Il Notiziario di
Sky & Telescope

Edizione italiana a cura di Mario Farina

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La rivista indispensabile di astronomia

La Stardust incrocia la Terra

Buchi neri "neri"

Flussi stellari da galassie del passato

Trovata la pulsar relativa alla supernova del 386 D.C.

La luna rossa vista da Europa ed Asia

I disegni di M33

Due strani sistemi solari

E' questa la più grande struttura dell'universo?

Il capo della NASA chiede agli astronomi di pensare in grande

Le grandi protostelle

Fossili di un disco protoplanetario?

Dieci nuove lune per Giove

Patrick Moore sarà nominato cavaliere

Nuove dalla Cassini

Il gigante della Fascia di Kuiper


Venerdi 12 gennaio

A sinistra: Dopo il passaggio ravvicinato alla Terra di questro fine settimana, la sonda Stardust ritornerà nelle nostre vicinanze tra esattamente cinque anni nel frattempo, nel corso di un passaggio daring attraverso la cometa Wild 2, raccoglierà dei campioni. Cortesia NASA/JPL. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

La Stardust incrocia la Terra

Quasi due anni dopo il lancio, la sonda Stardust questo fine settimana farà una breve visita alla Terra, transitando a circa 6.000 km di distanza alle ore 11:20 Tempo Universale del 15 gennaio. Muovendosi nello spazio alla velocità di 36.000 km l'ora, la navicella non rimarrà a lungo nei paraggi. Nel corso del flyby, la gravità terrestre ridirezionerà la Stardust in una nuova orbita con un periodo di 2,5 anni esatti. Al prossimo ritorno, il 15 gennaio 2006, dovrebbe trasportare campioni di materia raccolta dalla chioma della cometa periodica 81P/Wild 2.

Secondo David Dunham, la sonda dovrebbe diventare, per un breve tempo, abbastanza luminosa da poter essere vista con telescopi amatoriali di dimensioni medio-grandi. Secondo le stime di William H. Blume (JPL), la Stardust potrebbe raggiungere la magnitudine 10 poco prima e durante il flyby. Le località favorite per l'osservazione sono l'Asia occidentale, l'Australia e le aree del Pacifico occidentale. Coloro che desiderassero avere le effemeridi relative alla posizione devono andare al sito Horizons System del JPL e modificare i settaggi predefiniti come indicato.

Nel frattempo, i progettisti hanno celebrato il fatto che ora la Stardust può vedere nuovamente bene. L'anno scorso , i test avevano mostrato una specie di deposito aveva contaminato l'ottica della telecamera di navigazione, o il rivelatore CCD, portando alla produzione di immagini così offuscate da renderla inutilizzabile durante le manovre cruciali in prossimità della cometa. Nei pochi mesi successivi, il sistema ottico è stato riscaldato ripetutamente nel tentativo di pulirla. Anche se non perfettamente normale, la telecamera adesso può rilevare stelle sino alla magnitudine 9, quanto basta per il flyby della cometa del 2 gennaio 2004.

— J. Kelly Beatty —

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Speciale dal meeting di San Diego dell'American Astronomical Society
Giovedi 11 gennaio

A sinistra: Esaminando il nucleo delle novae X, gli astronomi hanno scoperto che ne esistono due distinte categorie. In una, il materiale che gli ruota intorno cade su una stella di neutroni riscaldandola ed emettendo raggi X. Nell'altra, la materia semplicemente svanisce nell'oscurità, portandone con se l'energia. Disegno di M. Weiss; cortesia Chandra X-ray Center.

Buchi neri "neri"

Gli astronomi sono piuttosto certi dell'esistenza dei buchi neri. La Teoria generale della relatività di Albert Einstein li prevede dal 1917 e negli ultimi decenni gli astronomi hanno trovato in luoghi diversi le prove inconfutabili, anche se indirette, della loro presenza. I teorici hanno sognato varie alternative (disegnando fisiche bizzare e speculative), per le quali i buchi neri potrebbero non essere del tutto "neri". Sarebbe un bene se si potesse osservare direttamente un buco nero e determinarlo una volta per tutte.

Oggi, all'ultima giornata del meeting dell'American Astronomical Society di San Diego, un gruppo di astronomi ha presentato la prova del fatto compiuto.

Michael Garcia (Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics) ha spiegato come il suo gruppo abbia sfruttato la sensibilità del Chandra X-ray Observatory per studiare 12 novae X, sistemi binari nei quali una normale stella emette un flusso di gas verso un oggetto estremamente piccolo e denso, probabilmente una stella di neutroni o un buco nero. Le spirali di gas in caduta formano un disco che orbita intorno all'oggetto compatto ed occasionalmente quest'ultimo erutta come l'esplosione di una nova. Gli astronomi hanno studiato le novae durante i periodi di quiete, quando un piccolo e continuo flusso di gas raggiunge l'oggetto centrale senza innescare dei fuochi d'artificio.

Sei dei dodici oggetti studiati sono inequivocabilmente stelle di neutroni, perché presentano occasionalmente esplosioni di radiazioni X sulla loro calda superficie. Per gli altri sei, si ritiene siano buchi neri perché hanno una massa superiore a tre masse solari. Un valore simile è sufficiente a far collassare una stella di neutroni e farla diventare letteralmente un punto microscopico. Un buco nero è "l'orizzonte degli eventi" intorno a questo punto: una superficie sferica a senso unico nella quale qualsiasi cosa può cadere ma non emergere. Un buco nero di 5 masse solari dovrebbe avere un diametro di appena 10 chilometri, una dimensione simile a quella di una stella di neutroni.

Gli astronomi hanno accomunato i sistemi di stelle di neutroni con quelli dei buchi neri che hanno lo stesso flusso di gas in caduta. Questo ha permesso di fare qualcosa di raro in astronomia: effettuare un esperimento controllato. I sistemi erano simili con un'eccezione: un diverso oggetto compatto.

