Una planetaria dorata

di Leos Ondra

Anonima e solitaria all'interno di un ammasso globulare, questo piccolo cerchio verde della nebulosa planetaria ha stuzzicato la mia curiosità dai tempi in cui iniziai ad avere familiarità con l'Atlante del cielo. Fino ad ora, non ho avuto la possibilità di risolverla nel grappolo di stelle del debole ammasso ma, nonostante ciò, la conosco molto bene per via di numerose letture. La planetaria, chiamata la maggior parte delle volte Pease 1 (Kustner 648 e PK 65-27 1 sono le altre denominazioni) gioca un ruolo importante nella comprensione della naura di questo tipo di oggetti a causa della sua probabile appartenenza al club esclusibo di stelle che formano l'ammasso M15. Innanzitutto possiamo determinare la sua distanza (e conseguentemente il diametro e la massa) meglio di altre nebulose planetarie. L'osservazione del suo spettro inoltre, offre un'ottima possibilità di indagare la composizione chimica delle stelle di un ammasso globulare. Terzo, se combiniamo l'osservazione dell'ammasso alla teoria dell'evoluzione stellare, possiamo stimare l'età e la massa della nebulosa primitiva. Infine, e assai più interessante, ci si aspetta che una precisa mappatura radio della forma e della struttura di Pease 1 ci suggerisca dove sia finita tutta la materia interstellare prodotta dagli ammassi giganti e supergiganti.

La prima citazione scritta della nebulosa planetaria si trova in un vecchio studio fotometrico di M15, pubblicato nel 1921 da Friedrich Kustner. [1] Nel suo lungo elenco, ha incluso 648, una stella abbastanza ordinaria di magnitudine fotografica 13,78. Solo sei anni più tardi, il 30 agosto 1927, mise la sua storica firma su una lastra presa da F. G. Pease con un telescopio di 2,5 metri di Mount Wilson. Venne utilizzato un filtro ultravioletto "Pulkovo", e Kustner 648 rispetto alle stelle vicine appariva molto più luminosa (pur essendo di magnitudine simile). La causa e quindi la vera natura dell'oggetto furono rivelate con l'uso di uno spettrografo l'estate successiva. Il continuum di una stella calda e soprattutto le linee verdi caratteristiche dell'ossigeno posero definitivamente Pease 1 tra le nebulosa planetarie. [2]

Naturalmente, F. G. Pease cercò di rispondere alla domanda cruciale se la nuova planetaria appartenesse o meno all'ammasso ma ancora oggi, nonostante le possibilità offerte dalle attuali tecnologie, dobbiamo ammettere che ci sono solo prove indirette, anche se le argomentazioni contrarie alla possibilità che si tratti di un'accidentale sovrapposizione prospettica sull'ammasso siano estremamente convincenti. Nuove misurazioni o stime più precise delle distanza non sembrano per il momento strade percorribili. Gli astronomi sono condannati a studiare l'architettura dell'universo da una posizione sola, la nostra Terra o, in tempi più recenti all'interno del sistema solare e la parallasse è un metodo valido solo per oggetti ad un "tiro di schioppo" dal Sole. Negli altri casi, dobbiamo utilizzare altri sistemi, molto spesso approssimativi. La situazione si presenta particolarmente sfavorevole per le planetarie ed è quasi impossibile garantire che l'incertezza sulla distanza di Pease 1 da noi sia inferiore al diametro dell'ammasso.

Anche se per miracolo lo potessimo fare, rimarrebbe ancora una condizione per ammettere la nebulosa al club di M15: la sua velocità rispetto al centro gravitazionale dell'ammasso non potrebbe superare la velocità di fuga. [3] Di solito, si considera solo la componente radiale della velocità (parallela alla nostra linea di vista), perché è molto più facile da misurare di un moto proprio. Secondo gli scritti originali di Pease, la nebulosa planetaria si avvicina al Sole a 156 km/s mentre l'ammasso a 180 +/- 50 chilometri al secondo. I valori attuali indicano 128 km/s per la nebulosa e 112 km/s per M 15, entrambi in avvicinamento. [4] La velocità di fuga dal centro dell'ammasso è di circa 40 chilometri al secondo. Nella posizione di Pease 1 dovrebbe essere leggermente inferiore ciononostante è generalmente accettato che la nebulosa gravitazionalemente sia un membro di questo sistema stellare.

