Il Notiziario di
Sky & Telescope

Edizione italiana a cura di Mario Farina

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La rivista indispensabile di astronomia

La cometa LINEAR brilla ancora di più

Verso una missione su Plutone?

Bagliori su Marte

Astronomi a convegno a Pasadena

Nane brune con dischi circumstellari

La compagna di Mira

Un vero quasar binario

Un ammasso stellare sommerso dai raggi X

I composti della vita nel ghiaccio irradiato

Novità dalla Sloan Survey

Sciami di buchi neri di massa media

Prende forma una pre-supernova

I due tipi di spirali

Un'altra fascia di asteroidi come la nostra?

Uno sguardo alla formazione degli ammassi globulari

Il più grande rivelatore di raggi cosmici del mondo


Venerdi 15 giugno

A sinistra: La cometa LINEAR (C/2001 A2) continua a brillare. Questo mosaico è composto da una serie di esposizioni di 60 secondi riprese il 22 maggio da Gordon Garradd con un newtoniano di 45 cm f/5.4 ed una camera CCD AP7 da Loomberah in Australia. Copyright 2001 Gordon Garradd Cliccate sull'immagine per ingrandirla e vedere l'estesa coda di 1°.

La cometa LINEAR brilla ancora di più

Per la sorpresa e la delizia degli astronomi, la cometa LINEAR (C/2001 A2) è aumentata ancora di luminosità. Gli osservatori dell'emisfero australe hanno osservato la cometa aumentare gradualmente di magnitudine sino a raggiungere la visibilità ad occhio nudo da quando ci fu il repentino aumento iniziale di due mesi fa dovuto alla rottura del nucleo. Fino a questa settimana, fanno notare gli osservatori che scrivono nella Comet Observation Home Page di Charles Morris, la LINEAR ha raggiunto la terza magnitudine ed è visibile prima dell'alba sopra l'orizzonte orientale. L'oggeto non può essere ancora osservato dal nostro emisfero ma si sta muovendo verso nord e dovrebbe diventare visibile dalle medie latitudini dalla fine di giugno di mattina. Per ulteriori informazioni, leggete questo speciale.

— Stuart J. Goldman —

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Lunedi 11 giugno

A sinistra: Daremo mai un'occhiata a Plutone e Caronte da vicino? Gli scienziati della NASA sperano che venga approntata e lanciata una missione già nel 2004. Quindi, forse, dal 2020 questo francobollo americano diverrà obsoleto. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Verso una missione su Plutone?

La saga pro e contro l'invio di una sonda verso Plutone la scorsa settimana ha compiuto un altro positivo passo in avanti quando la NASA ha autorizzato l'ulteriore approfondimento di due studi per una missione Plutone-Kuiper Belt. Nonostante il bilancio fiscale del 2002 non includa un finanziamento per una sonda diretta verso il lontano pianeta, la NASA ha comunque giudicato queste due proposte le migliori tra le cinque presentate e verserà ai team 450.000 dollari per realizzare i progetti preliminari entro i prossimi tre mesi.

Una possibilità è rappresentata dall'Outer Solar System Explorer (POSSE), che verrebbe costruita dalla Lockheed Martin, comandata dal Jet Propulsion Laboratory (JPL) e con Larry Esposito (University of Colorado) come principale ricercatore. Esposito spiega che il progetto è basato sullo studio della sonda Stardust che verrebbe modificata per avere una maggiore durata, la fotocamera ed altri strumenti poi, non avrebbero parti in movimento. Dopo il volo su Plutone e Caronte, il progetto sarebbe di fargli visitare uno o più oggetti Kuiper-Belt.

L'altra missione ha un nome degno di un romanzo: Shedding Light on Frontier Worlds (Facendo luce su mondi di frontiera). Sarebbe costruita dalla Ball Aerospace Corp., condotta dall'Applied Physics Laboratory (APL) della Johns Hopkins University con S. Alan Stern (Southwest Research Institute) ricercatore capo. Come POSSE, la New Horizons avrebbe una serie di fotocamente e spettrometri e compirebbe degli esperimenti radio.

Se una di queste missioni fosse approvata e ricevesse il pieno appoggio finanziario, sarebbe pronra per il lancio già dal 2004 ed arriverebbe su Plutone nel 2020. Per ulteriori informazioni leggete i comunicati stampa rilasciati dal JPL e dall'APL.

— Stuart J. Goldman —

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Sabato 9 giugno

A sinistra: Più vicino alla Terra che negli ultimi 13 anni, Marte presenta all'osservazione telescopica una serie di dettagli. Tim Parker (NASA/JPL) e Don Parker (ALPO) hanno realizzato quest'immagine composita di 24 esposizioni di 1/8 di secondo effettuate con macchina fotografica digitale Nikon Coolpix 990 ed un riflettore newton di 15 cm f/8 a 366× il 5 giugno. Il sud è in alto. La caratteristica scura è Syrtis Major ed indicata dalla freccia è l'Edom Promontorium, il sito in cui sono stati avvistati diversi flash il 7 ed 8 giugno.

Bagliori su Marte

Nel numero di Maggio 2001 di Sky & Telescope, Thomas Dobbins e William Sheehan hanno discusso delle rare osservazioni di lampi osservati in alcune regioni del pianeta Marte. Secondo i due, i brillamenti potrebbero essere stati causati da riflessioni speculari della luce solare da parte di cristalli di acqua gelata sulla superficie o nelle nubi atmosferiche, in particolare quando i punti Sole e Terra sono quasi coincidenti e prossimi al meridiano centrale del pianeta (la linea immaginaria che attraversa da polo a polo il centro del disco). Basandosi sulle loro analisi, Dobbins e Sheehan avevano previsto che flash come gli ultimi, rilevati nel 1958, avrebbero potuto ripetersi questa settimana nell'Edom Promontorium, in prossimità dell'equatore marziano alla longitudine di 345°. Avevano ragione.

