Il Notiziario di
Sky & Telescope

Edizione italiana a cura di Mario Farina

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La rivista indispensabile di astronomia

La MAPpatura del Big Bang

La LINEAR è visibile da tutto il mondo

Microlenti ed ammassi globulari

Il modello della corona solare

Perché Venere gira all'indietro?

L'Ulysses registra un'esplosione solare

Eclissi in Africa, i primi rapporti


Sabato 30 giugno

A sinistra: La Microwave Anisotropy Probe viaggerà per tre mesi utilizzando la gravità lunare per raggiungere il secondo punto di Lagrange Terra-Sole. La MAP è la prima missione a disporsi nel punto L2. Cortesia MAP science team. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

La MAPpatura del Big Bang

I cosmologi attendono con impazienza i risultati della sonda Microwave Anisotropy Probe (MAP) della NASA, lanciata da Cape Canaveral, Florida, oggi alle 03:47 ora locale. In circa tre mesi questo telescopio spaziale inizierà a mappare le minime fluttuazioni nella temperatura della radiazione cosmica di fondo nelle microonde, il debole eco del Big Bang. Scoperta nel 1965, questa energia diffusa ha una temperatura di 2,73°K e rappresenta lo stato dell'universo quando aveva meno di 500.000 di anni

Nel 1989, la sonda Cosmic Background Explorer (COBE) scoprì delle variazioni di appena 1 parte su 100.000, la prova della struttura dell'universo primordiale. Basandosi sull'intensità e sull'ampiezza di queste fluttuazioni di temperatura, gli scienziati potrebbero precisare valori chiave come la costante di Hubble, che descrive la rapidità dell'espansione dell'universo ed il parametro della densità cosmologica, che quantifica la materia e l'energia contenuti nell'universo.

La scarsa risoluzione angolare del COBE di 7°, una porzione pari a 14 volte la Luna, ha portato alla costruzione di telescopi più sensibil sia terresti che trasportati da palloni. Questi strumenti hanno fornito dettagli sino ad 1/6°, ma hanno coperto solo una frazione di cielo. "Una volta fatto volare il COBE, apparve chiaro che il passo successivo sarebbe stato quello di lanciare la MAP" ha detto Gary F. Hinshaw (NASA/Goddard Space Flight Center), membro del team scientifico. Capace di rilevare fluttuazioni inferiori al milionesimo di grado in una regione di cielo di 20 minuti d'arco (più piccola della Luna), la MAP analizzerà l'intero cielo quattro volte, una precisione superiore di una magnitudine rispetto a quanto fatto dal COBE.

La precisione raggiunta dal MAP non è dovuta solo ai nuovi rivelatori e ad una coppia di riflettori ma anche dal punto di osservazione lagrangiano L2, ad 1.500.000 chilometri dal lato della Terra opposto al Sole. "L2 è un'ottima postazione per il MAP perché lontana dalle emissioni a microonde della Terra e del Sole, che sono miliardi di volte più forti dei segnali che stiamo misurando" spiega Elizabeth Citrin (NASA/Goddard), manager del progetto. Vicino alla Terra, dice Hinshaw, "sarebbe come cercare di fare una misura di precisione con un termometro vicino ad una fornace incandescente".

Come ha concluso David Spergel (Princeton) del team scientifico: "Una delle cose che il MAP riuscirà a fare molto bene, penso sia quello di rendere queste misure estremamente affidabili".

Altre informazioni sul lancio sono disponibili dal Kennedy Space Center.