Questa affermazione ha, rispetto a quanto esposto in precedenza, molteplici implicazioni. Iniziamo dalla composizione chimica. Il nostro Sole con tutti i suoi pianeti, comete e gli altri oggeti in circolazione, così come le stelle del cielo è composto da materia formata da elementi stabili, tra cui il carbonio, essenziale per la nascita della vita ed il ferro, importante per l'evoluzione della nostra civiltà. Tutti gli elementi più complessi del litio hanno origine all'interno delle stelle o nel corso dell'esplosione delle supernove. Trascurando le collisioni tra raggi cosmici ed atomi del mezzo interstellare, l'unico altro modo conosciuto per la produzione di nuovi elementi è nell'evoluzione dell'universo caldo, nei pochi minuti dopo il Big-Bang. In quegli istanti è stato sintetizzato quasi tutto l'ammontare di elio, circa un quarto della massa visibile dell'universo. L'inesistenza di qualsiasi altro nucleo stabile di peso atomico tra 5 e 8 non permise la produzione di carbonio o di qualsiasi altro elemento più pesante, i metalli in gergo astrofisico.

Stelle vecchissime della prima generazione con pochissimi predecessori contengono quindi metalli in quantità trascurabili. Qusto tipo di stelle si trova in alcuni ammassi globulari, fossili viventi vecchi 16 o 17 miliardi di anni. Messier 15 è un ammasso di questo tipo e Pease 1 dovrebbe avere la stessa composizione. Le analisi spettrali della nebulosa planetaria sono una vera e propria istantanea che ci permette di determinare anche le abbondanze di elementi che non hanno lasciato tracce misurabili negli spettri delle stelle dell'ammasso. [5] Mentre nei gas l'ammontare di elio è quasi lo stesso in tutto l'universo, troviamo quantità minori di ossigeno (circa 1/40 di quello del Sole), di azoto (1/30 scarso) mentre l'argon per esempio, è quasi completamente assente (1/250 del Sole). [6]

Nonostante appaia anomala rispetto a quella della nostra stella, la composizione chimica di Pease 1 è quella tipica di una nebulosa planetaria presa nel nostro angolo dimenticato della galassia. Valori assolutamente non definitivi di questi parametri sono stati derivati nove anni fa da R. Gathier e colleghi. [7] Questi astronomi hanno osservato Pease 1 con il Very Large Array (VLA), alla lunghezza d'onda di 6 cm riuscendo a disegnare la mappa più dettagliata mai realizzata che presenta il corpo principale di Pease 1 che misura 1,0 +/- 0,3 secondi d'arco di diametro. Alla distanza stimata di M15 di 10 kparsec (32,6 anni luce) corrisponde ad un diametro lineare di un mese luce. Andando oltre, gli autori hanno supposto che la planetaria fosse trasparente alle frequenze utilizzate e quindi la massa totale dei gas ionizzati di Pease 1 raggiungesse il valore di 0,14 masse solari, valore con errore circa del 40 per cento. Lavori precedenti, basati sulle più classiche analisi della luce visibile, fornirono valori di 0,21 masse solari. Contemporaneamente, le teorie dell'evoluzione stellare, stimavano la massa della nebulosa ancestrale in 1,1 masse solari. Il resto della materia della stella progenitrice è racchiusa strettamente nel nucleo della planetaria destinato a diventare una nana bianca e forse in un passato ed invisibile vento stellare intorno alla nebulosa.

Pease 1 è stata per lungo tempo l'unica planetaria in un ammasso globulare ma oggi "Sua Maestà" è già stata detronizzata. Una seconda nebulosa, ugualmente privilegiata, è stata rilevata originariamente come la sorgente infrarossa puntiforme IRAS 18333-2357, circa 1' a sud del nucleo dell'ammasso globulare M 22. Qualche tempo dopo, F. C. Gillett [9] (naturalmente insieme ad altri astronomi), la identificò come nebulosa planetaria molto particolare. Linee dell'idrogeno e dell'elio, due elementi ampiamente presenti nell'universo, erano assenti dallo spettro mentre erano predominanti le linee verdi dell'ossigeno e linee proibite del neon. Studi sulla velocità radiale e sul suo moto proprio [10] hanno confirmato l'apparteneza della nebulosa ad M 22.

Entrambe queste nebulose sono uniche per una ragione più importante: fino a poco tempo fa, costituivano l'unica fonte di materia interstellare conosciuta all'interno di un ammasso globulare. Questi sistemi stellari sono generalmente ricchi di giganti e supergiganti, che perdono parte della materia con il vento stellare. Ciascuna stella fornirebbe circa 0,3 masse solari di gas al quantitativo totale di materia interstellare presente nell'ammasso. In un miliardi di anni, avrebbero dovuto accumularsi complessivamente alcune migliaia di masse solari di gas.