Dobbins ha organizzato una spedizione alle Florida Keys, dove Marte sarebbe stato alto in cielo in direzione sud ed il cielo eccezionalmente limpido. A partire da 5 giugno e per un paio di notti, i membri del team di Sky & Telescope e dell'Association of Lunar and Planetary Observers (ALPO) hanno scrutato il pianeta utilizzando una serie di telescopi. La notte del 7 giugno alle 06:35 Tempo Universale, circa 35 minuti prima che Edom attraversasse il meridiano centrale, Dobbins e colleghi hanno osservato una serie di lampi. Ciascuno è durato da 3 a 5 secondi e si sono susseguiti a distanza di uno o due minuti nell'ora e mezza successiva sino a che le nubi hanno concluso le osservazioni. I lampi sono stati osservati visualmente da 300× a 366× con due telescopi newton di 15 cm e registrati su videocassetta a 1,400× attraverso un telescopio Meade Schmidt-Cassegrain di 30-cm. Visivamente i lampi parevano tagliare quasi in due la linea scura di Sinus Sabaeus.

Altri lampi in Edom sono stati osservati l'otto giugno ed sono stati luminosi tanto quanto quelli della notte precedente ma non così frequenti. Per maggiori dettagli, leggete la Circolare IAU 7642 (non disponibile online sino al 15 giugno tranne che per gli abbonati IAUC).

— Rick Fienberg & Gary Seronik —

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Speciale dall'American Astronomical Society meeting di Pasadena
Lunedi 4 giugno



Astronomi a convegno a Pasadena

Questa settimana molti astronomi e ricercatori puntano la loro attenzione a Pasadena, in California, per il 198° meeting dell'American Astronomical Society. Questo congresso semestrale riunirà circa 1.300 astronomi professionisti, insegnanti ed appassionati al Pasadena Civic Auditorium per ascoltare i risultati delle ricerca su temi che vanno dalle tracce della presenza di asteroidi in altri sistemi planetari agli sviluppi sui buchi neri galattici alle frontiere dell'evoluzione cosmica. Secondo l'addetto stampa dell'AAS Stephen P. Maran, verranno presentati oltre 800 scritti. Sky & Telescope vi terrà informati attraverso i resoconti delle conferenze.

— David Tytell —

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Speciale dall'American Astronomical Society meeting di Pasadena
Giovedi 7 giugno

Un'immagine infrarossa della Grande Nebulosa di Orione, casa di oltre 100 nane brune scoperte recentemente e di cui oltre la metà possiede un disco di polvere. Il blu indica le lunghezze d'onda infrarosse più corte (1.25 microns), il rosso quelle più lunghe (2.2 microns). Le stelle più luminose sono quelle del familiare Trapezio, visibili anche con un piccolo telescopio. Le nebulosità blu sono parte della Nebulosa di Orione mentre l'area più arrossata è una regione di formazione stellare circondata dalla polvere. Le nane brune sono troppo deboli per essere visibili. Cortesia European Southern Observatory. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Nane brune con dischi circumstellari

Le nane brune sono più stelle o pianeti? Non possono brillare per la fusione nucleare come le stelle perché hanno una massa inferiore a 7 masse solari (meno di 75 quella di Giove) ma generalmente sono state trovate vagare nello spazio interstellare, diversamente da quello che fanno i pianeti. Una distinzione fondamentale viene dal modo in cui si formano: una stella si condensa direttamente da una nube interstellare di gas, "dall'alto in basso". Un pianeta inizia con l'accrezione di piccoli corpi rocciosi all'interno di un altro disco protoplanetario, dal "basso in alto".

Un team di astronomi guidato da Charles Lada (Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics) ed August Muench (University of Florida) ha aggiunto un altro pezzo del puzzle scoprendo che, come le giovani stelle, le giovani nane brune sono spesso circondate da un disco di polvere e potrebbero finire con l'avere dei pianeti.

Utilizzando una camera per l'infrarosso applicata al telescopio di 3,5 metri New Technology Telescope dell'European Southern Observatory in Cile, il team di Lada ha osservato il ricco ammasso di oltre 1.000 stelle neonate della Grande Nebulosa di Orione. Le nane brune sono facili da trovare quando sono giovani (si raffreddano con l'età) e quelle nella Nebulosa diOrione hanno solo circa un milione di anni. Gli astronomi hanno identificato oltre 100 candidate e di queste, il 63 per cento mostra nell'infrarosso le tracce della presenza di un caldo disco circumstellare.

I dischi sono un sottoprodotto quasi universale della formazione stellare e per il team con ulteriori ricerche la percentuale di nane brune che ne hanno uno aumenterà all'ottanta per cento.

La classificazione non è però così semplice. Possedere semplicemente un disco nella fase giovanile non distingue necessariamente una stella da un pianeta. Giove, Saturno ed Urano sono circondati da un proprio ricco sistema "planetario" che si deve essere condensato dal disco. Noi chiamiamo lune i pianeti di un pianeta ma in altri casi la distinzione è, probabilmente, priva di significato.

Per ulteriori informazioni leggete il comunicato stampa online.