Il team ha osservato chiaramente che esiste l'orizzonte degli eventi nei sistemi che hanno il buco nero. Dove l'oggetto centrale è una stella di neutroni, la materia in caduta piove continuamente sulla sua superficie rilasciando tremende quantità di energia visibile come una luminosa emissione X. Laddove si riteneva che l'oggetto fosse un buco nero, la stessa materia in caduta semplicemente svanisce, portando con se la propria energia. Tutto ciò che hanno mostrato è stata un'emissione molto debole dovuta al gas in caduta libera per un valore pari all'uno per cento di quella prodotta dal gas se avesse colpito qualcosa.

"I buchi neri sono veramente neri", ha detto Ramesh Narayan (Harvard Smithsonian Center for Astrophysics) decrivendo la situazione "come se osservassimo una cascata e vedessimo l'acqua svanire sul suo bordo"

— Alan M. MacRobert —

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Speciale dal meeting di San Diego dell'American Astronomical Society
Mercoledi 10 gennaio

A sinistra: Flussi mareali di stelle segnano il fenomeno della fusione tra galassie, come si vede in questa immagine della Antenne nel Corvo. Flussi simili, resti di galassie nane smembrate ed assimilate anche se molto meno visibili e difficili da trovare, circondano la Via Lattea. Cortesia Brad Whitmore (STScI) e NASA.

Flussi stellari da galassie del passato

Enorme e simmetrica, la Via Lattea sembra un prodotto finito. Negli ultimi anni, gli astronomi hanno però scoperto molti segni indiretti del fatto che la formazione della nostra galassia non è ancora definitivamente ultimata. Infatti continua a raccogliere stelle e materia dalle galassie nane che si avventurano troppo nei suoi paraggi e che fa a pezzi gravitazionalmente.

Sottilissimi, i fossili di queste fusioni sono stati distinti nel lontano alone esterno della galassia. "Un tempo si pensava che l'alone della Via Lattea avesse una distribuzione di stelle uniforme", ha detto Anna K. Vivas (Yale University) che ha presentato le sue scoperte al meeting dell'American Astronomical Society. "Il nostro studio mostra chiaramente che questa considerazione è incorretta. Gli addensamenti che abbiamo osservato sono la prova evidente che l'alone contiene i resti di queste piccole ed antiche galassie.

Basandosi sull'osservazione dell'universo primordiale, resa possibile dai potenti telescopi di oggi, gli astronomi sono giunti a ritenere che tutte le grandi galassie come la Via Lattea si siano formate da piccole galassie ed addensamenti stellari quando l'universo era più giovane. Questo processo di accorpamento continua ancora oggi, anche se più lentamente. Heather Morrison (Case Western Reserve University) ha portato un esempio evidente: la galassia nana sferoidale del Sagittario, che la nostra Via Lattea sta fagocitando al lato opposto al Sole dove è quasi completamente nascosta alla vista. Scoperta per caso nel 1994 la nana Sagittario, che ha una massa pari ad appena 1/100 della nostra Via Lattea, ha detto Morrison, è stata deformata dalle forze mareali in una striscia lunghissima e difficile da rilevare, che si estende come un enorme arco per un'ampia frazione di cielo.

L'alone quindi, sembra essere pieno di flussi simili di stelle. Il resto della Via Lattea non è minimamente perturbato da questi fenomeni, "le galassie sono così piccole che in effetti non possono arrecare alcun danno al disco della Via Lattea" ha detto Morrison.

Un altro gruppo ha annunciato la scoperta delle tracce di una grande fusione avvenuta in passato. Rosemary Wyse (Johns Hopkins University) ha descritto lo studio del suo team sui moti stellari nello "spesso disco" della Via Lattea di una popolazione di stelle che si estende sopra e sotto lo strato principale del disco. Quest'ultimo, hanno scoperto, è stato "rigonfiato" dall'energia di una galassia satellite abbastanza massiva unitasi alla Via Lattea circa 10 milioni di anni fa.

— Alan M. MacRobert —

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Speciale dal meeting di San Diego dell'American Astronomical Society
Mercoledi 10 gennaio

A sinistra: Il resto di supernova G11.2–0.3 nel Sagittario risplende nella radiazione X come vediamo in questa immagine del Chandra Observatory della NASA. Le emissioni a bassa, media ed alta energia sono colorate rispettivamente in rosso, verde e blu. Il punto bianco al centro della nebulosa, che misura 5 minuti d'arco, è la pulsar che ruota su se stessa 14 volte al secondo. Cortesia Victoria Kaspi, McGill University e NASA/CXC.

Trovato la pulsar relativa alla supernova del 386 D.C.

Per i testi di astronomia le pulsar, stelle di neutroni densissime con un fortissimo campo magnetico ed in rapida rotazione, sono nate nelle supernovae di Tipo II, le morti esplosive delle stelle di grande massa. I libri di testo spiegano anche come gli astronomi stimano l'età di una pulsar basandosi sulla velocità di rallentamento della rotazione. Nella nostra galassia sono note circa 1.200 pulsars ed un pugno di queste è associato alla nebulosità espulsa dall'esplosione della stella. Solo una pulsar però è stata associata ad una specifica esplosione di supernova: la Pulsar del Granchio, nel cuore della Nebulosa del Granchio nella costellazione del Toro: è il nucleo di una stella che esplose nel 1054. La sua età risultata dal rallentamento è, come previsto, di circa 1.000 anni. Buona parte di quello che sappiamo sulle stelle di neutroni e sui violenti fenomeni associati derivano dallo studio dettagliato di questo singolo caso.