— Rachel N. Thessin —

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Venerdi 29 giugno

A sinistra: Giunta quasi alla magnitudine 4,5, la cometa LINEAR (C/2001 A2), la matina del 29 giugno quando venne fotografata da Kazuyuki Tanaka, si presentò con una luminosa chioma verde-blu ed una coda filamentosa e sottile. Ripresa di quasi 2° in tricromia effettuata con una camera Baker-Schmidt di 20 cm. Altre immagini della cometa si trovano nel sito Web di Tanaka. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

La LINEAR è visibile da tutto il mondo

Dopo essersi nascosta nei lontani cieli del sud mentre era al massimo della luminosità, la cometa LINEAR (2001 A2) ora è visibile prima dell'alba dagli osservatori di tutto il mondo. Secondo molti rapporti giunti alla Comet Observation Home Page di Charles Morris, la LINEAR è arrivata alla magnitudine 4,2 negli ultimi giorni diventando visibile ad occhio nudo cone una sfera confusa senza coda.

Sabato mattina, il 20 giugno, gli osservatori dell'emisfero nord troveranno la cometa moderatamente alta in cielo prima delle prime luci dell'alba nella costellazione della Balena. Per localizzarla, trovatene la posizione alla data prescelta utilizzando queste effemeridi stampandone la posizione su una carta celeste. Oppure utilizzate la carta già pronta all'uso disponibile qui. Un binocolo vi aiuterà a localizzarla, specialmente in presenza di inquinamento luminoso.

Nei prossimi 10 giorni, salirà più alta in cielo attraversando i Pesci ed entrando in Pegaso. Dall'undici luglio sarà ben alta ad est tra mezzanotte e l'una ora locale e molto alta prima dell'alba anche se in quella data sarà scesa alla magnitudine 5.0. Rimarrà in Pegaso per la maggior parte del mese mentre si allontana, perdendo circa una magnitudine ogni 10 giorni.

— Alan MacRobert —

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Venerdi 29 giugno

A sinistra: Indagando all'interno dell'ammasso globulare M22, gli astronomi hanno sfruttato le lenti gravitazionali per trovare le prove dell'esistenza di pianeti con una grandezza pari ad almeno 80 masse terrestri. Cortesia Nigel A. Sharp (REU program/AURA/NOAO/NSF). Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Microlenti ed ammassi globulari

Con l'Hubble Space Telescope gli astronomi hanno scoperto la prova indiretta dell'abbondante presenza di pianeti vaganti alcuni dei quali potrebbero essere tanto piccoli da avere una massa pari ad 1/4 di quella di Giove. Secondo lo studio, condotto da Kailash Sahu (Space Telescope Science Institute) ed altri, questi pianeti potrebbero rappresentare il 10 per cento della massa dell'ammasso globulare.

Come aveva previsto Albert Einstein all'inizio del XX secolo, un oggetto massivo ha la capacità di curvare la luce che gli passa intorno. Se qualcosa di sufficientemente massivo (come una galassia, un buco nero o anche una stella) si trova tra la Terra ed un oggetto più distante, la luce di quest'ultimo può venire focalizzata e risultare quindi più luminoso. L'oggetto massivo interposto agisce esattamente come una lente d'ingrandimento, curvando la luce intorno a se stesso come fa una lente. In questo caso, l'HST è penetrato nelle profondità dell'ammasso globulare M22 osservando un campo stellare posto dietro all'ammasso stesso. Qualsiasi aumento della luminosità delle stelle sullo sfondo avrebbe segnalato un fenomeno di microlente.

Dal 22 febbraio al 15 giugno 1999, il team ha seguito 83.000 stelle poste dietro ad M22. Dalle loro osservazioni, si segnala l'avvistamento confermato di un fenomeno di microlente: una stella sullo sfondo lo ha fatto per 10 volte in 18 giorni. Basandosi sulla luminosità e sulla durata del fenomeno, Sahu è giunto alla conclusione che l'oggetto che ha provocato la "lente" è stata una nana bruna con una massa pari a 1/10 di quella del nostro Sole.

