'immagine, realizzata da George Herbig e Theodore Simon (Università delle Hawaii) con la Wide Field and Planetary Camera 2 di Hubble il 19 settembre 1999, mostra dei ciuffi nebulosi a soli 30 secondi d'arco dalla stella Merope (l'astro si trova in alto appena al di fuori del fotogramma). Sebbene si pensa che le Pleiadi abbiano solo 80 milioni di anni, il gas e la polvere che le avviluppanon non sono ciò che rimane della loro formazione. La nube sembra appena transitata nei suoi pressi e la parte inquadrata sembra erosa dalla luce della stella che si trova ad appena 0,06 anni luce di distanza. E. E. Barnard scoprì parti molto più vaste della nube di Merope nel XIX secolo che ora sono state denominate con la sigla IC 349. Per ulteriori informazioni leggete il comunicato stampa online.

Le Pleiadi possono essere facilmente osservate ad occhio nudo alte verso est in queste serate sopra il luminoso Giove. Senza alcuno strumento potreste riuscire ad osservare sei Pleiadi mentre un binocolo o un telescopio ne riveleranno altre dozzine. Il giallo Saturno si trova alla loro destra e l'arancione Aldebaran è sotto Giove. Per aiutarvi a muovervi nel cielo notturno, consultate la carta celeste del nostro Cielo del Mese.

— Stuart J. Goldman —

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Lunedi 4 dicembre

Due esempi di stratificazioni di sedimenti marziani, osservati dal Mars Global Surveyor. A sinistra: Colline a scalini scoperte all'interno di un cratere da impatto nell'Arabia Terra occidentale. A destra: Terrazzamenti erosi all'interno di Candor Chasma, uno dei canyon centrali della Valles Marineris. Cortesia Malin Space Science Systems e Science. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Sedimenti marziani:
sono fondali di antichi laghi o li ha portati il vento?

Stando alle nuove immagini, Marte ha avuto un clima che ha portato alla formazione di stratificazioni di tipo sedimentario all'interno di crateri e canyon lungo buona parte della fascia centrale del pianeta. In alcuni casi si possono contare centinaia di signoli letti che occasionalmente hanno creato ammassamenti di strati chiari e scuri alternati di 2-4 chilometri di altezza. Nella regione nota come Terra Meridiani i sedimenti si estendono, senza soluzione di continuità, per centinaia di chilometri.

Come hanno chiarito dettagliatamente Michael C. Malin e Kenneth S. Edgett nel numero dell'otto dicembre della rivista Science, gli strati possono essere spiegati con due scenari climatici estremamente differenti. "Il primo modello, peraltro quello preferito, fa pesantemente riferimento al confronto con la Terra per rievocare un pianeta ed un ambiente in cui è stata presente sulla superficie acqua allo stato liquido" hanno detto. Quindi i sedimenti si sono formati prevalentemente in aree dove l'acqua avrebbe teso a raccogliersi.

L'altro scenario, che Malin e Edgett considerano "una spiegazione plausibile ma applicabile solo su Marte" fa riferimento ai tempi in cui l'atmosfera del pianeta era densa al punto da muovere e depositare grandi quantità di polvere. Per esempio è noto che l'inclinazione polare oscilla tra 15° e 35° ogni 100.000 anni, un ciclo che probabilmente induce drastici cambiamenti nella pressione atmosferica e nel clima a causa della vaporizzazione e la ridistribuzione dei ghiacci della sottile calotta polare. In quei periodi, il pianeta potrebbe aver conosciuto violente tempeste di sabbia oppure l'atmosfera potrebbe aver favorito il trasporto di ceneri vulcaniche o di detriti da impatto.

"Pensiamo che entrambi i modelli abbiano una qualche validità" ha detto Malin a Sky & Telescope, "altrimenti non li avremmo esposti".