Oggi, al meeting dell'American Astronomical Society, gli astronomi Victoria Kaspi e Mallory Roberts (McGill University) hanno annunciato il collegamento di una seconda pulsar all'interno di una nebulosa ad una storica esplosione di supernova. L'oggetto, cui è stata data la prosaica designazione G11.2–0.3 è stato localizzato a circa 15.000 anni luce di distanza nel Sagittario ed è formato da una pulsar X che ruota 14 volte al secondo all'interno di un guscio di gas che emette alle lunghezze d'onda radio ed X. Basandosi su una nuova immagine del Chandra X-ray Observatory della NASA, Kaspi e Roberts ritengono che la stella di neutroni ed il suo guscio di gas siano nati con un'esplosione registrata dagli astronomi cinesi avvenuta nella stessa regione di cielo nel 386.

La nebulosa venne scoperta nel 1970 ed immediatamente correlata all'evento del IV secolo ma quattro anni dopo, quando gli scienziati trovarono la stella al suo interno con il satellite giapponese per raggi X, arrivarono i primi dubbi perché l'età della pulsar calcolata valutando il rallentamento risultava essere 24.000 anni.

Poiché l'alta risoluzione dell'immagine del Chandra mostra la pulsar all'esatto centro del guscio di gas, per Kaspi l'associazione tra i due è "praticamente ineccepibile". Inoltre, le dimensioni compatte della nebulosa e la sua simmetria sferica la fanno ritenere relativamente giovane oltre a non esserci altre controparti plausibili della stella del 386 in quella parte del Sagittario. Per Kaspi quindi, l'associazione tra G11.2–0.3 e la supernova di 1.615 anni fa è "dorata" e la pulsar deve aver rallentato pochissimo negli anni seguenti. L'età stimata in 24.000 anni è quindi, apparentemente, grossolanamente errata e questo pone seri dubbi sulle età di altre pulsar il che rende necessarie alcune correzioni nei testi di astronomia.

— Richard Tresch Fienberg —

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Speciale dal meeting di San Diego dell'American Astronomical Society
Mercoledi 10 gennaio

A sinistra: L'eclissi lunare del 9 gennaio vista da Hong Kong. L'immagine è stata ripresa da Schindler Leung con una macchina fotografica digitale Nikon attraverso un rifrattore Vixen di 10 cm. A destra del nostro satellite è visibile Delta Geminorum. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

La luna rossa vista da Europa ed Asia

Non in tutto il Regno Unito il cielo era limpido ma nell'irlanda del Nord, nella Scozia occidentale ed Cumbria hanno potuto ben osservare la prima eclissi del terzo millennio. Vicino alla città di Norwich nell'Inghilterra orientale, la visione della Luna rossa a metà eclissi con il ricco fondale dei Gemelli era da mozzare il fiato.

Secondo i primi resoconti l'eclissi è stata più scura del previsto. Robin Scagell, vicepresidente della Society for Popular Astronomy, è rimasto sorpreso dall'oscurità dell'eclissi. E' passato quasi un decennio dall'ultima grande eruzione vulcanica, quella del Monte Pinatubo nelle Filippine, che getto grandi quantitativi di polveri e biossido di zolfo nell'alta atmosfera terrestre. Quando l'aria è pulita, viene assorbita meno luce e l'eclissi è più luminosa.

Patrick Moore, l'astronomo della televisione che era a casa sua nell'Inghilterra meridionale, ha commentato così l'evento: "Si è trattato sicuramente di una eclissi rossa, non luminosa ma semi-luminosa". C'è da dire che durante la totalità il limbo lunare superiore appariva notevolmente chiaro, per via del passaggio attraverso la parte settentrionale dell'ombra terrestre.

Molti altri rapporti ed immagini stanno arrivando dall'Europa, dall'Africa e dall'Asia. Molti membri dello staff di Sky & Telescope sono stati estimoni degli ultimi minuti dell'eclissi, osservandola da Cambridge, nel Massachusetts. La prossima eclissi lunare totale si verificherà il 16 maggio 2003.

— Adrian Ashford —

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Speciale dal meeting di San Diego dell'American Astronomical Society
Martedi 9 gennaio

A sinistra: M33, la vicina galassia Ruota del Carro nel Triangolo, fotografata nelle emissioni radio dell'idrogeno. L'immagine a sinistra mostra i delicati intrecci tracciati dal gas interstellare freddo. Alla destra, lo spostamento Doppler delle emissioni radio nei colori codificati per rivelare la rotazione inclinata della galassia. La materia in blu si sta avvicinando e quella in rosso si allontana, con una differenza di circa 200 chilometri al secondo da parte a parte. Cortesia David Thilker, Robert Braun, Rene Walterbos e NRAO/AUI/NSF.

I disegni di M33

Dopo la Grande Galassia di Andromeda, il vicino extragalattico più prossimo è M33, la galassia the Pinwheel Galaxy nel Triangolo che si trova ad una distanza di circa 2,7 milioni di anni luce. A differenza di Andromeda, M33 ha una dimensione pari a solo metà della via Lattea (circa 60.000 anni luce) ma si presenta alla vista con la sua bella spirale di bracci polverosi.

I radio astronomi hanno mappato il suo idrogeno con un dettaglio superiore a quello di qualsiasi altra galassia che non sia la Via Lattea. L'immagine presentata sopra ci mostra dei dettagli inferiori a 10 secondi d'arco o 130 anni luce. Un'immagine come questa "apre la porta all'apprendimendo di nozioni fondamentali sulle relazioni tra le stelle massive e il complesso ambiente gassoso della galassia", ha detto David Thilker (National Radio Astronomy Observatory) che, in attesa di ulteriori elaborazioni dei dati radio per il raddoppio della risoluzione, ha presentato la mappa al meeting dell'American Astronomical Society. "Riteniamo che l'aumento della risoluzione ci consentirà di osservare le bolle di gas nella galassia che sono state gonfiate a seguito di uno o più eventi di supernovae". Il suo gruppo ha anche scoperto le tracce della possibile presenza di una compagna scura di piccola massa a circa 1/2 grado di distanza.

