Il Notiziario di
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Edizione italiana a cura di Mario Farina

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Smentita la testimonianza di un impatto

Il mistero del meteorite del Lago Tagish

Gli studenti rilevano le emissioni radio di una nana bruna

La cometa Hale-Bopp è ancora viva

Confermata la carenza di materia nel cosmo

L'oceano nascosto di Ganimede


Giovedi 15 marzo

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A sinistra: Gli abitanti di Canterbury, in Inghilterra, furono realmente testimoni nel medioevo della creazione di un vasto cratere sulla Luna nel giugno 1178? Il luminoso cratere irraggiato denominato Giordano Bruno visibile in alto a sinistra sarebbe quello relativo a questo impatto ma recenti studi hanno messo in dubbio questo scenario. Fotografia Apollo 8 cortesia NASA. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Smentita la testimonianza di un impatto

Potremmo vedere ad occhio nudo dove un piccolo asteroide colpisce la Luna? Nelle sue cronache di vita medioevale, Gervasio di Canterbury descrive un drmmatico evento di cui è testimo nel il 18 giugno 1178:

C'era una luminosa Luna nuova . . . ed improvvisamente il corno superiore si divise in due. Dalla metà di questa divisione si innalzò una torcia fiammeggiante, ceh vomitava . . . fuoco, carboni caldi e scintille . . . Il corpo sottostante della Luna si contorse . . . dibattendosi come un serpente ferito. Dopo riprese il suo normale aspetto. Il fenomeno si ripetè una dozzina di volte e più. [Infine] la Luna . . . prese un aspetto nerastro.

Nel 1976 il geologo Jack B. Hartung (State University of New York) propose che questo passaggio descrivesse la creazione di Giordano Bruno, un cratere di 22 chilometri di diametro relativamente giovane vicino al limbo lunare di nord-est. Secondo Hartung, visto dalla Terra questo luminoso cratere irraggiato appare vicino alla metà della Luna crescente. Gli astronomi si affrettarono a calcolare che la data in questione era solo 1,3 giorni dopo la Luna nuova e quindi troppo vicina al Sole per essere tutta facilmente visibile. Inoltre, la testimonianza di Gervasio parlava di molte "torce fiammeggianti", il che suona più di distorsioni atmosferiche visibili spesso vicino all'orizzonte. In ogni caso, l'ipotesi di Hartung si fece strada in molti libri ed articoli di astronomia. Restò difficile confermarla o smentirla a causa delle scarse informazioni su Giordano Bruno e le zone circostanti.

Nuove analisi dimostrano che un evento simile non può essersi verificato nel 1178. Paul Withers (University of Arizona) ha scoperto che un impatto sufficientemente grande da creare un cratere del diametro di 22 chimometri avrebbe fatto ricadere sulla Terra 10 tonnellate di frammenti, e quindi milioni di miliardi di luminose meteore nei giorni seguenti. "Una tempesta meteorica così impressionante e della durata di una settimana sarebbe stata considerata l'apocalisse da tutti gli osservatori del medioevo" è il commento di Withers. Ma nelle cronache inglesi, europee, arabe o asiatiche dell'epoca non v'è traccia di uno spettacolo simile.

Esperimenti eseguiti con il laser negli anni '70 rivelarono che i nodi lunari oscillano leggermente avanti ed indietro ("librazione libera"), suggerirono ai sostenitori di Hartung che il globo stava ancora oscillando per effetto del'impatto. Ma, come nota Withers, una nuova analisi dei dati mostrano che la leggera oscillazione è dovuta a moti dei fluidi nell'interno del satellite. Inoltre, mentre Giordano Bruno è certamente il più giovane cratere di queste dimensioni sulla Luna, le immagini multispettrali della sonda Clementine mostrano che questo impatto ha ben più di 800 anni. I dettagli delle analisi di Withers appariranno nel numero di aprile di Meteoritics.