Anche se l'età della superficie di Marte è notoriamente difficile da stimare, i due ricercatori ritengono che la maggior parte dei sedimenti siano riconducibili alle prime fasi della sua storia, tra 3,5 e 4,3 miliardi di anni fa. Le prove a favore di questa ipotesi però sono deboli, ha ammesso lo stesso Malin. Infatti Nathalie Cabrol (NASA/Ames Research Center) e colleghi hanno fatto uso delle immagini dei Viking per identificare circa 200 crateri marziani con sedimenti simili a quelli presenti sui fondali dei laghi, ritenendoli molto più recenti ovvero di poche centinaia di milioni di anni fa. "Andrei cauta con l'affermare che siano tutti antichi" avverte la Cabrol. "A quale agente atmosferico sarebbero stati esposti recentemente tutti questi strati? E come avrebbe agito? Potrebbero essere più recenti di quanto stimato da Malin ed Edgett oppure ultimamente è successo qualcosa su Marte che li ha esumati".

I sedimenti del cratere vanno solo ad aggiungersi al nuovo, e molto più confuso di prima, quadro di Marte che sta emergendo dai dati della sonda Mars Global Surveyor. Quando un'osservazione suggerisce che il pianeta rosso un tempo era più caldo ed umido un'altra (come quella sulle vaste aree di olivina) fa ritenere che da lungo tempo vi siano condizioni di clima freddo e secco. "Possiamo avvertire che le immagini di Marte raccontino quanto la storia di questo pianeta sia piuttosto complicata" nota Edgett, "e di quanto possano essere profonde le implicazioni a riguardo".

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Venerdi 1 dicembre

A sinistra: Una delle immagini di un nuovo, e potenzialmente molto grande, oggetto nella lontana Fascia di Kuiper scoperto il 28 novembre. Cliccate sull'immagine per vedere l'animazione. Cortesia Project Spacewatch.

Un gigante della Fascia di Kuiper?

Di solito, la scoperta di un puntino di ventesima magnitudine non è causa di molta eccitazione ma quello trovato il 28 novembre è un caso a parte. Se i calcoli preliminari saranno confermati da altre osservazioni, l'oggetto denominato 2000 WR106 potrebbe avere un diametro pari a quello di Cerere, il più grande tra gli asteroidi conosciuti. E' stato localizzato per la prima volta a circa 1½° a sud della stalla Epsilon Geminorum a Robert S. McMillan ed in seguito da Jeffrey A. Larsen (Università dell'Arizona) con lo Spacewatch telescope di 0,9 metri sul Kitt Peak. L'hanno notato osservando lo spostamento in fotogrammi successivi dallo schermo del computer, un movimento troppo lento per essere rivelato dal programma di rilevamento automatico dello Spacewatch.

Le dimensioni dell'oggetto, al momento, sono molto incerte in parte perché gli astronomi non sono sicuri certi della sua distanza dal Sole. Per ora stimano che si trovi a 43 unità astronomiche (6,4 miliardi di chilometri), il che significa che è un oggetto della Fascia di Kuiper (KBO), oltre l'orbita di Plutone. A questa distanza, un oggetto impiega circa tre secoli per compiere un'orbita intorno al Sole per cui gli astronomi dovranno osservarlo per molte settimane o mesi prima di comprenderne le vere caratteristiche orbitali. Secondo Brian G. Marsden (IAU Minor Planet Center), è difficile praltro che la distanza stimata possa cambiare di molto.

Un altro dato sconosciuto è l'albedo, ovvero la riflettività, della sua superficie. Se 2000 WR106 fosse luminoso come Plutone o Caronte il suo diametro non supererebbe i 250 km, una dimensione simile a quella di Vesta. Potrebbe però essere vero l'opposto: "Molti pensano che i KBO abbiano un'albedo simile a quella dei nuclei delle comete, cioè che siano molto scuri" ha detto William J. Romanishin (Università dell'Oklahoma) ai membri della Minor Planet Mailing List. In questo caso, l'oggetto scoperto dello Spacewatch potrebbe superare i 1.200 km di diametro. Cerere, osservato per la prima volta esattamente 200 anni fa, misura circa 950 km.

Sembra che questo asteroide sia sfuggito sino ad ora all'osservazione perché ha passato molti anni tra le stelle della parte settentrionale della Via Lattea. Con i moderni rivelatori elettronici, infatti, adesso sarebbe all'interno della capacità di rilevamento di molti telescopi amatoriali. Chiunque sia interessato ad osservarlo, troverà qui le effemeridi del Minor Planet Center.


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