— Alan M. MacRobert —

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Speciale dal meeting di San Diego dell'American Astronomical Society
Martedi 9 gennaio

A sinistra: Questo disegno di Lynette Cook presenta il gigantesco pianeta che orbita intorno alla stella HD 168443 nel Serpente, visto da una delle sue ipotetiche lune. Il secondo possente pianeta del sistema è appena visibile vicino alla stella. © 2001 Lynette Cook; cortesIA Photo Researchers Inc.

Due strani sistemi solari

Un tempo, parliamo prima del '95, gli astronomi ritenevano che se fossero esistiti altri sistemi solari sarebbero stati più o meno come il nostro. Oggi non la pensano più così. Con la maturazione e l'espansione delle tecniche per la ricerca di pianeti, sono comparse nuove e particolari varietà di sistemi. Alla conferenza stampa di oggi al meeting dell'American Astronomical Society, i leader tra i cacciatori di pianeti Geoff Marcy, Debra Fischer e R. Paul Butler hanno svelato le ultime due grosse scoperte dei loro team. Entrambe riguardano il rilevamento di un secondo pianeta in un sistema dove ne era già stato scoperto uno in precedenza.

Il gruppo ha annunciato che la debole stella nana rossa Gliese 876, distante solo 15 anni luce nella costellazione dell'Acquario, ha due pianeti giganti che orbitano con risonanza 2:1 l'uno rispetto all'altro. Orbitano intorno all'astro, di tipo M4, con periodi di 61 e 30,1 giorni, abbastanza vicino al rapporto 2:1 da garantire che sono in questa configurazione sin dai tempi della loro formazione. E' il primo caso di pianeti giganti le cui orbite sono collegate anche se, nel nostro sistema solare, le risonanze orbitali sono comuni. Le tre lune più interne di Giove, per esempio, sono legate in periodi risonanti tra loro e così molti asteroidi con Giove ed altri pianeti oppure anche Plutone con Nettuno. Adesso, sappiamo che questo legame può esserci anche tra pianeti giganti.

Infatti, come ha spiegato il teorico della formazione dei pianeti Doug Lin (University of California, Santa Cruz), la leggera imperfezione nell'unione 2:1 ci da qualche informazione a proposito della natura fisica di questi corpi. Non possono dissipare efficacemente l'energia orbitale attraverso il riscaldamento mareale e ciò significa che non possono essere corpi solidi come per esempio il satellite Io di Giove che, appunto, iene riscaldato proprio dalle forze mareali. Devono essere fatti di gas, come suggerirebbero le loro masse che sono pari ad almeno 0,6 ed 1,9 volte quella di Giove.

L'altro sistema multiplo annunciato alla conferenza stampa contiene due pesi massimi particolari. Orbitano intorno ad una stella simile al Sole, HD 168443, a 123 anni luce di distanza nel Serpente con periodi di 58 giorni e 4,8 anni ed hanno una massa pari ad almeno 7,7 e 17,2 rispettivamente. L'ultimo valore farebbe del più pesante dei due una nana bruna, secondo una popolare definizione che segna il confine tra i "pianeti" e le "nane brune" a 13 masse equivalenti di Giove. E' questa la massa con la quale un corpo dovrebbe diventare abbastanza caldo al suo interno da iniziare la fusione del deuterio (idrogeno-2), e quindi produrre una piccola energia nucleare.

Non è la prima nana bruna trovata nelle vicinanze di una stella simile al Sole (anche se sistemi simili sono rari) ma si tratta del primo sistema nel quale due corpi, tra cui una nana bruna, orbitano come fossero pianeti. Si presume che si siano formati allo stesso modo e gli astronomi che preferiscono distinguere i pianeti dalle nane brune dal modo in cui si sono formate, piuttosto che dalla loro massa, potrebbero aver guadagnato un punto al loro favore. Secondo gli attuali criteri della formazione, le "nane brune" sono corpi che si condensano direttamente dalle nubi stellari, come le stelle. I "pianeti" iniziano come piccoli nuclei solidi nel disco protostellare e gradualmente aggregano materia dalle regioni circostanti, un processo che richiede un tempo maggiore. Nessuno sa quale processo (o se entrambi) abbia portato alla formazione dei due corpi in orbita intorno ad HD 168443 — in pratica, potrebbe risultare impossibile sapere come si è formato un dato oggetto a milioni, o miliardi, di anni di distanza.

Queste complicazioni sono solo l'inizio. Delle 50 stelle circa che hanno un pianeta già identificato, ha detto Fischer, almeno la metà mostra le prime tracce della presenza di almeno un altro compagno. Altre informazioni è possibile trovarle al sito Web del team.

— Alan M. MacRobert —

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Speciale dal meeting di San Diego dell'American Astronomical Society
Lunedi 8 gennaio

A sinistra: Un ammasso di quasar e galassie lontanissime, forse la più grande struttura cosmica mai osservata, si trova poco a sud del cuore del Leone. L'immagine è stata realizzata con il telescopio Blanco di 4 metri all'Inter-American Observatory di Cerro Tololo in Cile. Gli oggetti rossi luminosi sono stelle in primo piano, le galassie appaiono come punti appena percettibili. Cortesia NSF, NOAO, Chris Haines e Gerard Williger.

E' questa la più grande struttura dell'universo?

Sulla Terra, la struttura più grande eretta dall'uomo è la Grande Muraglia cinese,. Nello spazio, la struttura più grande rilevata dagli astronomi è la Grande Muraglia di galassie oltre l'Ammasso della Vergine. Ma forse non è più così. Gerard Williger (National Optical Astronomy Observatories) ha annunciato la al meeting di questa settimana dell'American Astronomical Society che con i suoi colleghi ha scoperto un remoto gruppo di quasar e di galassie nel Leone di dimensioni doppie a quelle della Grande Muraglia, che si estende per 300 milioni di anni luce.