— David Tytell —

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Speciale dall'American Astronomical Society meeting di Pasadena
Giovedi 7 giugno

Mira (a destra) e la sua compagna nana bianca con disco (a sinistra) distavano solo 0,6 secondi d'arco quando l'Hubble Space Telescope li risolse l'undici dicembre 1995. Mira, una gigante rossa pulsante, a quel tempo era vicino al minimo della luminosità. Rispetto alla compagna, che presenta la classica diffrazione, Mira appare qualcosa in più che un oggetto puntiforme. Le due stelle sono separate di circa 100 unità astronomiche (150 miliardi di chilometri). Cortesia Margarita Karovska (CfA)/STScI/NASA. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

La compagna di Mira

Sin dal 1918 gli astronomi sanno che Mira, la più luminosa delle stelle variabili a lungo periodo, ha una compagna calda e debole. Per lungo tempo si sospettò che si trattasse di un oggetto peculiare a metà strada tra una nana bianca e una stella blu della sequenza principale.

Ora due astronomi affermano di averne compreso la natura. Comparando il suo spettro ultravioletto ad un sistema di modelli, Edward M. Sion e John J. Bochanski (Villanova University) hanno determinato che si tratta di una nana bianca relativamente fredda (10,000°K) circondata da un caldo disco di accrezione di gas raccolti dal flusso del vento stellare di Mira al tasso di un miliardesimo di masse stellari all'anno.

Il risultato stabilisce che un disco di accrezione si può formare semplicemente per cattura del vento stellare. In precedenza non era chiaro se il vento stellare potesse avere un momento angolare sufficiente a permettere che ciò si verificasse. Il processo potrebbe rivelarsi una fonte importante per i dischi che circondano altre stelle nane bianche, stelle di neutroni e buchi neri.

— Alan MacRobert —

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Speciale dall'American Astronomical Society meeting di Pasadena
Giovedi 7 giugno

Un quasar binario fotografato nell'infrarosso da uno dei telescopi Keck di 10 metri. Il quasar più luminoso è al centro dell'immagine, il suo compagno è il secondo oggetto per luminosità, 4 secondi d'arco al di sopra. Cortesia Davy Kirkpatrick (IPAC/Caltech) e Gary Neugebauer (Caltech). Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Un vero quasar binario

La Sloan Digital Sky Survey (vedi sotto) non è l'unico gigantesco progetto di mappatura del cielo a mostrare i propri risultati al meeting di questa settimana dell'AAS a Pasadena. Gli astronomi della 2MASS, la Two Micron All Sky Survey completata recentemente (vedi il numero di luglio di Sky & Telescope) hanno svelato molte nuove immagini infrarosse relative al nostro vicinato interstellare sino alle più lontane profondità del cosmo.

Una scoperta inaspettata arrivata da una ricerca dei nuclei galattici attivi nei dati della 2MASS. Durante l'identificazione di 200 nuovi oggetti di questo tipo, un team guidato da Brant Nelsen e Roc Cutri (Infrared Processing and Analysis Center) ha svelato una coppia di quasar che distano tra loro solo 4 secondi d'arco. Spettri ottenuti in seguito al Keck Observatory hanno rivelato che hanno entrambi lo stesso elevato redshift di 1,8, non si tratta però di una lente gravitazionale dello stesso oggetto. "Sembra una vera coppia", spiega Nelson, come indicano le forme puntiformi e non distorte così come le firme radio ed ottiche.

Entrano a far parte di un club di membri selezionati: "Ci sono solo circa 20 vere coppie di quasar" continua Nelson. La separazione apparente di 4 secondi d'arco significa che si trovano ad almeno 130.000 anni luce di distanza, troppo lontani per interagire ma sufficientemente vicini da essere legati gravitazionalmente.

— Denise Kaisler —

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Speciale dall'American Astronomical Society meeting di Pasadena
Giovedi 7 giugno

Il giovane ammasso stellare più compatto conosciuto della Via Lattea, l'Ammasso degli archi, è sommerso da venti stellari di raggi X. Quella rossa è un'immagine radio a largo campo, l'inserto combina una ripresa infrarossa dell'Hubble Space Telescope dell'ammasso stesso nascosto (le stelle puntiformi) e quella delle emissioni X ripresa dal Chandra X-ray Observatory (la luminosità blu). Si ringrazia per l'immagine radio il NRAO/VLA/C. Lang; per l'immagine infrarossa NASA/HST/NICMOS; per quella nei raggi X NASA/CXC/Northwestern University/F. Zadeh ed altri. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Un ammasso stellare sommerso dai raggi X

Nelle profondità delle ricche regioni stellari centrali della Via Lattea, a solo circa 100 anni luce dal buco nero della galassia, si trova un ammasso compatto di stelle neonate il cui flusso combinato dei venti stellari rivaleggia, per quantità di energia, con quello osservato in lontane galassie starburst. E' la prima volta che viene scoperto un gas così energetico nella radiazione X in un giovane ammasso stellare della Via Lattea e gli astronomi potrebbero utilizzarlo per comprendere meglio la dinamica delle regioni di maggiore formazione stellare e quella della fase iniziale della storia della nostra galassia.

Con il Chandra X-ray Observatory, Farhad Yusef-Zadeh (Northwestern University) e colleghi hanno effettuato un'esposizione di 14 ore dell'Ammasso degli Archi, un folto gruppo di 150 stelle di tipo O di un solo un anno luce di diametro sito in prossimità del nucleo della Via Lattea, a circa 25.000 anni luce dal nostro Sole. L'ammasso è molto giovane, ha meno di 2 milioni di anni, è unico poiché a dispetto delle tante stelle massive dalla breve vita che contiene, non mostra tracce di eventi di supernova al suo interno. Il gas energizzato dell'ammasso sembra sia formato puramente da venti stellari.