Più interessanti sono stati sei eventi separati nei quali una stella sullo sfondo ha raddoppiato la luminosità per meno di 20 ore. Sahu ha scoperto che la massa degli oggetti interposti potrebbe essere di appena 80 masse terrestri. Per ora, queste rilevazioni rimangono in qualche modo incerte: le osservazioni sono state effettuate per intervalli di tre giorni, un periodo troppo breve per confermare la registrazione di un fenomeno di lente completo. I prossimi lavori verteranno intorno ad una ripresa di sette giorni dell'HST. Con un'esposizione più lunga "stimiamo di vederne almeno 15" ha detto Nino Panagia (STScI), alcuni dei quali potrebbero essere dovuti ad oggetti più piccoli. "E ci potrebbero essere delle sorprese".

Lo studio è stato pubblicato su Nature del 28 giugno.

— David Tytell —

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Mercoledi 20 giugno

A sinistra: La corona solare domani sarà così? Potrebbe, secondo il modello del campo magnetico solare elaborato al supercomputer (a destra). Il nord è in alto. Cortesia Zoran Mikic (SAIC). Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Il modello della corona solare

Come i fiocchi di neve, non ci sono due eclissi di Sole uguali. E ciò è sparticolarmente vero per la corona solare, l'"atmosfera" di protoni ed elettroni a 2.000.000°K che circonda la nostra stella. Durante la totalità, sono visibili dei filamenti incandescenti che si irardiano attraverso la corona e che sono usati come traccianti del potente campo magnetico che li guida attraverso il plasma incandescente. Ogni apparizione della corona è diversa perché il campo magnetico solare cambia costantemente.

Un team di ricercatori della California ritiene, però, che l'aspetto della corona possa essere previsto e, considerati i risultati delle comparazioni effettuate sulle ultime cinque elissi totali, potrebbero essere giunti a qualcosa di importante. Il modello, elaborato da Zoran Mikic e tre colleghi alla Science Applications International inizia con una serie di "magnetogrammi" (mappe del magnetismo della superficie del Sole) compilati dal National Solar Observatory al Kitt Peak, in Arizona. Questi forniscono le basi per un modello tridimensionale del campo magnetico che si irradia nella corona (visibile in alto a destra). Un supercomputer ha quindi lavorato da tre a quattro giorni per derivare come le particelle cariche fluiscono lungo le linee di campo e mnello spazio creando i dettagli della corona visibili durante la totalità.

Il modello tende a risultare più preciso quando l'attività solare è al minimo, come quando ci furono le eclissi della metà degli anni '90. Ora però, l'attività solare è prossima al suo massimo, quando le regioni attive nella fotosfera creano turbolente (ed imprevedibili) grovigli di linee di campo all'interno della corona. "Attualmente il Sole attraversa una fase molto complessa" ammette Mikic. "Speravo di riuscire ad ottenere l'ultima previsione (basata sui dati del magnetismo sino al 15 giugno) ma il tempo non è stato sufficiente" Il modello visibile in alto comprende i dati ottenuti sino al 2 giugno".

I dettagli del modello realizzato dal team, con le comparazioni "prima" e "dopo" per cinque eclissi dal 1994 al 1999, sono consultabili qui.

— J. Kelly Beatty —

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Mercoledi 20 giugno

A sinistra: Venere secondo le osservazioni radar che ne hanno penetrato le nubi. Alcuni scienziati ritengono che la rotazione contraria del pianeta possa essere spiegata dalla presenza della densa atmosfera che lo ha rallentato. Cortesia NASA/JPL. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Perché Venere gira all'indietro?

Comprendere la rotazione di Venere è sempre stato difficile. Anche se questo pianeta è il nostro vicino nel sistema solare, non è mai stato possibile determinare una cosa così semplice come la sua velocità di rotazione. Venere l'ha nascosta, insieme ad altri fattori, dietro un denso strato di nubi. Nonostante secoli di osservazioni, i telescopi ottici hanno infatti potuto vedere solo la sommità delle nubi.