Il team di Williger era stato guidato verso l'ammasso dalla presenza di 18 quasar, tutti con redshift tra 1,2 ed 1,4, in una zona di cielo di soli 5 gradi per 2,5. Non avendo il tempo al telescopio disponibile per coprire il campo con lunghe esposizioni e raccogliere gli spettri di tutte le galassie deboli che avrebbero potuto trovare, gli astronomi hanno preso semplicemente gli spettri dei quasar stessi. Ed hanno notato numerose frange di assorbimento del magnesio nelle luci dei quasar dovute alla presenza delle galassie. "Abbiamo trovato un numero di galassie triplo rispetto a quanto ci aspettassimo basandoci sul rapporto tipico galassie/quasar", ha detto Williger. La maggior parte delle galassie si trova nello stesso campo di redshift e quindi, presumibilmente, alla stessa distanza il che fa pensare che facciano tutti parte di un unico gigantesco ammasso.

La struttura si estende per circa 500 milioni di anni luce di lunghezza, altezza e profondità ed è centrata a 6,5 miliardi di anni luce dalla Terra. Ciò significa che quello che stiamo osservando, lo vediamo come appariva quando l'universo aveva un terzo dell'età attuale. Come per la Grande Muraglia, i teorici sentono l'urgenza di spiegare come la gravità abbia potuto costruire una struttura così grande in così poco tempo. Williger e collaboratori sperano di ottenere qualche altra informazione sull'ammasso dalle prossime osservazioni.

— Richard Tresch Fienberg —

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Speciale dal meeting di San Diego dell'American Astronomical Society
Lunedi 8 gennaio

A sinistra: Daniel Goldin, capo dell'agenzia spaziale americana, membro dell'American Astronomical Society (AAS) e dell'American Association of Physics Teachers (AAPT) al meeting della California meridionale. Fotografia di Richard Tresch Fienberg per Sky & Telescope.

Il capo della NASA chiede agli astronomi di pensare in grande

L'amministratore delegato della NASA Daniel Goldin ha chiesto agli astronomi americani di pensare a nuovi telescopi spaziali più potenti dell'ordine delle magnitudini. Parlando al convegno degli astronomi e degli insegnanti di fisica in corso a San Diego, California, Goldin ha definito gli astronomi "teodofori della scienza" del XXI secolo. ed ha detto che "Dobbiamo permettere ai teodofori di sognare".

A chi potrebbe pensare che si tratti di un facile esercizio di propaganda in un'era di budget magri e di incertezze politiche, il capo dell'agenzia spaziale ha ricordato le sua parole pronunciate al meeting dell'AAS cinque anni fa a San Antonio, in Texas. Allora, un gruppo di esperti aveva appena raccomandato la costruzione del Next Generation Space Telescope (NGST) di 4 metri per sostituire i 2,4 metri dell'Hubble Space Telescope. Dicendo che il progetto non era sufficientemente ambizioso, Goldin sfidò gli astronomi a proporre qualcosa di ancora più grande e così fecero: un gigante di 8 metri il cui specchio primario veniva spiegato come i petali di un fiore appena fosse giunto in orbita, con un costo totale considerevolmente inferiore a quello dell'Hubble. "Avremo l'NGST prima della fine del decennio" assicurò Goldin. Ma, segno che i sogni dell'astronomia vanno temperati con le realtà dei budget, il diametro del telescopio sarà limitato a 6,5 metri.

Parlando dei recenti traguardi raggiunti nell'alleggerimento degli specchi e nella stabilità dei satelliti, Goldin guarda avanti ad un'era in cui le reti di piccoli telescopi spaziali lavoreranno di concerto, come i radiointerferometri a terra, per aumentare la risoluzione angolare migliaia o persino milioni di volte. Alle lunghezze d'onda visibili, osservazioni così nitide ci permetterebbero di vedere pianeti di tipo terrestre intorno ad altre stelle. Nei raggi X potremmo catturare le immagini dell'orizzonte degli eventi intorno ai buchi neri nel nucleo delle galassie attive.

Goldin non ha parlato di come continuerà a servire la NASA come amministratore delegato sotto il governo di George W. Bush. "Forse non lo sa nemmeno lui" ha detto un suo collaboratore. Anche se Goldin ha guidato la NASA attraverso entrambi i mandati presidenziali di Clinton, a suo tempo fu nominato dal padre dell'attuale presidente. Ne sapremo presto di più, poiché mancano meno di due settimane alla nomina del nuovo presidente.

— Richard Tresch Fienberg —

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Speciale dal meeting di San Diego dell'American Astronomical Society
Lunedi 8 gennaio

A sinistra: Un sistema triplo di protostelle. Questo disegno mostra il giovane sistema stellare G192.16–3.82 secondo i dati del potenziato radiotelescopio Very Large Array. Una protostella massiva è circondata da un ancor più massivo disco di accrescimento, una coppia di ampi getti ed un largo toro di materia fredda (il disco interno approssimativamente ha le dimensioni del nostro sistema solare). Sono presenti anche due stelle di piccola massa di cui una (in alto) presenta i segni di un proprio getto. Il nord è in alto. Cortesia Boris Sarosta, NRAO/AUI/NSF.

Le grandi protostelle

L'immagine ci è familiare: sappiamo che una stella neonata è immersa in una nube di gas interstellare è circondata da un disco di gas e polveri in rotazione delle dimensioni del nostro sistema solare o anche più grande. La materia del disco si raccoglie sulla giovane stella instabile e dalle regioni più interne dei getti di materia fuoriescono perpendicolarmente al disco.

Tutte le stelle di piccola massa (tra cui quelle simili al Sole) sembrano attraversare questo breve stadio iniziale della vita per centinaia di migliaia di anni dopo aver raccolto il grosso della materia che le compone. Poi l'accrezione si ferma ed i getti si estinguono, lasciando un disco di polveri dal quale si può formare un sistema planetario.

Ma cosa accade alle protostelle più massive, più difficili da trovare e studiare? Anche loro hanno la possibilità di formare dei sistemi planetari?