— J. Kelly Beatty —

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Mercoledi 14 marzo

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A sinistra: Questo frammento del meteorite del lago Tagish era incassato nel ghiaccio quando venne ritrovato sulla superficie gelata del lago. Per gli scienziati, questo campione di materia extraterrestre continua ad essere un rompicapo. Cortesia University of Western Ontario and University of Calgary. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Il mistero del meteorite del Lago Tagish

Alla conferenza dell'anno scorso Lunar and Planetary Science, tenutasi in marzo a Houston, in Texas, gli specialisti in meteoriti sbavavano sul meteorite del lago Tagish, caduto come una grandine di frammenti nelle regioni selvagge dello Yukon solo due mesi prima. Nei giorni immediatamente seguenti la caduta, Jim Brook raccolse con attenzione quasi un chilogrammo di reperti ghiacciati, depositandoli nel suo frigorifero. In seguito, un team di geologi e di volontari canadesi esplorò la superficie ghiacciata del lago per raccogliere quanti più reperti possibile del prezioso materiale interplanetario prima che il disgelo li affondasse. Importante per la conservazione dei reperti ricchi di carbonio, fu il recupero da manuale effettuato che permise di classificarlo come uno dei più importanti ritrovamenti degli ultimi 30 anni.

Un anno dopo, questi resti rappresentano ancora un rompicapo per via della composizione unica, forgiata agli inizi della formazione del sistema solare e che rifiuta ogni semplice spiegazione. Per esempio qualche parte del suo friabile e scuro interno è piena di enigmatici carbonati creati quando l'acqua liquida era filtrata attraverso la roccia in tempi diversi. In parti adiacenti non si rilevano carbonati nè tracce dell'influenza dell'acqua. E, sebbene i chimici avrebbero scommesso che in quelle pietre nere abbondavano composti esotici di idrocarburi, le analisi diedero un risultato deludente: era presente un millesimo del contenuto organico del meteorite di Murchison, un oggetto dal contenuto di carbonio simile, caduto nel 1969. "Speravamo di trovare tutti quegli aminoacidi", lamenta Gilmour (Open University), "ed invece niente".

Quello che Gilmour ed altri hanno identificato sono degli indizi confusi sull'origine del meteorite. Alcuni dei composti organici presenti mimano i nitrili ed altre specie aromatiche che si sa essere presenti nelle nubi molecolari. Potrebbe avere quindi un'origine interstellare? Oppure, come ritiene Takahiro Hiroi (Brown University), fanno parte di una specie di asteroidi di "tipo D" ricchi di carbonio che si trovano nelle vicinanze di Giove? E più di uno specialista avrebbe posto il dubbio che si tratti di frammenti di un nucleo cometario. "Non ci sono ancora delle conclusioni definitive" ha detto Sandra Pizzarello (Arizona State University), "studiare questo meteorite è estremamente difficile".

— J. Kelly Beatty —

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Mercoledi 14 marzo

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In alto: Nel dicembre 1999, il Chandra X-ray Observatory registrò il luminoso brillamento proveniente dalla nana bruna LP 944-20 nella Fornace. Ciascun riquadro misura 5 minuti d'arco. Cortesia NASA/UCB/Caltech/R. Rutledge ed altri. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Gli studenti rilevano le emissioni radio di una nana bruna

Trenta studenti astronomi, utilizzando il radiotelescopio Very Large Array (VLA) del Nuovo Messico hanno avuto l'occasione della loro vita quando hanno rilevato la prima emissione radio proveniente da una nana bruna. Le nane brune sono oggetti piccoli e freddi che risplendono di una luce rossa molto tenue e che hanno le dimensioni di Giove ma una massa da 13 a 75 volte superiore, troppo leggeri per diventare delle vere stelle e troppo pesanti per essere chiamati pianeti.