Si è dovuto attendere il 1961, con l'invenzione della radioastronomia, che gli astronomi potessero spingersi attraverso le nubi sino alla superficie. Quello che scoprirono fu soprendente:il pianeta girava nel modo sbagliato. Diversamente dagli altri pianeti rocciosi, Venere ruota in modo retrogrado,, nella direzione opposta al suo moto intorno al Sole e da allora gli astronomi hanno cercato di capirne il perché. La teoria più accettata sino ad oggi è quella secondo cui Venere, ai primordi della sua storia, fu soggetta ad in impatto: forse qualcosa colpì il pianeta piouttosto violentemente e con una particolare angolazione da farlo ruotare in senso inverso.

Recentemente dei nuovi modelli hanno avanzato l'ipotesi che, forse, un impatto potrebbe non essere la causa. Per Alexandre C. M. Correia e Jacques Laskar (Astronomie et Systèmes Dynamiques, Francia) secondo questi nuovi modelli il pianeta in origine ruotava "normalmente" e nel tempo la rotazione si è invertita da sola. Spiegano Correia e Laskar che il responsabile potrebbe essere la sua densa atmosfera. Con il passare del tempo, le torsioni gravitazionali e le frizioni tra questa ed il pianeta stesso ne avrebbero rallentato la rotazione al punto da farlo girare, come lo vediamo ora, al contrario. Le previsioni del modello sono state ulteriormente confermate perché i ricercatori hanno ottenuto gli stessi risultati relativamente all'obliquità, o periodo, iniziale.

Correia e Laskar hanno pubblicato i risultati della loro ricerca nel numero del 14 giugno di Nature.

— David Tytell —

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Mercoledi 20 giugno

A sinistra: Materia solare eruttata nello spazio il 7 maggio. Il cerchio bianco indica la posizione del Sole (nascosto dalo schermo) e la freccia punta all'onda d'urto. Due giorni e mezzo dopo questa esplosione oltrepassò la sonda Ulysses. Immagine del coronografo LASCO a bordo del Solar and Heliospheric Observatory. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

L'Ulysses registra un'esplosione solare

Il mese scorso la sonda europea Ulysses si è proprio "rifatta gli occhi" quando una spettacolare bolla di plasma incandescente l'ha investita saturando i suoi rivelatori di particelle cariche, onde di plasma e campi elettromagnetici. Secondo Richard Marsden, scienziato del progetto Ulysses, la forza del campo magnetico e le densità del plasma sono state le più alte mai registrate dalla sonda dal suo lancio, avvenuto nell'ottobre 1990. Nessuno dei rivelatori è stato però danneggiato: "Perché l'Ulysses venne progettata come missione di esplorazione", ha spiegato Marsden, "ed i suoi strumenti hanno un'ampia estensione dinamica e sono in grado di far fronte a questi livelli elevati".

Il Sole ha eruttato la gigantesca bolla, un fenomeno noto come "eiezione di massa coronale" (CME) il 7 maggio ed i sensori di bordo hanno rilevato le emissioni radio dell'onda d'urto in espansione in quel momento. La CME è stata registrata visualmente anche dal Solar and Heliospheric Observatory, situato a circa 1,5 milioni di chilometri dalla Terra. Espandendosi alla velocità di 900 km al secondo l'onda d'urto ha incontrato l'Ulysses alle 23:35 Tempo Universale del 9 maggio, seguita a poche ore da una densa scarica di protoni ed elettroni. Il campo magnetico ha raggiunto il massimo di 34 nanotesla, un valore sette volte superiore al normale. Altri dettagli sulle registrazioni dei dati sono disponibili qui.

In quel momento l'Ulysses si trovava in prossimità del piano equatoriale solare ad a 201 milioni di chilometri (1,3 unità astronomiche) dal Sole. La sonda sta compiendo una rotta che in 6,2 anni la porterà sino all'orbita dii Giove. Attraverserà il piano dell'eclittica portandosi a nord il 25 maggio ed in settembre raggiungerà il Polo nord.

— J. Kelly Beatty —

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