Lunedi, durante l'incontro degli astronomi giunti al meeting semestrale dell'American Astronomical Society, Debra Shepherd (National Radio Astronomy Observatory) ha annunciato la scoperta del primo disco di accrescimento delle dimensioni del sistema solare intorno ad una protostella di massa pari ad 8-10 volre il Sole. Il disco è piuttosto diverso da quello che ha portato alla formazione del nostro sistema solare.

L'oggetto in questione, noto come G192.16–3.82, dista 6.000 luce e si trova nella parte nord di Orione. "Le stelle massive sono troppo rare per diventarci familiari come le stelle di piccola massa", ha spiegato la Shepherd alla conferenza stampa, "inoltre sono poste più in profondità all'interno delle nubi molecolari" che sono dense ed opache ed impediscono una facile osservazione di ciò che sta al loro interno.

Quello che sta capitando a questo oggetto è impressionante. Gli astronomi già sapevano che ha eiettato circa 100 masse solari di materia in flussi opposti che adesso misurano più di 15 anni luce di distanza. Ma l'oggetto centrale, chiarisce la Shepherd, appariva nelle osservazioni radio niente più che una "bolla rotonda sfumata". Con i suoi colleghi è riuscita a risolvere parzialmente la bolla utilizzando il radiotelescopio Very Large Array (VLA) nel Nuovo Messico, in congiunzione con il nuovo aggiunto del VLA: un disco a Pie Town, a 50 km di distanza sempre nel Nuovo Messico.

Secondo quanto dedotto dal team di astronomi, il disco di accrezione della stella è particolare per la sua enorme massa. Anche se è poco più grande dell'orbita di Plutone, contienene una quantità di materia doppia rispetto a quella della stella stessa. Un caso piuttosto differente da quello delle stelle di piccola massa in cui il disco ha una massa notevolmente inferiore a quella dell'astro.

Intorno a questo disco si trova un toro freddo (una sorta di ciambella) di gas, molto più grande. Gli astronomi hanno anche trovato le prove della presenza nel sistema di due stelle più piccole, una appena al di fuori del disco, l'altra esterna al toro.

"I dischi ed i flussi nelle giovani stella aumentano molto in massa ed energia con l'aumento della massa della stella", ha riassunto la Shepherd, "non sappiamo inoltre se lo stesso processo sia in atto per altre giovani stelle o come il disco possa sia alimentare sia il getto che si estende per oltre 15 anni luce che dare inizio al processo della formazione dei pianeti".

Stelle che sono persino più massive probabilmente hanno un'infanzia troppo violenta per permettere anche la formazione di sistemi planetari. L'oggetto studiato dal gruppo della Shepherd sembra avere una massa al limite per questa possibilità.

L'aggiunta di Pie Town al VLA che ha permesso questa nitida osservazione, è la prima del progetto Expanded VLA, che aumenterà sia la risoluzione che la sensibilità di questo strumento di un fattore 10. Persino con una sola delle antenne esterne, ha commentato il collega della Shepherd Mark Claussen (NRAO), il VLA possiede "probabilmente la migliore combinazione di sensibilità e risoluzione di qualsiasi altro radiotelescopio al mondo". La conferenza stampa di questa scoperta, è stata in parte voluta per mostrare le nuove capacità del radiotelescopio .

— Alan M. MacRobert —

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Speciale dal meeting di San Diego dell'American Astronomical Society
Lunedi 8 gennaio

A sinistra: Questo frammento di condrite carbonacea è stato trovato nel territorio dello Yukon canadese lo scorso anno. La maggior parte della materia in questi oggetti non è mai stata scaldata ma al loro interno si trovano gocce di roccia un tempo fusa. Potrebbero provenire dal bordo interno del disco di accrezione riscaldato dal Sole giovane, caldo e violento. Cortesia NASA/Johnson Space Center.

Sono questi i fossili del disco protoplanetario?

I meteoriti sono sempre affascinanti e misteiosi, ora pià che mai. Sono tracce dell'antica storia extraterrestre che possiamo tenere in mano, in particolare il tipo di meteoriti note come condriti ci arrivano dal tempo in cui il Sole era una stella variabile di tipo T Tauri appena nata e circondata dal disco protoplanetario che in seguito sarebbe divenuto il sistema solare. Le condriti contengono persino materia interstellare precedente all'esistenza del Sole.

Questo tipo di oggetti serbano un certo numero di misteri e di apparenti paradossi che Frank H. Shu (University of California, Berkeley) ha descritto ieri davanti a molti dei 1.800 astronomi professionisti riunitisi per il meeting dell'American Astronomical Society a San Diego (vi partecipano anche circa 1.200 membri dell'American Association of Physics Teachers).

Tutte le condriti sembrano provenire dalla fascia degli asteroidi, ad una distanza tra 2 e 3 unità astronomiche dal Sole. La maggior parte del materiale che le compongono non mai stato scaldato, poiche i minerali legati all'acqua e gli aminoacidi sarebbero stati distrutti dal calore. Inclusi in questi minerali ci sono dei piccoli noduli di roccia un tempo fusa, tutti delle dimensioni di un millimetro circa. Tra questi, "occlusioni ricche di calcio ed alluminio", o CAIs, che devono essere state riscaldate a 1.700 gradi Kelvin ma solo per breve tempo, si parla di giorni, a giudicare dalle loro strutture cristalline e dai costituenti volatili che non hanno avuto il tempo di essere sospinti all'esterno. In maniera simile, i "condruli" di roccie ignee, la maggior parte silicati di ferro e magnesio, sono stati portati alle temperature di fusione ma solo per poche decine di minuti.

Inoltre i CAIs hanno incorporato, in qualche modo, materiale radioattivo a breve termine ed i condruli hanno dei campi magnetici molto più forti di quello che ci si aspetterebbe nello spazio in prossimià della fascia degli asteroidi. Ma tutto questo cosa comporta?

Shu e colleghi pensano di averlo scoperto. La loro teoria pone l'attenzione sul confine interno del disco di accrezione che ha dato origine al sistema solare laddove, presumibilmente, il disco stesso ha dato l'origine a dei getti o dei flussi guidati magneticamente.