Edo Berger (Caltech) ed il suo team, lo scorso luglio hanno puntato i dischi del VLA verso LP 944-20, nella costellazione australe della Fornace rilevando un flusso costante di radioonde alla lunghezza d'onda di 6 e 3,6 centimetri così come tre brevi brillamenti quando le emissioni si sono intensificate di una dozzina di volte. Le scoperte del team, riportate nel numero del 15 marzo di Nature, stanno costringendo i teorici a rivedere le teorie relative al funzionamento delle nane brune.

Il progetto degli studenti universitari faceva parte del programma scientifico estivo tenuto presso il VLA dalla National Science Foundation. Scelsero LP 944-20 come obiettivo perché il Chandra X-ray Observatory rilevò dei brillamenti nei raggi X nel 1999. Tra le stelle normali, le attività radio ed X tendono ad andare di pari passo. Ciò nonostante, gli studenti pensarono che scoprire delle emissioni radio sarebbe stata l'ultima possibilità. Ed i brillamenti rappresentavano un ottimo inizio. "Sono stati molto fortunati", ha detto Dale Frail, astronomo del VLA. "Altri hanno cercato le emissioni radio delle nane brune senza trovarle. Questa ha brillato al momento giusto".

L'emissione è stata 10.000 volte più forte del previsto, considerate le caratteristiche nella radiazione X dell'oggetto. Gli studenti ne hanno dedotto che abbia un debole campo magnetico, più debole di quello di Giove e non molto più intenso di quello terrestre. Questo combacia con la teoria sulle nane brune ma il perché di un campo così debole rimane un mistero. In assenza di un forte campo magnetico infatti, come vengono accelerate a velocità prossime a quella della luce le grandi quantità di elettroni che danno vita alle emissioni radio? Al momento i brillamenti della nana bruna emettono molta più energia dei più forti brillamenti del nostro Sole, che ha un campo magnetico molto più intenso.

— Edwin L. Aguirre —

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Venerdi 9 marzo

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A sinistra: Il riflettore di 2,2 metri dell'European Southern Observatory a La Silla ha scoperto che la cometa Hale-Bopp è ancora attiva, a dispetto dei 2 miliardi di chilometri che la separano dal Sole. Cortesia ESO. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

La cometa Hale-Bopp è ancora viva

La cometa Hale-Bopp (C/1995 O1) si trova a 2 miliardi di chilometri dal Sole (13 unità astronomiche), a metà strada tra Saturno ed Urano, e continua a sorprendere gli astronomi per la sua longevità. E' di magnitudine 14,5 e si trova nella costellazione meridionale del Dorado ma è rimasta insolitamente attiva, emettendo gas e polveri formando un pronunciato getto ricurvo ed una chioma a forma di ventola, del diametro stimato in 2 milioni di chilometri. L'immagine composita visibile in alto è formata da 14 esposizioni ottenute nella luce rossa, gialla e blu con il telescopio di 2,2 metri dell'European Southern Observatory a La Silla, in Cile, dal 27 febbraio al 2 marzo. Attualmente l'Hale-Bopp si sta allontanando da noi di un milione di chilometri al giorno. Gli astronomi pianificano di continuare ad osservarla il più possibile, forse per diverse decine di anni. Per ulteriori dettagli, leggete il comunicato stampa online.

— Edwin L. Aguirre —

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Venerdi 9 marzo

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A sinistra: La 2dF Galaxy Redshift Survey ha misurato più di 150.000 galassie oltre le 250.000 previste. La survey sta riguardando due regioni di spazio a forma di fetta di torta di 4° per 90° di ampiezza che si estendono per 2 milioni di anni luce di profondità (a redshift 0,25 circa). Cortesia Nature/2dF Galaxy Redshift Survey. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Confermata la carenza di materia del cosmo

Secondo i risultati pubblicati sulla rivista Nature di ieri, solo il 35 per cento della massa dell'universo è composto da materia (±10 per cento), più o meno luminosa. Il resto, molto probabilmente, sta in qualche forma di energia che guida l'espansione del cosmo.