Secondo Yusef-Zadeh, le osservazioni del Chandra indicano che i venti caldi fluiscono dalle stelle alla velocità di 1.000 km al secondo. Laddove collidono, si riscaldano a 60 milioni di gradi Kelvin producento copiose emissioni X. Casey Law (Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics) che collabora allo studio, fa un ulteriore passo avanti ipotizzando che il gas è così caldo che potrebbe lasciare l''ammasso riscaldando una regione circostante molto più ampia. Se così fosse, l'effetto ottenuto potrebbe spiegare l'origine delle regioni di gas caldo osservate da tempo nel centro della nostra galassia.

Grazie alla sua potente energia, gli astronomi sperano di utilizzare l'ammasso come se fosse un laboratorio relativamente vicino per studiare i processi che si verificano nelle galassie starburst che brillano nella radiazione X. Tra le future ricerche ci sono le osservazioni si ammassi simili nelle regioni centrali della galassia.

— David Tytell —

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Speciale dall'American Astronomical Society meeting di Pasadena
Giovedi 7 giugno

A sinistra: Nel cuore più scuro della nebulosa RCW 108, nei piccoli granelli di ghiaccio si stanno lentamente accumulando le molecole organiche dei futuri mondi. Questa immagine infrarossa, ripresa dal New Technology Telescope di 3,6 metri dell'European Southern Observatory, è penetrata nella nebulosa molto più in profondità della luce visibile. I colori infrarossi variano da 1,25 microns (mostrati in blu) a 2,2 microns (in rosso). Cortesia ESO. A destra: Un sistema a vuoto superaffreddato per effettuare le simulazioni della chimica interstellare nei gas freddi all'Ames Research Center della NASA. Cortesia Laboratory Astrophysics Group. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

I composti della vita nel ghiaccio irradiato

Nelle profondità del buio, avvolte da fredde nubi interstellari dove la luce non è mai penetrata, si sta svolgendo una serie sorprendente di reazioni chimiche. Utilizzando la spettroscopia millimetrica e submillimetrica, gli astronomi hanno identificato in queste nubi circa 120 composti tra cui molti dei cosiddetti "mattoni della vita". Al meeting dell'AAS di Pasadena, un folto gruppo di astronomi dell'Ames Research Center della NASA ha descritto gli sforzi compiuti nello studio della chimica dei composti organici (basati sul carbonio) nelle condizioni estreme che si trovano all'interno di quest nubi, i luoghi dove nascono le stelle ed i pianeti.

L'interno di una nube molecolare può raggiungere i 10°K (–263°C). A simili temperature molti atomi e molecole che normalmente sono allo stato gassono si condensano ghiacciandosi intorno a granelli di polvere. Molecole così fredde non possono reagire molto con le altre, specialmente quando sono racchiuse nel ghiaccio. Come si sviluppa quindi tutta questa chimica organica?

L'ingrediente chiave sembra essere la radiazione cosmica ad alta energia. La luce ultravioletta può compiere questo lavoro laddove la luce stellare fatica a penetrare. Qualsiasi radiazione ionizzante può frantumare le molecole nel ghiaccio formando ioni altamente reattivi che si ricombinano per produrre molecole più grandi e complesse.

Diversi ricercatori del NASA/Ames hanno descritto gli studi effettuati con una camera a vuoto superfredda e delle lampade ultraviolette simulando l'ambiente delle nubi molecolari. "Fondamentalmente abbiamo raffreddato delle miscele di gas investendo i ghiacci con l'equivalente di una buona irradiazione solare" ha spiegato Louis Allamandola. I residui risultanti contengono centinaia di complesse molecole alcune delle quali giocano un ruolo nel metabolismo della vita terrestre. Per Scott Sandford: "Sembra che l'universo sia, in un certo senso, costruito per produrre molecole organiche relativamente complesse".

Forse, quindi, siamo troppo egocentrici quando diciamo che le nubi interstellari creano le sostanze necessarie alla vita terrestre. Secondo un punto di vista più realistico, potrebbe essere che quando i processi della vita sono iniziati, hanno semplicemente tratto vantaggio di qualsiasi composto si trovasse nei dintorni. Per maggiori informazioni leggete il comunicato stampa online.

— Alan MacRobert —

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Speciale dall'American Astronomical Society meeting di Pasadena
Mercoledi 6 giugno

A sinistra: Il quasar più lontano scoperto sino ad oggi è evidenziato in questa immagine dall'archivio della Sloan Digital Sky Survey. Ha un redshift di 6,2, la datazione lo fa risalire quindi ad un periodo in cui l'universo aveva un'età 7,2 volte inferiore a quella attuale ed era di soli 800 milioni di anni. Il cinque per cento dei dati della SDSS sono appena stati resi disponibili alla scienza ed al pubblico. Cortesia Donald Schneider e Xiaohui Fan, SDSS Collaboration. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Novità dalla Sloan Survey

Il più ambizioso programma di studio mai intrapreso in ambito astronomico, la Sloan Digital Sky Survey (SDSS), ha presentato ieri per la prima volta al pubblico i dati raccolti in cinque anni di intense osservazioni. Sebbene riguardino solo il 5 per cento dell'area di cielo coperta dal progetto, gli astronomi della Sloan hanno già iniziato a scavarci dentro con una serie di studi che spaziano dalle nane brune alla materia oscura ai quasar. In una conferenza stampa al meeting dell'AAS, a Pasadena, hanno presentato alcuni dei risultati più eclatanti.