Il bordo interno di questo disco non sempre si è esteso sino alla superficie della stella neonata la forte rotazione del campo magnetico potrebbe aver fermato la spirale di gas sovrastante la superficie della stella. Il materiale accumulatosi al di sopra di questo punto ed il gas caldo intrappolato dal campo magnetico potrebbe essere stato strappato via formando i flussi osservati.

Il team di Shu ha pensato che il materiale roccioso arrivato in questa regione sia stato esposto alla furia della protostella centrale prima di venir trasportato via nel flusso diretto all'esterno. Le gocce di roccia fusa si sarebbero solidificate mentre erano trasportate dalle raffiche di questo flusso e, se sufficientemente grandi, sarebbero ricadute più lontano sulla faccia del disco ma solo dopo che il vento ne avrebbe ridotto le dimensioni, un fenomeno simile a quello che osserviamo se soffiamo sulla farina. I noduli più piccoli sarebbero caduti più esternamente mentre quelli di maggiori dimensioni sarebbero caduti verso l'interno. Quelli che caddero in quella regione ora nota come fascia degli asteroidi avrebbero avuto pressapoco le stesse dimensioni, il che giustificherebbe la quasi uniformità, se si uniformità si può parlare, delle meteoriti.

I CAIs, ipotizza Shu, sarebbero stati quelli più vicini al Sole primordiale e furono fusi dal suo calore diretto; i condruli, leggermente più distanti, potrebbero essere stati fusi per un tempo più breve durante uno di quei numerosi brillamenti che si osservano nelle stelle neonate. Il forte campo magnetico nel quale le gocce sono state ibernate non sarebbe più un mistero: i protoni ad alta energia provenienti dai brillamenti potrebbero essere i responsabili della radioattività rilevata. Dopo essere ricaduti sul disco, le gocce di roccia si sarebbero miscelate con la materia fredda primordiale per formare le meteoriti che ritroviamo oggi. L'ottanta per cento delle rocce presenti nel sistema solare, avverte Shu, potrebbero aver subito questo trattamento.

Il quadro dipinto da Shu si scontra con le obiezioni di altri esperti in meteoriti presenti alla conferenza e che hanno presentato teorie differenti. Tuttavia, questa presenta un numero di previsioni verificabili tra cui la presenza dei condruli nelle comete oltre a rappresentare un'interessante sintesi tra le attuali osservazioni delle stelle giovani e la geologia del passato remoto.

— Alan M. MacRobert —

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Venerdi 5 gennaio

A sinistra: La sonda Cassini della NASA ha ripreso questa immagine a colori di Giove l'otto ottobre 2000 dalla distanza di 77,6 milioni di chilometri. Si ringraziano NASA/JPL/Università dell'Arizona. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Dieci nuove lune per Giove

La famiglia di Giove è diventata "leggermente" più numerosa. Facendo uso del telescopio dell'Università delle Hawaii di 2,2 metri posto sulla sommjità del Mauna Kea, un team di astronomi guidati da Scott S. Sheppard (Institute for Astronomy) ha localizzato diversi possibili nuovi satelliti ed i calcoli eseguiti da Brian G. Marsden (Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics) hanno confermato che 10 di questi sono effettivamente satelliti di Giove. Il numero totale di satelliti del pianeta è salito quindi a 28.

Denominati da S/2000 J 2 a J 11, nove di questi 10 oggetti sono stati osservati dal 23 al 26 novembre 2000 mentre l'ultimo la notte del 5 dicembre. Secondo la Circolare IAU 7555, le magnitudini assolute vanno da 14,8 a 16,1. I primi nove hanno orbite retrograde con distanze intorno ai 22 milioni di chilometri da Giove. Il decimo ha una distanza orbitale di 12 milioni di chilometri.

Queste scoperte arrivano dopo quella del nuovo satellite del 1999 e di un secondo riscoperto dal team di Sheppard nel novembre scorso..

— David Tytell —

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Venerdi 5 gennaio

A sinistra: Patrick Moore sarà nominato cavaliere dalla regina Elisabetta II. All'Assemblea Generale dell'International Astronomical Union tenutasi a Manchester, in Inghilterra, insieme a John Mason ha redatto il notiziario giornaliero del meeting, Northern Lights. Fotografia di J. Kelly Beatty per S&T. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Patrick Moore sarà nominato cavaliere

Per oltre quattro decadi, Patrick Moore è stato il Principe, non ufficialmente, dell'astronomia britannica. Alla fine del mese scorso, Buckingham Palace ha annunciato che riceverà la più alta onoreficienza reale del paese quando la regina Elisabetta II lo nominerà cavaliere per "i servizi resi alla divulgazione ed alla diffusione della scienza".

Moore, settantasettenne, ha scritto e realizzato la serie televisiva della BBC The Sky at Night per 44 anni, facendone uno degli spettacoli televisivi con un solo presentatore più longevi. Gli americani, probabilmente, è più facile che conoscano qualcuno dei suoi circa 100 libri o dei numerosi articoli apparsi sulle riviste. E' stato un attivo astrofilo sin da prima di unirsi alla British Astronomical Association all'età di 11 anni.

Sfortunatamente, le sue osservazioni potrebbero subire una brusca interruzione. Come ha spiegato Moore a Sky & Telescope, un deterioramento delle funzioni della spina dorsale lo ha lasciato nell'impossibilità di utilizzare il telescopio o di scrivere. "Scrivere è impossibile e persino battere a macchina è diventato difficile e lento". "Sfortunatamente pare che non ci sia molto da fare e dovrò accettare che la mia vita attiva abbia una fine repentina e prematura". Ciononostante, Moore spera di riuscire a continuare The Sky at Night ancora per molto.

Per altri particolari sulla carriera astronomica di Moore, leggete il profilo di David Levy nel numero del maggio 1997 di Sky & Telescope (pagina 106).

