Il Notiziario di
Sky & Telescope

Edizione italiana a cura di Mario Farina

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La rivista indispensabile di astronomia

La Galileo scopre una stella variabile

Le macchie solari sono visibili ad occhio nudo

Neutrini dai ghiacci

La caduta della Mir

Infestazioni interstellari

Il compagno di Camilla

Rivelata la Chandra Deep Field

Si cercano spiegazioni sulla formazione dei canali di Marte

Delta Scorpii non si placa

"Prima frangia" per l'interferometro Keck


Mercoledi 28 marzo

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A sinistra: La sonda Galileo sta facendo delle scoperte lontane anni luce da Giove. Cortesia NASA/JPL/Caltech

La Galileo scopre una stella variabile

Nel giugno scorso, mentre orbitava intorno a Giove, la sonda Galileo perse una delle stelle usate come riferimento per l'orientamento. Gli ingegneri di volo sospettarono che il suo scanner stellare si fosse guastato. "Ci ho perso una settimana di lavoro" ha ironizzato Paul Fieseler (Jet Propulsion Laboratory), "e sono giunto alla conclusione che lo strumento non era rotto ma la stella forse si". Dopo un controllo incrociato, Fieseler e colleghi determinarono che era stata proprio la stella a diminuire di luminosità e scomparire alla vista.

La stella di seconda magnitudine in questione è Delta Velorum e fa parte della Falsa Croce formata dalle stelle nella regione meridionale delle costellazioni Vela e Carina. Parte di un sistema quadruplo, è una delle 150 stelle luminose seguite dalla Galileo per tenere puntata verso Terra l'antenna a basso guadagno.

Ci si è resi conto quindi che Delta Velorum è una stella variabile che non era mai stata osservata prima però l'astrofilo osservatore di stelle variabili Sebastian Otero (Buenos Aires, Argentina) tra il 1997 ed il 1999 ne aveva rilevato indipendentemente le variazioni. Cercando negli archivi della Galileo anche Fieseler ha trovato eventi simili nel 1989. Basandosi su queste ed altre osservazioni eseguite in Sud Africa, Australia ed Argentina, Otero, Fieseler e l'astronomo Christopher Lloyd (Rutherford Appleton Laboratory) sono giunti alla conclusione che Delta Velorum è una binaria ad eclissi sconosciuta. Il suo membro più luminoso è formato da due stelle di luminosità simile che orbitano l'una intorno all'altra. Ogni 45 giorni una delle due eclissa l'altra provocando l'abbassamento della luminosità totale del sistema Delta dalla magnitudine 1,96 alla 2,3 per alcune ore. La Galileo, ignara della sua natura variabile ne avrebbe perso la traccia durante uno dei suoi periodici abbassamenti.

— Edwin L. Aguirre —

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Martedi 27 marzo

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A sinistra: Ecco come appariva il Sole il 26 marzo. Oggi il grande gruppo di macchie si trova più a nord del centro solare, la rotazione della nostra stella sta infatti trasportando tutte le macchie verso destra (ovest celeste). Cliccate sull'immagine per ingrandirla. Cortesia Big Bear Solar Observatory

Le macchie solari sono visibili ad occhio nudo

Il picco del ciclo attuale di macchie solari è arrivato nel maggio 2000, secondo il parere incerto degli esperti, ma a tutt'oggi è riscontrabile sulla superficie solare ancora molta vitalità. Al momento, con un filtro solare sicuro, è visibile ad occhio nudo un enorme gruppo allungato di macchie.

Il gruppo oggi si trova nella regione centrale a nord. Seguitelo nei prossimi giorni mentre ruota verso il bordo del disco solare. Se godete di una buona vista, potete rilevare altri piccoli gruppi. Naturalmente non tentate mai di osservare il Sole con un filtro se non siete certi della sua efficacia.