—Gli astronomi della Sloan hanno annunciato di aver rilevato i due quasar più lontani mai osservati, con redshift di 6,0 e 6,2. Il più distante di questi risale a quando l'universo aveva un'età di 800 milioni di anni. Queste scoperte non rappresentato una novità per la SDSS: secondo l'astronomo della Penn State Donald Schneider il team ha identificato 26 dei 30 quasar più lontani conosciuti e più della metà di tutti quelli che hanno un redshift superiore a 4.

—Una scoperta interessante riguarda qualcosa che la SDSS non ha visto. Le lenti gravitazionali di quasar lontani sarebbero abbastanza comuni e le concentrazioni di massa lungo la nostra linea di vista dovrebbero, a volte, distorcere e dividere le immagini di quelli più lontani. L'ammontare di queste lenti potrebbe rappresentare una buona diagnosi sulla distribuzione della massa nell'universo. Tra i quasar della Sloan però, le lenti gravitazionali scarseggiano. Gordon Richards (Penn State) sospetta che la ragione sia dovuta semplicemente alla risoluzione inadeguata. Immagini doppie di quasar appaiono generalmente a distanze da 0,6 a 0,8 secondi d'arco, dice Richards, "ma la maggior parte delle osservaziono della Sloan hanno una risoluzione di 1,5 secondi d'arco". L'archivio contiene sospetti quasar allungati ed è prevista l'osservazione più ravvicinata di molti di loro con i telescopi ad alta risoluzione Gemini e Magellan.

—Le misure dei quasar più massivi e distanti stanno ponendo molti limiti agli avvenimenti occorsi nell'universo primordiale. I risultati della distribuzione galattica su larga scala appoggiano il modello attuale di un cosmo nel quale c'è molta più materia invisibile che visibile (e quindi un'ancora maggiore "energia oscura"). Per Michael Turner (University of Chicago) siamo anche vicini alla definizione di un punto cosmico cruciale: quando il gas intergalattico che permea l'universo ha iniziato ad essere ionizzato dalla radiazione delle prime stelle.

—Anche l'origine dei diversi tipi di galassie è divenuta più chiara. "I nostri dati dimostrano che diversi tipi di galassie si ammassano in modo diverso, quindi le galassie sono influenzate dall'ambiente che le circonda", dice David Weinberg (Ohio State University).

—Più vicino a casa, la Sloan ha registrato, quasi per caso, un vasto numero di asteroidi. La sua fotometria a cinque colori ha confermato la segregazione chimica della cintura degli asteroidi; i corpi rocciosi tendono a disporsi nella regione interna e quelli carbonacei in quella esterna. La Sloan ha scoperto anche un numero inferiore al previsto di asteroidi più piccoli di 4 km

La Sloan survey sta fotografando 1/4 della sfera celeste sino alla magnitudine 23 utilizzando uno speciale telescopio di 2,5 metri ad Apache Point, nel Nuovo Messico. Di 100 milioni di oggetti celesti verranno misurate le precise luminosità in cinque colori. Lo studio misurerà anche i redshifts di oltre un milione di galassie e 100.000 quasars. Le osservazioni sono iniziate nel 1998 e dovrebbero durare cinque anni; poi gli astronomi studieranno i dati della SDSS per decenni.

Le immagini ed i dati dello studio sono accessibili tramite il web SkyServer project.

— David Tytell —

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Speciale dall'American Astronomical Society meeting di Pasadena
Mercoledi 6 giugno

A sinistra: La regione centrale delle galassie in collisione Antenne osservata dal Chandra X-ray Observatory. Dozzine di sorgenti X puntiformi ultraluminose segnano la regione e ciascuna emette da 10 a diverse centinaia di volte l'energia di sorgenti simili della nostra galassia. Il rosso rappresenta le emissioni X di minore energia, le blu e le bianche le più alte. L'intero campo misura 4 minuti d'arco. Cortesia NASA, SAO, CXC, G. Fabbiano ed altri. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Sciami di buchi neri di massa media

Sono così recenti che gli astronomi non sanno come chiamarli. Si ritiene però che la nuova classe di sorgenti X rappresenti una sorta di "pesi medi" tra i buchi neri, oggetti troppo pesanti per aver avuto origine da una stella collassata ma troppo luminosi per essere il cuore di una galassia.

Questi "Oggetti di luminosità intermedia nei raggi X" o IXO per brevità, vennero identificati per la prima volta due anni fa con il satellite tedesco Rosat. Secondo il co-scopritore Edward Colbert (Johns Hopkins University), sono troppo luminosi per essere delle normali stelle binarie X, che si sarebbero sgretolate se avessero prodotto così tanta energia. Ma sono spostate di centinaia di anni luce dal centro delle galassie che li ospitano, non possono quindi essere neanche dei buchi neri supermassivi (se lo fossero, attirerebbero il centro galattico verso loro stessi). La spiegazione migliore è che si tratti di buchi neri di massa media, che va da decine a migliaia di volte quella del Sole. Come si formino oggetti simili è però un mistero.

