Sky & Telescope
Notiziario settimanale

17 luglio 1998

Edizione italiana a cura di Mario Farina

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Catena di crateri su Ganimede A sinistra: Probabilmente questa serie di crateri sulla superficie del satellite Ganimede si sono prodotte quando i frammenti di una cometa o di un piccolo asteroide hanno colpito la superficie un pezzo dopo l'altro. La sonda Galileo, in orbita intorno a Giove dal dicembre 1995, ha realizzato queste fotografie nel corso di un recente flyby del satellite. Cortesia NASA/JPL/Caltech.

Primi piani di Ganimede

Il 15 luglio, il Jet Propulsion Laboratory ha diffuso una serie di nuove immagini di Ganimede, la luna più grande di Giove, riprese dalla sonda
Galileo. Nelle immagini dettagliate di questo mondo ghiacciato sono visibili una serie di crateri da impatto e terreni di luminosità e rugosità diverse. Tra quelle più interessanti, ce n'è una che mostra una fila di crateri lunga 150 chilometri. Sono note altre tre formazioni simili sul satellite e più di una dozzina sono state scoperte sulla superficie di Callisto. Si pensa che le file di crateri si formano quando una cometa o un asteroide transitano troppo vicino a Giove e vengono distrutti dalle forze mareali, prodotte dalla sua tremenda gravità. I frammenti prodotti, viaggerebbero in seguito molto ravvicinati ed in qualche caso come questo, precipiterebbero sui satelliti più grandi, in altri come nel caso della cometa Shoemaker-Levy 9 del luglio 1994, su Giove stesso.


Immagine dell'Hubble Deep Field dallo SCUBA A sinistra: Difficilmente questa istantanea di 200 secondi d'arco dell'Hubble Deep Field nell'Orsa Maggiore può competere con lo splendore della ripresa nell'ottico effettuata dall'Hubble Space Telescope due anni e mezzo fa (e della quale una porzione è visibile in basso a destra). Rivela però ciò che Hubble non può vedere: la luce arrossata, osservabile nel lontano infrarosso, delle polveri che potrebbero essere state riscaldate dalle prime stelle dell'universo. Cortesia Joint Astronomy Centre e Space Telescope Science Institute.

Un'istantanea delle prime nurseries stellari?

Due gruppi internazionali di ricercatori hanno appena compiuto un passo avanti verso la soluzione di uno dei più grandi misteri cosmologici: quando si sono formate le stelle e le galassie nell'universo? All'inizio dell'anno, delle rilevazioni del Cosmic Background Explorer (COBE) avevano mostrato che molte delle prime stelle dell'universo erano sfuggite persino alle più approfondite survey effettuate nella luce visibile. Questo perché le stelle erano oscurate da nubi di polvere che ne avevano assorbito la luce e l'avevano riemessa come radiazione infrarossa. Il COBE però, non poteva stabilire dove e quando le stelle invisibili dell'universo avrebbero iniziato a splendere. Dettaglio dell'Hubble Deep Field A questo punto entrò in campo SCUBA, il Submillimeter Common-User Bolometer Array, che "fotografa" come appare il cielo alle lunghezze d'onda submillimetriche dal piano focale del telescopio James Clerk Maxwell sul Mauna Kea. Il numero di Nature di Giovedi riporta le immagini riprese dallo SCUBA dell'Hubble Deep Field (di cui una parte è visibile in basso a destra) e di due altre regioni di cielo dell'Orsa Maggiore e dei Cani da caccia. Anche se relativamente grezze, le immagini contengono un pugno di "macchie calde" nelle onde submillimetriche, che si presume siano la luce delle stelle arrossata dalle nubi di polvere nelle galassie neonate. Secondo gli scopritori, queste macchie sono sufficientemente luminose da rappresentare una frazione significativa della luminosità globale del cielo infrarosso (presupponendo che siano presenti nell'intero cielo in egual misura). Il prossimo passo, l'associazione senza ambiguità alcuna delle macchie calde a galassie di redshift conosciuto, potrebbe richiedere l'elevata risoluzione di un telescopio orbitante o di un interferometro terrestre che operasse alle lunghezze d'onda submillimetriche.


L'asteroide Matilde A sinistra: Questa immagine di Matilde è stata ricostruita utilizzando quattro primi piani inviati a Terra dalla sonda Near Earth Asteroid Rendezvous (NEAR), transitata in prossimità dell'asteroide il 27 giugno 1997. Il grande cratere in ombra che la domina dovrebbe essere profondo 10 chilometri. Cortesia Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory.

La NASA apre il dipartimento per gli oggetti astronomici pericolosi

L'emozione per lo "sfioramento" dell'asteroide del marzo scorso ha avuto i suoi effetti sulla NASA. L'agenzia spaziale ha annunciato il 14 luglio che il Jet Propulsion Laboratory diverrà la sede del Near-Earth Object Program Office, guidato da Donald Yeomans. Questo dipartimento avrà la responsabilità di rilevare, seguire e studiare comete ed asteroidi potenzialmente pericolosi. Il suo obiettivo sarà quello di trovare almeno il 90 per cento dei 2.000 oggetti stimati più grandi di 1 chilometro di diametro che si avvicinano alla Terra. Inoltre, secondo Carl Pilcher direttore scientifico dell'esplorazione del sistema solare nell'Office of Space Science della NASA, il nuovo ufficio avrà il compito di avvisare la popolazione se dovesse essere scoperto un oggetto potenzialmente pericoloso. Per ulteriori informazioni, leggete l'articolo della NASA sull'argomento.


MMT Mirror Blank A sinistra: Il riflettore di 6,5 metri designato a rimpiazzare i sei primari di 1,8 metri del Multiple-Mirror Telescope è stato fuso allo Steward Observatory Mirror Lab nell'aprile 1992. La lucidatura è stata completata nel 1996. Lo specchio gigante sarà installato alla fine del 1998.

In viaggio la cella del nuovo specchio dell'MMT

Il Multiple-Mirror Telescope sulla sommità di Mount Hopkins in Arizona sin da marzo è stato posto fuori servizio. I sei specchi di 1,8 metri sono stati rimossi per far posto ad un singolo specchio primario di 6,5 metri di diametro e le modifiche alla struttura del telescopio sono state quasi ultimate. Il 23 luglio, lo specchio e la cella che lo accoglie verranno separati cosicché possano in seguito essere trasportati sulla montagna. La cella pesa 120 tonnellate ed è formata da 100 supporti che sostengono lo specchio. La mattina del 27, il meccanismo di supporto che misura 7,5 metri di larghezza, imboccherà l'Interstate 19, la strada che lo porterà da Tucson ad Amado, in Arizona. Lo specchio stesso sarà trasportato verso la montagna in novembre e la prima luce è prevista per poco dopo. Le osservazioni astronomiche inizieranno la prossima primavera.


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