"Nel corso della settimana scorsa è stato osservato un significativo aumento nell'attività solare dopo quasi tre mesi di calma quasi assoluta" spiega Cary Oler, che cura AstroAlerts per Sky & Telescope. "Il Sole sembra essere in una fase di crescita delle macchie solari". Nella prossima settimana si potranno verificare brillamenti solari ed aurore. Per ricevere notifica di di questi eventi via e-mail (in inglese), iscrivetevi qui.

— Alan M. MacRobert —

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Lunedi 26 marzo

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A sinistra: AMANDA, che si trova al Polo Sud, ha registrato i flash dei muoni creati dai neutrini del cielo boreale. Osservando attraverso la Terra, sono state soppresse le contaminazioni dei muoni indotti dai raggi cosmici, che sono sempre presenti. Schema Sky & Telescope.

Neutrini dai ghiacci

"L'osservazione dei neutrini con un telescopio nelle profondità della calotta antartica, un traguardo una volta ritenuto difficile se non impossibile, rappresenta un importante passo avanti verso la conferma di quanto previsto 40 anni fa dall'astronomia nel campo dei neutrini ad alta energia". E' la conclusione di un articolo di E. Andrés (University of Wisconsin, Madison) ed una serie di coricercatori scritto nel numero del 22 marzo di Nature.

Nella relazione descrivono una forte rilevazione di muoni, particelle elementari con una massa 200 volte più grande di quella di un elettrone, prodotti in gran quantità quando un neutrino colpisce la materia, in questo caso il ghiaccio dell'Antartide. Il "telescopio" impiegato per queste osservazioni è stato AMANDA, l'Antarctic Muon and Neutrino Detector Array al Polo Sud.

Un neutrino elettricamente è neutrale quindi il suo percorso nello spazio non viene influenzato dai campi magnetici cosmici e percorrendone a ritroso la traiettoria si punta direttamente alla sorgente. Sfortunatamente quaste particelle quasi prive di massa non interagiscono quasi mai con la materia, si rende quindi necessaria una vasta area di raccolta e questo è il punto dove il telescopio AMANDA si trova avvantaggiato rispetto ad altri rivelatori di neutrini. Al momento sta osservando rivolta verso la Terra i muoni in arrivo, quando ne rileva uno proveniente dall'emisfero settentrionale, ci sono buone possibilità che si tratti di un neutrino appena nato e non creato dai raggi cosmici.

Questi particelle che si propagano verso l'alto vengono rilevate per mezzo della radiazione blu Cherenkov che viene emessa quando si muovono attraverso il ghiaccio trasparente a velocità relativistiche. Per fare questo, AMANDA si serve di 302 tubi fotomoltiplicatori (PMT) posti nel ghiaccio a 2 chilometri di profondità ed allineati in 10 file. Misurando con precisione i tempi ai quali i PMT su file diverse si eccitano, gl scienziati possono determinarne la direzione di provenienza del muone e quindi del neutrino.

Nello studio, i ricercatori riportano che ogni 19 ore di media, viene registrato un evento di fondo diffuso di neutrini ad alta energia. E' interessante rilevare che non è stata trovata nessuna sorgente dei neutrini, come ci si sarebbe potuto aspettare da resti di supernova o da galassie attive.

Il successo di questo esperimento fa ben presagire per la costruzione di IceCube, una rete molto più grande con un'area effettiva di 1 chilometro quadrato formata da 4.800 PMT suddivisi in 80 file.

— Leif J. Robinson —

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Venerdi 23 marzo

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A sinistra: L'equipaggio della missione STS-79 dello Space Shuttle fotografò la Mir al tramonto nel settembre 1996. Cortesia NASA. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

La caduta della Mir

Oggi, con una pioggia di detriti luminosi e fiammeggianti sull'Oceano Pacifico meridionale, si è scritta la parola fine a quindici anni di missioni del complesso orbitale Mir. Chi era in vacanza sulle spiagge delle Fiji ha potuto osservarne il rientro ad alta velocità tra le nubi. Qualcuno l'ha paragonato ad "una gigantesca mano dorata che rigava il cielo" seguita da una serie di bang sonici.