Utilizzando il Chandra X-ray Observatory, diversi gruppi di astronomi hanno scoperto che questi pesi medi sono rilevabili solitamente nelle galassie attive dove è in corso un vigoroso processo di formazione stellare. Andrew Zezas, Giuseppina Fabbiano (Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics) ed altri hanno scoperto dozzine di questi oggetti nelle galassie Antennae (NGC 4038/4039), la famosa coppia nel Corvo. Altri sono stati rilevati in altre galassie starburst come M82 ed NGC 253. "C'è una chiara correlazione tra gli IXOs e l'attività di formazione stellare" spiega la Fabbiano, "quindi, probabilmente, stiamo parlando di una popolazione giovane di buchi neri".

Per Kimberly Weaver (NASA/Goddard Space Flight Center) in un ammasso stellare giovane e molto denso sarebbe possibile la formazione di stelle con 100 masse solari. "Se collassassero, formerebero dei buchi neri massivi che in seguito potrebbero fondersi in un buco nero di poche centinaia di masse solari". Ammette però che non ci sono prove certe sulla loro origine e per Colbert sono altri casi, come quelli in NGC 1313 ed IC 342, dove gli IXOs si trovano esternamente alle regioni di formazione stellare: "Probabilmente esistono un paio di tipi di questi oggetti" dice.

O forse gli IXOs non sono proprio dei buchi neri di massa media. Per Andrew King (University of Leicester, England) se un oggetto inviasse il fascio di raggi X verso di noi sovrastimeremmo l'energia emessa sulla falsa credenza che invia la stessa quantità in tutte le direzioni: "Anche questa è una possibilità" ammette la Fabbiano. "Per saperlo, abbiamo bisogno di indagini più estese ed approfondite".

"Questa ipotesi risolverebbe il problema" concorda Richard Mushotzky (NASA/Goddard), uno degli scopritori originali degli IXOs, "ma al momento non ritengo sia veramente probabile, in ogni caso c'è moltissimo da fare".

— Govert Schilling —

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Speciale dall'American Astronomical Society meeting di Pasadena
Mercoledi 6 giugno

A sinistra: La stella gigante HD 179281 potrebbe esplodere nei prossimi 100.000 anno. Ha già espulso un vasto guscio di gas e polveri, visibile nell'immagine, che diverrà in un prossimo futuro il resto molto più grande di una supernova. Si ringraziano per l'immagine dell'Osservatorio Keck M. Jura (UCLA) ed M. Werner (JPL). Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Prende forma una pre-supernova

Perché la Nebulosa del Granchio ha quella forma? Cosa ha impedito che l'espansione formasse un guscio sferico uniforme? A lungo gli astronomi hanno discusso il perché i resti di supernova prendano le forme che osserviamo. Le irregolarità nei gas circostanti e le asimmetrie nelle esplosioni stesse sono state le prime giustificazioni ma ora Michael Jura (University of California, Los Angeles) ed i suoi colleghi del Jet Propulsion Laboratory hanno identificato quello che ritengono sia una stella nella fase che precede l'esplosione di supernova e le sue emissioni di gas potrebbero fornirci la chiara comprensione di cosa causi la forma non uniforme del Granchio ed altri resti di supernova.

La bomba ad orologeria è HD 179281, una stella massiva di tipo G nella Lira. Sino a circa 1.600 anni fa era una ipergigante ross, una stella molto evoluta che espelle i suoi strati esterni alla fantastica frequenza di una massa solare ogni 3.000 anni. Jura e colleghi hanno utilizzato uno dei telescopi Keck di 10 metri ed il Submillimeter Array di Owens Valley per mappare le polveri ed i gas che la circondano scoprendo che buona parte della materia si è ammucchiata in un arco semicircolare in un lato della stella. Il gruppo prevede che l'astro eploderà nei prossimi 100.000 anni formando un resto informe simile a quello della supernova di Keplero apparso nell'Ofiuco nel 1604.

— Denise Kaisler —

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Speciale dall'American Astronomical Society meeting di Pasadena
Martedi 5 giugno

A sinistra: Nei 1.000 anni luce più interni della galassia NGC 4736 si osservano dozzine di delicate scie di spirali. Questa parte di un'immagine dell'Hubble Space Telescope è stata elaborata con la tecnica dell'unsharp masking per mettere in rilievo i dettagli più minuti. Cortesia Debra Elmegreen / STScI. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

I due tipi di spirali

Non esistono galassie a spirale con un solo tipo di bracci ma ce ne sono anche con due, assolutamente diversi e formatisi in modo completamente differente. Questo sorprendente annuncio arriva da tre astronomi che hanno presentato la loro ricerca questa settimana al meeting dell'AAS di Pasadena.

I bracci principali, più grandi e che danno quella forma al disco della spirale, ci sono familiari da più di un secolo. Gli astronomi da tempo sono giunti alla conclusione che sono "onde di densità" di stelle e gas ammassati per effetto della loro stessa gravità durante il moto dell'orbita intorno alla galassia. Questi bracci tendono a dissolversi avvicinandosi al centro galattico.

Quando l'Hubble Space Telescope iniziò a fornire immagini galattiche molto nitide, si osservarono spesso molte scie intricate di polveri e gas prolungate verso l'interno della parte centrale del nucleo più luminosa. Per Debra Elmegreen e Kate Eberwein (Vassar College) insieme con Bruce Elmegreen (IBM Watson Research Center), queste delicate strutture non sono formate dalla gravità ma dalla pressione acustica delle onde, in altre parole dal suono.

