Magnitudine di un astro

Con il termine magnitudine (dal latino Magnitudo,inis=grandezza) si intende la misura della quantità di luce che ci arriva da un corpo celeste (stelle, galassie, nebulose...). Questa quantità di luce dipende da molti fattori come la distanza dell'astro in questione, la sua grandezza, la sua temperatura ecc.

Guardando il cielo si vede subito che alcune stelle sono più luminose di altre. Inoltre la luce che la stella emette, durante il tragitto fino alla Terra, deve attraversare una quantità di materia interstellare che ne assorbe una parte (assorbimento interstellare); la stessa atmosfera terrestre contribuisce a questo assorbimento. Per cui una stella che magari è più luminosa ma più lontana di un'altra, ci appare più debole. Sorge allora la necessità di avere un metro valido in generale per misurare la luminosità di un astro.

La magnitudine apparente

Sappiamo che vi sono stelle che appaiono più luminose di altre. Per poter confrontare le stelle in base alla propria luminosità si deve utilizzare una scala. Salvo piccole estensioni la scala che si utilizza oggi è la stessa introdotta dai greci: si attribuisce il valore di magnitudine apparente 1 alla stella che in cielo appare più luminosa e 6 a quella più debole visibile ad occhio nudo.

La dicitura apparente è dovuta al fatto che ci si riferisce alle luminosità delle stelle così come appaiono viste dalla superficie terretre. In realtà questa scala non ci permette di classificare e quindi confrontare correttamente le stelle tra di loro, in quanto la differente magnitudine apparente può dipendere sia dal diverso splendore intrinseco dell'astro sia dalla diversa lontananza dalla Terra . Anche volendo utilizzare questa scala si deve tener conto che la scala è di tipo geometrico, ovvero la stella di magnitudine apparente 1 non è 5 volte più luminosa di una di magnitudine 6 ma ben 100 volte. Questo fatto è legato alla legge psicofisica di Fechner che dice in sostanza che quando una sensazione varia con progressione aritmetica vuol dire che lo stimolo, che l'ha determinata, è variato in progressione geometrica. In ogni caso la scala non è utile così com'è e se ne costruisce una semplice trasformazione: la magnitudine assoluta.

Magnitudine assoluta

Si è deciso allora di costituire un sistema di magnitudini assolute in cui si misura la luminosità che avrebbero gli astri se fossero tutti alla distanza (arbitraria) di 10 Parsec dalla Terra. Ricordiamo che 1 Parsec (PARallasse per SECondo d'arco) è la distanza da cui il semiasse maggiore dell'orbita terrestre sottende un angolo di 1 secondo d'arco ed equivale a 3,26 anni luce.

La relazione che lega la magnitudine relativa (m) a quella assoluta (M) è:

M = m + 5 -5*log(d)

dove d è la distanza della stella in Parsec. Da questa relazione si vede che se si conosce la distanza di una stella se ne può determinare la magnitudine assoluta; viceversa se si conosce la magnitudine assoluta si può risalire alla distanza, e questo è quello che ci permettono di fare le variabili cefeidi.

La scala delle magnitudini

Il sistema per indicare le magnitudini è un pò insolito. Circa nel 127 a.C., Ipparco scrisse il primo catalogo stellare, comprendente circa un migliaio di stelle, dove l'autore indicava le più luminose come stelle di 1a grandezza e quelle appena visibili come stelle di 6a grandezza, con tutte le classi intermedie. Basandosi su questa prima classificazione gli astronomi moderni indicano le stelle più luminose con i valori più bassi (ormai anche negativi, dato l'enorme numero di stelle scoperte dai tempi di Ipparco), mentre i valori più elevati indicano stelle meno luminose. Per cui una stella di magnitudine relativa 2 ci appare più luminosa di una con m=5.

Tramite le megnitudini assolute è possibile confrontare le luminosità intrinseche delle stelle, indipendentemente dalla loro distanza. Ad esempio, la stella che ci appare più luminosa è senza dubbio il Sole, che ha una magnitudine relatica di -26,8 ma una magnitudine assoluta di 4,8, per cui il nostro Sole è una stella media, meno luminosa di Vega (alfa-Lirae), che ha una magnitudine relativa di 0,04 ma una magnitudine assoluta di 0,5.

I problemi però non sono finiti, perchè il nostro sistema visivo, l'occhio, è un recettore che non è in grado di rilevare che una piccola parte dello spettro elettromagnetico (lo spettro visibile) che va dal violetto al rosso. Inoltre all'interno di questo intervallo, non tutti i colori sono recepiti con la stesssa facilità in quanto l'occhio assorbe maggiormente la luce giallo-verde, essendosi evoluto in un ambiente illuminato dalla luce giallo-verde del Sole. Per cui, quando osserviamo il cielo con l'occhio, vediamo meglio le stelle gialle e peggio quelle di altri colori. Se poi facciamo una fotografia de cielo, saranno rilevate meglio stelle di altri colori a seconde della sensibilità della pellicola alle diverse frequenze.

Quindi è necessario, quando si indica una magnitudine, segnalare con quale strumento è stata rilevata, per cui si avranno magnitudini visuali (Mv), magnitudini fotografiche (Mp) ecc.

Magnitudine bolometrica

Proprio perchè vari recettori sono sensibili a lunghezze d'onda diverse, si effettuano le cosiddette correzioni bolometriche per calcolare le magnitudini bolometriche, che tengono conto delle varie lunghezze d'onda.

Le magnitudini bolometriche sono quindi più "obiettive". Ogni astro perciò è caratterizzato dal suo indice di colore (B-V), un parametro che esprime la differenza tra la magnitudine bolometrica e visuale, indicando così il colore della stella.


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