Il Notiziario di
Sky & Telescope

Edizione italiana a cura di Mario Farina

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Giovedi 25 febbraio

A sinistra: Doppia immagine di Marte ripresa dal Telescopio Spaziale Hubble che ci mostra il pianeta in "colori reali" (a sinistra) e nel vicino infrarosso (a destra). La fotografia nel visibile, ripresa dalla Wide Field and Planetary Camera 2, rivela la presenza di foschie atmosferiche bluastre e di polveri ricche di ferro nelle calotte polari. Quella in falsi colori, ripresa dal Near Infrared Camera and Multi-Object Spectrometer, evidenzia un'area rossastra formata da minerali contenenti tracce d'acqua che, nel visibile, appare come una zona più scura. Si ringraziano Jim Bell, Justin Maki, Mike Wolff e la NASA. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Hubble studia la geologia marziana

Si ipotizza da tempo che un tempo Marte fosse un pianeta su cui fluisse l'acqua. Le immagini rilasciate oggi dallo Space Telescope Science Institute rafforzano ulteriormente questo scenario e sembrano localizzare le zone dove un tempo quest'ultima si concentrava. Utilizzando il Near Infrared Camera and Multi-Object Spectrometer di Hubble, l'unico strumento in grado di osservare Marte a queste lunghezze d'onda, Jim Bell (Cornell University), Justin Maki (Jet Propulsion Laboratory) e Mike Wolff (Space Sciences Institute) hanno scoperto delle regioni che sulla superficie hanno vaste concentrazioni di minerali contenenti acqua.

Troverete maggiori informazioni sulle ricerche attuali e future su Marte ed una guida alla sua osservazione per quest'anno nel numero di aprile di Sky & Telescope.


Mercoledi 24 febbraio

A sinistra: L'Advanced Research and Global Observation Satellite (ARGOS) è un un prototipo per nuove tecnologie spaziali. Si ringrazia l'USAF. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Lanciato un satellite astronomico dell'US Air Force

Alle 2:29 ora locale, un razzo Delta II è partito dalla Vandenberg Air Force Base con tre satelliti che studieranno la Terra e lo spazio. Il più grande del trio è l'Advanced Research and Global Observation Satellite (ARGOS), un prototipo militare del peso di tre tonnellate che tra le sue 30 apparecchiature da provare comprende un sensore per raggi X per l'osservazione di sorgenti di alta energia come stelle di neutroni e buchi neri; altri esperimenti a bordo dell'ARGOS studieranno la propulsione elettrica, la fisica della ionizzazione dei gas e l'analisi dei detriti spaziali. La missione dovrebbe durare tre anni. Il razzo vettore trasportava anche SUNSAT, un satellite costruito in Sud Africa ed Orsted, un satellite danese che studierà i campi magnetici terrestri.


Venerdi 19 febbraio

A sinistra: Questa illustrazione ci mostra come l'ammasso globulare NGC 6712 stia perdendo gradualmente stelle di piccola massa, mentre compie la sua orbita nella Via Lattea. Queste stelle, strappate via a causa di disturbi gravitazionali, continuano ad orbitare intorno al centro galattico ed a popolare l'alone della Via Lattea. Si ringrazia l'ESO. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Il VLT svela il destino di un ammasso globulare

Il più grande telescopio dell'emisfero australe, l'"Unit Telescope 1" così viene definito tecnicamente il primo dei quattro riflettori di 8 metri di diametro che presto andranno a costituire il Very Large Telescope dell'European Southern Observatory nel Cile settentrionale, ha fotografato la prova dell'esistenza di un fenomeno di cui da tempo si sospettava l'esistenza: la dissoluzione di un ammasso globulare ad opera delle forze mareali del nucleo della Via Lattea. Come parte del programma di verifica scientifica, l'UT 1 ha ottenuto recentemente una accurata immagine nel visibile di NGC 6712, un ammasso globulare di 8° magnitudine a circa 23.000 anni luce di distanza nella costellazione dello Scudo (Scutum).

Sebbene osservabile anche con un binocolo, è stato necessario utilizzare un telescopio come l'UT 1 per fare l'inventario delle sue stelle più deboli, stelle che essendo di magnitudine 25, sono 40 milioni di volte più deboli delle stelle più fioche che è possibile osservare ad occhio nudo in una notte senza Luna. Questo inventario, una volta effettuato, ha svelato la presenza di un enigma. Nella maggior parte degli ammassi globulari le stelle con poca massa superano, quantitativamente, quelle di grande massa: in NGC 6712 è stato osservato il fenomeno opposto.