Teoricamente le "spirali acustiche" tendono a formarsi nelle regioni dei nuclei galattici se la velocità del suono nel mezzo interstellare è prossima a quella orbitale. In queste condizioni, le leggere curvature delle orbite dei gas tendono ad amplificare casualmente le onde di pressione radunandole verso il centro formando una sorta di miscuglio di spirali. I tre astronomi hanno scoperto che le previsioni delle onde acustiche fatte si avvicinano molto alle delicate strutture osservate realmente dall'Hubble al centro di due galassie, NGC 4736 ed NGC 4450.

Questa conclusione potrebbe portare alla soluzione di un antico enigma: da tempo gli astronomi si chiedono come i buchi neri che alimentano il nucleo di una galassia attiva possano raccogliere i gas dal resto della galassia. In qualche modo, il gas che orbita perde momento angolare ed energia orbitale cadendo verso il centro, spesso questo ssi verifica quando due galassie si scontrano o hanno un incontro ravvicinato ed il caos che ne consegue spedisce i gas dappertutto. Ma cosa accade nelle normali galassie a spirale? Le due che hanno studiato gli astronomi sono un tipico esempio. Entrambe sono LINERs, così chiamate perché i loro centri presentano linee di emissione forse dovute al riscaldamento dei gas da parte di un buco nero supermassivo.

Il modello delle onde acustiche potrebbe adattarvisi bene. Come spiega Bruce Elmegreen: "Turbolenze soniche casuali, iniziate come normali disturbi, si radunano nei lunghi bracci a spirale che sono facilmente osservabili come nubi di polveri e le più marcate di queste probabilmente hanno delle onde d'urto, dei bang sonici. Ne risultano estese pressioni e dissipazioni di energia nei gas (e perdita di momento angolare) che guidano l'accrezione verso il centro che alimenta il buco nero.

— Alan MacRobert —

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Speciale dall'American Astronomical Society meeting di Pasadena
Martedi 5 giugno

A sinistra: Il disco di polveri che circonda Zeta Leporis, a 70 anni luce di distanza nella costellazione della Lepre, sembra originarsi da frammenti di materia rocciosa in orbita ad alcune unità astronomiche dalla giovane stella. Potrebbe essere l'analogo della massiccia fascia degli asteroidi del nostro sistema solare quando aveva un'età inferiore a 100 milioni di anni. Cortesia C. Chen ed M. Jura (UCLA).

Un'altra fascia di asteroidi come la nostra?

Gli astronomi sanno da un paio di deceni che alcune giovani stelle, come Vega, Fomalhaut e Beta Pictoris, sono circondate da un vasto disco di polveri privo di gas. Le particelle di polvere sono riscaldate dalla luce della stella reirradiando quest'energia nel lontano infrarosso, la maggior parte dei dischi scoperti inoltre, sono più estesi del nostro sistema solare. Ieri invece, all'American Astronomical Society meeting di Pasadena, i ricercatori hanno annunciato la scoperta di un disco di polvere a meno di 6 unità astronomiche (900 milioni di km) dalla sua stella.

Il disco orbita intorno a Zeta Leporis, una stella bianca calda di tipo A3 con una massa pari a due volte quella della nostra stella ed una luminosità superiore di 15 volte. L'età è stimata tra 50 e 400 milioni di anni, simile a quella che aveva il Sole quando si formò la nostra fascia degli asteroidi. Lo studente dell'UCLA Christine Chen e l'assistente Michael Jura hanno misurato la temperatura della cintura di polvere (scoperta per la prima volta nel 1991) osservandola con uno dei telescopi Keck a due lunghezze d'onda infrarosse e scoprendo che le piccole particelle sono riscaldate ad una temperatura di 350° Kelvin, il che ne ha rivelato la distanza dalla stella. Chen e Jura hanno stimato che il disco contenga una quantità di materia circa 1.000 volte superiore a quella della nostra fascia di asteroidi, una massa comparabile quindi a quella terrestre.

L'aspetto eccitante della scoperta è che la polvere, in realtà, non dovrebbe esserci. Particelle dell'ordine dei micron in orbita così vicino alla stella impiegherebbero appena 20.000 anni a cadere a spirale sull'astro a causa delle interazioni con il suo flusso luminoso (nel nostro sistema solare le collisioni tra asteroidi continuano a rimpinguare la fascia zodiacale di polveri, debolmentre visibile dagli osservatori terrestri come luce zodiacale). Il fatto che la polvere possa essere stata osservata significa che viene in qualche modo rimpiazzata continuamente. "Ci devono essere oggetti più grandi intorno a Zeta Leporis" dice Jura, "che potrebbero assomigliare ad agli asteroidi del nostro sistema solare e che creano la polvere che emette nell'infrarosso collidendo violentemente gli uni con gli altri".

Considerata l'età della stella "potrebbero essersi già formati dei pianeti oppure potrebbero essere in fase di formazione" dice Chen. Se sono ancora in questultima fase, la polvere potrebbe essere il sottoprodotto dell'accrezione planetaria, con rocce che espellono piccoli frammenti quando collidono e si uniscono durante il processo di formazione planetaria. In alternativa, se la formazione planetaria si fosse già conclusa, la polvere potrebbe derivare da corpi frantumati dalla collisione anzichè uniti. Mark Sykes (Università dell'Arizona) ha proposto che se un oggetto con una massa simile a quella di Giove orbitasse non lontano dal disco aumenterebbe l'eccentricità orbitale delle rocce e la casualità delle orbite, incrementandone le collisioni. Secondo Sykes "Quello che si sta verificando in questo sistema potrebbe essere abbastanza simile a quanto successo durante i primi 100 milioni di anni di vita del nostro sistema solare" (per i dettagli leggete il comunicato stampa dell'UCLA).