Questo risultato arriva dalla Two-Degree Field (2dF) Galaxy Redshift Survey condotta con il telescopio anglo-australiano di 4 metri, nell'Australia orientale (il nome della survey deriva dagli spettrometri utilizzati, che coprono un campo di 2° di cielo alla volta). Basandosi sul redshift di 141.000 galassie, il gruppo di astronomi guidati da John Peacock (Università di Edinburgo) ha utilizzato due strategie per ottenere le misure delle masse. Per la prima, ha analizzato l'attrazione delle galassie verso ammassi molto grandi, rivelata dal moto individuale. Per la seconda ha comparato l'ammontare dell'ammassamento delle galassie con le piccole variazioni di temperatura visibili nella radiazione cosmica di fondo. Poiché queste variazioni riflettono le fluttuazioni nella densità dell'universo primordiale, compararle alle densità delle galassie osservabile oggi rivela la forza della gravità richiesta per spingere insieme le galassie stese, e quindi la loro massa.

Questi risultati sono molto simili a quelli annunciati l'estate scorsa dal team della 2dF sulla base di sole 106.000 galassie. Allora si disse che il totale rilevato ammontava al 40 ± 10 per cento di tutta la materia e l'energia dell'universo e molti altri studi sono giunti ad una conclusione simile. La 2dF dovrebbe essere completata alla fine dell'anno, quando saranno stati misurati 250.000 redshifts.

— David Tytell —

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Mercoledi 7 marzo

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A sinistra: L'interno del satellite Ganimedeha un nucleo metallico separato, un mantello roccioso ed una sottile "crosta" di acqua, come è evidenziato da questo disegno NASA/JPL. Diversi planetologi sospettano che possa esistere un profondo oceano di brina a circa 170 chilometri dalla superficie. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

L'oceano nascosto di Ganimede

Più grande di Mercurio, il satellite Ganimede di Giove ha diversi attributi che lo rendono simile ad un pianeta, come un campo magnetico interno ed una superficie geologicamente attiva. Ora sembra che questa grande luna (5.270 chilometri di diametro) nasconda un profondo oceano globale al di sotto della sua crosta, dominata dai ghiacci. Combinando le riprese della Galileo e del Voyager per ottenere delle immagini stereoscopiche, un team di ricercatori ha scoperto delle depressioni che sembrano siano state inondate d'acqua o melma circa un milione di anni fa.

Più basse da 100 a 1000 metri delle regioni circostanti, queste aree ricoprono dei terreni pesantemente fratturati, annota Paul M. Schenk (Lunar and Planetary Institute) e tre colleghi nel numero del primo marzo di Nature.. Secondo il loro relativamente semplice modello, si è formata un'ampia striscia di terreno, una sorta di abbeveratoio, in seguito inondata da acque fluide che presto sono gelate. "Sono estremamente simili alle rift valleys terrestri, " puntualizza William B. McKinnon (Università di Washington), un membro del team. Non tutte le depressioni sono peraltro state inondate e non sono state trovate altre tracce di attività vulcanica —come fori o lobi di flussi —.

Nonostante ciò, altri indizi fanno ritenere che esista ancora un oceano sotto la superficie. Quando la Galileo transitò ad 800 km dalla regione equatoriale di Ganimede il 20 maggio scorso, rilevò delle diminuzioni nel campo magnetico circostante che non potevano essere spiegate dall'azione dinamo del nucleo del satellite. Una parte del campo magnetico di Ganimede ondeggia avanti ed indietro insieme a quello più forte di Giove. Secondo Margaret V. Kivelson (UCLA), leader del team sugli esperimenti relativi al magnetometro, queste fluttuazioni sono spiegabili con la presenza di un debole campo magnetico indotto in uno strato conduttivo di acqua salata a circa 170 km dalla superficie. Questa profondità corrisponde esattamente a quella calcolata per cui la pressione è sufficientemente elevata da trasformare il ghiaccio in melma. "Sembra più che una coincidenza," fa notare Kivelson.

— J. Kelly Beatty —

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