Tutte le ricerche di questa materia, molecole, idrogeno ionizzato o neutro o polveri localizzate dal satellite IRAS sono fallite. E' stato verificato che si contano oltre 30 ammassi globulari che ne sono assolutamente privi. Solo l'anno scorso è stata annunciata da D. J. Faulkner ed altri [11] la scoperta della presenza di circa 200 masse solari di idrogeno neutro nell'ammasso australe NGC 2808.

Cosa svuoti gli ammassi globulari rimane un mistero. E' vero che ad ogni passaggio dell'ammasso in prossimità del disco galattico tutto il gas è strappato via ma ciò accade due volte per ogni orbita intorno al centro galattico, ad intervalli di circa dieci milioni di anni. Ma anche per un periodo così breve, dovrebbe essere prodotta ed osservata (con l'eccezione di NGC 2808) una quantità di gas sicuramente maggiore. Una possibile spiegazione ci è arrivata quando il gruppo di R. N. Manchester [12] ha dimostrato che negli ammassi globulari sono presenti un numero di pulsar veloci con potenti venti relativistici assai maggiore del previsto. Prima di questo lavoro, gli astronomi conoscevano 13 pulsar di questo tipo, suddivise in 12 ammassi globulari. Le osservazioni dello splendido ammasso 47 Tucanae effettuate con il radiotelescopio Parkes in Australia hanno rivelato solo in questo ammasso dieci nuove pulsar veloci.

Se gli altri ammassi globulari contengono pulsar in quantità simili e se solo una piccola frazione di queste avesse una forte interazione con i gas dell'ammasso [13], il mistero di questo vuoto dovrebbe essere risolto. [14] Lo studio accurato della morfologia di Pease 1 potrebbe giocare un ruolo decisivo nella verifica di questo meccanismo. Già sulla mappa radio di Gathier la nebulosa planetaria appare allungata esternamente rispetto alla pulsar nel cuore di M15.

Qualcosa va cambiato

Poco dopo aver ricevuto un piccolo plico dall'Osservatorio del Pic-du-Midi, ho corretto l'articolo "Una planetaria dorata". Michel Auriere ha incluso anche uno scritto che avevo trascurato in precedenza, "K 648, la nebulosa planetaria nell'ammasso globulare M 15" (Mon. Not. R. astr. Soc. 207, 471, 1984). Nello studio, l'autore partiva da valori della densità del gas, del diametro angolare e della distanza dell'ammasso quasi uguali a quelli utilizzati da R. Gathier ma la massa della nebulosa planetaria risultava pari a sole 0,011 solar masses. Impressionato da ciò, trovai un errore nelle mie note sullo scritto di Gathier. La massa che derivò in realtà è di 0,014 e non 0,14 come indicato nel mio articolo. Pease 1 risulta così avere una massa insolitamente piccola rispetto alle planetarie in prossimità del Sole.

Il gruppo di S. Adams ha compiuto un'attenta spettrofotometria della planetaria scoprendo che il suo inviluppo non è così povero di carbonio come lo sono le stelle dell'ammasso. Kustner 648 contiene infatti carbonio in quantità leggermente superiori (naturalmente rispetto all'idrogeno) del nostro Sole. Probabilente ciò è dovuto alle ceneri nucleari trasportate verso gli strati esterni della stella progenitrice e divenuti forse parte della nebulosa planetaria.

Per gli osservatori, più importante è la magnitudine visuale V della nebulosa, misurata con precisione risulta essere 14,64 con una luminosità della stella centrale pari al 75 per cento. Inoltre, la planetaria ha una debole componente a 0.9'' verso sud (la stella AC 728, mag. V 15,56).

Note e riferimenti:


 [1] Veröffentlichungen  der  Universitäts-Sternwarte zu Bonn, n. 12,

     1921

 [2] PASP 40, 342, 1928

 [3] Infatti, il concetto di velocità di fuga, così semplice nel caso di stelle binarie o di satelliti nel campo 
gravitazionale terrestre,  deve essere utilizzato con cautela nel caso di un ammasso globulare. Una piccola velocità di
fuga, di per se non è una garanzia; sufficiente a legarla per sempre in un ammasso. L'incontro con una binaria stretta
potrebbe avvicinare ulteriormente la binaria (evento difficile secondo gli astronomi) e spedire la stella solitaria fuori
dall'ammasso.