— Stuart J. Goldman —

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Giovedi 4 gennaio

A sinistra: Io e la sua ombra proiettata sulla superficie di Giove in colori naturali sono stati ripresi il 12 dicembre dalla sonda Cassini-Huygens. La Grande Macchia Rossa svetta alla sinistra, all'interno della scura Fascia Equatoriale Sud. Al momento dello scatto il pianeta si trovava ad una distanza di 19,5 milioni di chilometri. Cortesia NASA/JPL/Università dell'Arizona. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Nuove dalla Cassini

La navicella Cassini e la sonda Huygens sono passati il 30 dicembre scorso ad una distanza di 9,7 milioni di chilometri da Giove, abbastanza vicino da aumentare la velocità della sonda e ridirigerla verso un incontro con Saturno in 3 anni e ½. Il passaggio di fine d'anno ha dato anche la possibilità agli studiosi di scaldare i muscoli dei suoi strumenti effettuando degli studi sul pianeta, su alcune delle lune e sulla magnetosfera. La Cassini ha dovuto fermare le misure il 17 dicembre a causa di un inconveniente meccanico ma in cinque giorni i tecnici hanno risolto il problema e ripreso, il giorno 28, la raccolta dei dati.

Molte ricerche comprendevano il campionamento del vento solare nell'immensa magnetosfera del pianeta. Parlando ai reporter dopo l'avvenuto incontro ravvicinato, il ricercatore William Kurth (Università dell'Iowa) ha precisato che la Cassini ha attraversato l'onda d'urto della magnetosfera (dove il vento solare decelera bruscamente) un giorno prima del previsto. Ciò significa che la bolla magnetica del pianeta si estende verso il Sole ad una distanza doppia rispetto a quanto previsto basandosi sui dati del Voyager del 1979. Sembra che la responsabilità di questa espansione della magnetosfera sia dovuta ad un vento solare inusitatamente lento e debole.

Nuove splendide immagini ed animazioni ci dimostrano che le nubi che ammantano il pianeta sono più turbolente che mai. "Le prestazioni della macchina fotografica sono andate oltre l'immaginabile" ha detto soddisfatta il leader del team responsabile delle riprese Carolyn Porco (Università dell'Arizona). Un filmato al rallentatore del debole anello del pianeta non ha rivelato nuove strutture nell'anello stesso ma mostra le lune più interne Metis ed Adrastea (dalle quali si ritiene provengano la magior parte delle particelle che compongono l'anello), muoversi lungo la loro orbita. Andrew Ingersoll (Caltech) ha descritto la vita tormentata di una piccol anube all'interno dell'atmosfera del pianeta , uno degli obiettivi scientifici che la sonda Galileo non ha potuto portare a termine completamente a causa della limitata quantità di dati che può trasmettere a Terra per via dell'antenna danneggiata.

D'altro canto, la Galileo continua a funzionare nonostante siamo passati ben oltre cinque anni dal suo ingresso nell'orbita. Mentre la Cassini esaminafva da lontano il pianeta, la Galileo effettuava una serie di osservazioni complementari da circa 500.000 km di distanza. Per esempio entrambe le sonde hanno cercato l'attività aurorale osservando Ganimede ed Io quando erano nell'ombra di Giove. Il 28 dicembre la Galileo è transitata a 2.337 km da Ganimede, un passaggio ravvicinato che dovrebbe ampliare la conoscenza delle caratteristiche superficiali del satellite, il campo magnietico e la struttura interna.

E' possibile trovare ulteriori risultati delle osservazioni delle sonde Galileo e Cassini qui.

— J. Kelly Beatty —

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Mercoledi 3 gennaio

A sinistra: Gli oggetti più grandi conosciuti della Fascia di Kuiper. Cliccate sull'immagine, che compara questi oggetti ai 5 "grandi corpi" del sistema solare, per ingrandirla. La luminosità di questi oggetti riflette la loro albedo, nota o presunta. Tratto da un disegno di John Cody.

Il gigante nella Fascia di Kuiper

La fama passa veloce di mano nel reame degli oggetti della Fascia di Kuiper (KBOs). Nel marzo scorso gli astronomi individuarono 2000 EB173, con un diametro stimato in 600 km ma presto perse lo scettro di scoperta dell'anno. Il 28 novembre Robert S. McMillan e poi Jeffrey A. Larsen scoprirono un puntino di 20° magnitudine denominato 2000 WR106. Inizialmente le sue dimensioni erano poco certe e per un attimo gli osservatori credettero potesse superare il diametro di Cerere (933 km), o persino del satellite di Plutone, Caronte (1.250 km).

La stima del diametro di 2000 WR106 ha richiesto una verifica precisa della sua distanza e della riflettività della superficie. Fortunatamente due astrofili tedeschi, Andre Knöfel e Reiner Stoss, identificarono l'oggetto su una lastra fotografica ripresa nel 1955 con il telescopio Schmidt di Monte Palomar di 1,2 metri. Queste posizioni hanno fornito le informazioni indispensabili al calcolo dell'orbita che ha una distanza di 43 unità astronomiche dal Sole (6,4 miliardi di km), un'eccentricità di 0,06 ed un'inclinazione di 17°.

Delle ipotesi sul diametro di 2000 WR106 sono arrivate il 30 dicembre quando David C. Jewitt ed Hervé Aussel (Università delle Hawaii) hanno utilizzato il telescopio James Clerk Maxwell sul Mauna Kea per misurarne la luminosità alla lunghezza d'onda di 350 microns. La combinazione di questa informazione con quelle della luminosità nel visibile e nel vicino infrarosso, hanno portato ad un valore dell'albedo molto basso, il 7 per cento (è difficile quindi che la sua superficie sia ricoperta di ghiaccio). Il diametro è stimato tra 750 e 1.000 km, probabilmente arriva anche a quasi 900. Pertanto 2000 WR106 non può sfidare Cerere al titolo di "asteroide più grande".

— J. Kelly Beatty —

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