Gli astronomi sanno da tempo che le stelle di piccola massa passano la maggior parte della loro esistenza alla periferia di certi globulari mentre le altre tendono a concentrarsi verso il centro (consultate "The Dynamic Lives of Globular Clusters" nel numero di ottobre 1998 di Sky & Telescope). La stranezza demografica di NGC 6712 fa supporre che ci sia qualcosa che tende a strappare le stelle dall'inviluppo esterno dell'ammasso. Si tratta, più precisamente, di un fenomeno di interazione tra le forze mareali del nucleo galattico e le regioni esterne dei globulari, di cui gli astronomi sospettavano l'esistenza. E si ritiene che NGC 6712 compia un'orbita che lo porta particolarmente vicino al centro della Via Lattea, dove le mareee gravitazionali sono particolarmente intense. Per maggiori dettagli, leggete il comunicato stampa dell'ESO.


Venerdi 19 febbraio

A sinistra: Immagine quasi a colori reali del quadrante nord-ovest del polveroso nucleo di NGC 1316 ripreso dal Telescopio Spaziale Hubble, resa pubblica ieri. Gli oggetti puntiformi vicino alla periferia sono ammassi stellari relativamente diffusi; forse si sono formati a seguito di un recente fusione con una galassia compagna. La regione ripresa in questa immagine misura circa 12.000 anni luce. Si ringraziano Carl Grillmair (Caltech) e la NASA. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Hubble punta Fornax A

NGC 1316, altrimenti nota come Fornax A, è un enigma astronomico dai molti volti: è una sorgente di getti di plasma relativistici che emettono copiosi flussi di onde radio; è una galassia dilatata che contiene deboli gusci stellari e contorte bande di polveri ed inoltre una sorgente di raggi X cosmici. Per lungo tempo gli astronomi hanno sospettato che la particolare natura di Fornax A fosse il risultato di una o più fusioni tra galassie. Un team guidato da Carl Grillmair (adesso presso il Caltech) ha osservato questo oggetto di 9° magnitudine nel 1996 con l'Hubble Space Telescope. Come hanno spiegato il mese scorso nell'Astronomical Journal,, in NGC 1316 sembrerebbero mancare i luminosi ammassi globulari blu che sono stati osservati in collisioni tra altre galassie come nel caso dell'Antennae; possiede però un pugno di ammassi relativamente diffusi che potrebbero essere stati portati da una galassia nana o da una piccola spirale inglobata recentemente.


Giovedi 18 febbraio

A sinistra: Dalle immagini pervenuteci dalla sonda Mars Global Surveyor delle profondità dei canyon del pianeta rosso sembrerebbe che Marte sia stato vulcanicamente molto più attivo di quanto i ricercatori pensassero. Questa porzione della Valles Marineris è stata ripresa il primo gennaio 1998. Si ringraziano Malin Space Science Systems e NASA. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Ecco il pianeta rosso!

Quattro lettere nel numero del 17 febbraio di Nature fanno luce sui risultati ottenuti dallo studio delle immagini riprese dalla sonda Mars Global Surveyor (MGS) che recentemente ha raggiunto la sua orbita definitiva intorno al pianeta rosso. Tra le scoperte più sorprendenti quella che Marte sarebbe stato vulcanicamente più attivo di quanto si pensasse (e forse molto recentemente). Alfred S. McEwen (Università dell'Arizona) e colleghi spiegano che in precedenza, avendo trovato diversi strati confusi di materiale lungo le pareti dei canyon di Marte, ritenevano che l'attività vulcanica avrebbe coperto la loro superficie con un sottile strato che gli impatti degli asteroidi avrebbero poi sgretolato. Le immagini dell'MGS mostrano invece che il materiale della superficie è completamente ricoperto da uno strato fino ad una profondità di 8 chilometri. Ciò farebbe supporre che Marte sia rimasto attivo ben dopo la fase iniziale della formazione del sistema solare in cui fu pesantemente bombardato dai planetesimali. Un'altra lettera di William K. Hartmann (Planetary Science Institute) e colleghi descrive come l'elevata risoluzione della macchina fotografica dell'MGS abbia permesso di conteggiare i piccoli crateri, consentendo ai ricercatori di fare una stima più precisa delle età della superficie delle varie regioni. Il terzo studio spiega come le dune di sabbia su Marte indichino che i venti hanno in buona parte gli stessi effetti di modellazione del terreno che vediamo sulla Terra. Il quarto spiega come le tracce di ghiaccio o acqua, visibili nelle valli marziane, indichino questi elementi come fattori determinanti della loro formazione.

Troverete maggiori informazioni sulle ricerche attuali e future su Marte ed una guida alla sua osservazione per quest'anno nel numero di aprile di Sky & Telescope.


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