— David Tytell —

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Speciale dall'American Astronomical Society meeting di Pasadena
Martedi 5 giugno

A sinistra: La galassia nana NGC 5253 (nell'immagine) è circondata da un denso ed estremamente massivo sciame di stelle che potrebbe diventare un ammasso globulare. Il più in alto dei tre puntini luminosi è una bolla in espansione proveniente da un milione di giovani stelle ammassate in un volume di appena 6 per 10 anni luce. L'immagine è stata ottenuta da una ripresa nella luce visibile dell'Hubble Space Telescope exposure (in blu) e nell'infrarosso del telescopio Keck (in rosso). Cortesia Daniela Calzetti (STScI). Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Uno sguardo alla formazione degli ammassi globulari

Gli ammassi globulari sono tra le strutture stellari più vecchie di ogni galassia. La maggior parte hanno un'età compresa tra 9 e 13 miliardi di anni, quando l'universo e le galassie stesse erano giovani. Al meeting dell'AAS di Pasadena, gli astronomi hanno raccontato delle ricerche in corso su un ammasso globulare al primo stadio della sua vita. Un team guidato da Jean Turner (UCLA) sta studiando una piccola ma molto luminosa sorgente radio ed infrarossa nella vicina galassia nana NGC 5253 nel Centauro. L'oggetto è una "super nebulosa" massiva che ha dato i natali ad un ammasso stellare incredibilmente ricco.

Larga solo da 6 a 10 anni luce, si ritiene che la nebulosa contenga un milione di stelle giovani che emettono insieme un'energia pari a quella di un miliardo di soli. Questo oggetto domina NGC 5253, dice Turner "e fornisce un quarto dell'energia emessa dalla galassia".

Così tante stelle riunite insieme in uno spazio così piccolo stanno modificando lo spazio circostante. "Questo oggetto sta iniziando a farsi strada" spiega Turner, "la pressione di radiazione combinata delle giovani stelle sta soffiando via la nebulosa". Il gas in espansione ha creato un'onda d'urto, una bolla che sta ripulendo lo spazio intorno all'ammasso prevenendo quindi la formazione di future stelle.

Con il flusso attuale, questo stadio della vita dell'ammasso globulare durerà solo circa 15.000 anni ma, dicono gli astronomila gravità dell'ammasso dovrebbe trattenere parte del gas e della polvere rallentando l'onda d'urto allungandone l'esistenza. Qualche altro globulare in fasce è stato scoperto in altre galassie ma quello in NGC 5253 è abbastanza vicino da offrire l'opportunità migliore per studiarlo in azione. Ulteriori informazioni nel comunicato stampa online.

— Rachel Thessin —

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Venerdi 1 giugno

A sinistra: In alto: In una valle tibetana a 4.300 metri sul livello del mare, questo edificio ospita il più recente e sensibile rivelatore di raggi cosmici. Il pavimento blu contiene un sottile foglio di lead per aumentare la sensibilità del rivelatore. Cortesia Dipartimento di Fisica Università di Napoli. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Il più grande rivelatore di raggi cosmici del mondo

Una remota valle 90 km a nord di Lhasa, nel Tibet, è divenuta la sede del più grande rivelatore di raggi cosmici del mondo. Si chiama ARGO-YBJ (Astrophysical Radiation with Ground-based Observatory at Yangbajing) e la sua prima osservazione è prevista per questo mese. Si tratta di una collaborazione tra ricercatori cinesi ed italiani di 14 istituzioni differenti, il contingente italiano ha fornito circa 2/3 dei 13 milioni di dollari necessari alla costruzione, e si va ad aggiungere ad un altro rilevatore di raggi cosmici (frutto di una collaborazione cino-giapponese) già operante nel sito di Yangbajing.

Potenti quanto elusivi, i raggi cosmici sono nuclei atomici che si muovono a velocità relativistiche e sono le particelle più energetiche conosciute. Non possono essere rivelate direttamente a terra perchè prima piombano sulle molecole dei gas dell'atmosfera superiore, effettuando collisioni ad alta energia che producono temporanei sciami di particelle secondarie e lampi di luce. Tradizionalmente i rilevatori di raggi cosmici sono stati sviluppati su costose reti di telescopi ad elevata sensibilità (soprannominati "Occhi di mosca") che registrano i deboli flash di luce blu ad alta quota. Questa tecnica è poco efficiente e solo l'arrivo dei raggi cosmici più potenti (di un trilione di elettronvolts o più) possono essere registrati.

L'ARGO-YBJ è fondamentalmente differente. Sotto il pavimento si trova un tappeto di contatori a piastre resistive, o RPCs, che rilevano le particelle subatomiche secondarie che ricadono verso terra ogni volta che si verifica una collisione. Poiché l'ARGO-YBJ utilizza quasi 200.000 RPCs che ricoprono un'area delle dimensioni di un campo di calcio, dovrebbe riuscire a registrare l'arrivo di raggi cosmici di solo 100 milioni di miliardi di eV, un'energia pari ad 1/10 di quella rilevabile con i sistemi preesistenti. Questa capacità dovrebbe portare ad una maggiore comprensione di dove e perché si formino i raggi cosmici. La "prima luce" riguarderà solo una porzione della superficie di 6.500 metri quadrati del rivelatore.

L'esperimento prende il nome dalla figura della mitologia greca Argo (noto anche come Panoptes). Per maggiori informazioni consultate la ARGO-YBJ home page.

— J. Kelly Beatty —

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