 [4] Stuart  R. Potasch: Planetary Nebulae, D. Reidel, Dordrecht, 1984

     (velocità radiale di Pease  1),  e  A.  Hirsfeld e Roger W.

     Sinnott: Sky Catalogue 2000.0, Vol. 2, Sky Publishing Corp., 1985

     (velocità di M 15).

 [5] Abbiamo una situazione simile per l'elio del Sole. Sembrerebbe che la misura dell'abbondanza degli elementi, che
è stata scoperta solo nella nostra stella (nel corso di un'eclisse totale nel 1968),  e persino rilevata, sia una cosa
semplice e di routine. Invece nella fotosfera solare, l'elio ha linee debolissime e la sua abbondanza, immessa nei computer
per la realizzazione di un modello della struttura e dell'evoluzione del Sole, è stata ricavata dalle osservazioni di
nebulose diffuse e stelle calde in prossimità della nostra stella.

 [6] Dati presi dalla citata monografia di Potasch.

 [7] Astron. Astrophys. 127, 320, 1983

 [8] Astrophys. J. 140, 119, 1964

 [9] Astrophys. J. 338, 862, 1989

[10] Astron. J. 99, 1863, 1990

[11] Astrophys. J. 374, L 45, 1991

[12] Nature 352, 219, 1991

[13] L'eliminazione dei gas circostanti (anche se non di un ammasso stellare) nel caso della PSR 1957+20 è ben
illustrata in una fotografia edita su Nature 335, 801, 1988.

[14] Nature 352, 221, 1991

Didascalie delle immagini:

  1. La nebulosa planetaria Pease 1 in M 15 causa a volte alcuni problemi nei felici possessori di grandi telescopi a causa della mancanza di buone mappe. Il nostro problema sembra essere l'opposto. Non abbiamo un telescopio sufficientemente grande ma abbiamo diverse mappe nell'archivio dell'Amateur Sky Survey. Questa è ripresa (e leggermente adattata) dal Perek & Kohoutek's Catalogue of Galactic Planetary Nebulae, NCSAV, Prague, 1967, Lastra 103.
  2. Per realizzare questa seconda, le stelle sono state tracciate sull'elenco originale di Kustner. La nebulosa (la stella 648 di circa 14a mag) è segnalata dalle barre. L'area vuota nell'angolo in basso a destra è dovuta all'omissione di Kustner di stelle nel centro affollato di M 15.
  3. L'ultima mappa sono un paio di fotografie di M. Auriere e colleghi (Astron. Astrophys. 63, 341, 1978). Quella a sinistra è senza filtri mentre quella a destra è stata ottenuta con filtro nebulare [OIII]. Da notare che la nebulosa è molto più luminosa nell'ultima. Ciascun fotogramma misura 35'' per 50'' il nord in alto e l'ovest a destra.
  4. Il più dettagliato ritratto radio di Pease 1, preparato da R. Gathier alla lunghezza d'onda di 6 cm. Ulteriori analisi della morfologia della nebulosa si ritiene possano suggerire un'ipotesi sul perché il gas sia completamente assente nella maggior parte degli ammassi globulari.
  5. La posizione della nebulosa planetarie (indicata dalla freccia) tra le stelle luminose di M15 e pulsar dalla PSR 2127+11A alla E. Tutte le pulsar tranne una sono un classico esempio di quello che viene definito un nucleo dopo il collasso, un risultato inevitabile dell'evoluzione dinamica delle stelle di un ammasso globulare. Il collasso del nucleo (si ricordi la forte concentrazione di M15 visibile al telescopio) si arresta solo quando si è formato, per aggregazioni mareali, un numero sufficiente di binarie strette. Incontri di nuclei stellari con questo tipo di binarie potrebbe portare ad un incremento della loro velocità che si opporrebbe al collasso. La pulsar binaria PSR 2127+11C, che ha un periodo di 8 ore, si ritiene sia stata espulsa alla periferia di M 15 poco dopo un incontro ravvicinato di questo tipo. Nondimeno, sembrerebbe che questo non sia stato fatale e la pulsar apparterrebbe ancora all'ammasso. Ricavaato da una cartina di T. A. Prince et al. (Astrophys. J. 374, L 41, 1991), Pease 1 è stata aggiunta seondo le coordinate determinate da R. Gathier.
(BLUE STRAGGLER 1 luglio 7, 1991)

Leos Ondra (ondra@physics.muni.cz)


Hartmut Frommert (spider@seds.org)
Edizione italiana a cura di Mario Farina (Mario.F@mclink.it)

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