I controllori di volo russi hanno condotto senza problemi la sequenza finale dell'accensione dei motori. Dal 21 marzo la Mir era scesa ad un'altitudine orbitale di 214 chilometri, a quel punto era stata rialimentata e riorientata dopo due mesi di letargo. Il 23 marzo, la nave cargo Progress M1-5, che si era agganciata al modulo Kvant del complesso orbitale, aveva acceso i motori per abbassare il perigeo a soli 190 km. Una seconda accensione era seguita un'orbita dopo. La Mir quindi compiva gli ultimi due giri intorno alla Terra in quest'orbita più bassaprima dell'accensione finale della Progress delle 05:09 Tempo Universale (06:09 ora italiana) scendendo ad un perigeo di appena 80 km ed inviando la Mir nell'atmosfera. Passando ad est di Papua Nuova Guinea, come l'attrito con l'atmosfera iniziava a sottrarre la velocità orbitale rimasta alla stazione, questa iniziava a frantumarsi. Alle 05:58 TU circa, i frammenti rimasti piombavano nell'Oceano Indianoben ad est della Nuova Zelanda a circa 44° di latitudine sud e 150° di logitudine ovest.

La Mir (conosciuta anche come DOS 7, acronimo russo per Stazione Orbitale di Lunga Durata) fu la decima stazione spaziale soviatica ad essere lanciata, dopo tre Almaz militari e sei precedenti laboratori civili DOS. Il nuo modulo cntrale raggiunse l'orbita il 20 febbraio 1986, dopo di che ha effettuato 86.330 orbite intorno alla Terra ed è stata visitata da 111 navicelle. Equipaggi russi, sovietici e di altre nazioni l'hanno occupata per un totale di 4.591 giorni durante i quali si sono avventurati al suo esterno per 79 passeggiate spaziali. La stazione è sopravissuta ad incidenti leggeri (Soyuz TM-17, 1994) e gravi collisioni (Progress M-34, 1997) e ad un grave incendio. I suoi equipaggi hanno stabilito anche il record di singola permanenza nello spazio (dal fisico Valeriy Polyakov) e quello di un decennio completo meno 11 giorni .

— Jonathan McDowell —

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Giovedi 22 marzo

A sinistra: Fuga da Marte! Secondo le simulazioni al computer di Brett Gladman (Osservatorio di Nizza), le rocce eiettate dalla superficie del pianeta rosso avrebbero una piccola possibilità di raggiungere la Terra (sino all'otto per cento) o di essere lanciate fuori dal sistema solare da Giove. Cortesia Icarus.

Infestazioni interstellari

Proprio mentre gli astrobiologi dibattevano sulla possibilità che dei microbi avessero potuto fare l'autostop all'interno delle meteoriti da Marte alla terra o viceversa, uno specialista di impatti guardava verso delle rocce lanciate a distanza interstellari. Ogni anno in media più di una dozzina di meteoriti delle dimensioni di una palla da baseball sono espulsi al di fuori del sistema solare da Giove. Ha calcolato H. Jay Melosh (Università dell'Arizona) che circa ogni 100 milioni di anni uno di questi oggetti dovrebbe iniziare ad orbitare intorno ad un'altra stella. Dato che i ricercatori adesso hanno le prove che le spore sono sopravissute sulla Terra per 250 milioni di anni, questa "inseminazione interstellare" sembrerebbe essere possibile.

"Questo argomento è estremamente impopolare tra i biologi" nota Melosh, ma probabilmente non hanno di che preoccuparsi. Qualsiasi forma di vita che si trovasse nelle profondità dello spazio verrebbe continuamente assalita dai raggi cosmici, dovrebbe raggiungere un sistema solare alieno ed atterrare su un pianeta abitabile per prosperare, occorrerebbe quindi una dose di fortuna che Melosh ritiene assai improbabile. Le sue scoperte sono state presentate la scorsa settimana alla conferenza Lunar and Planetary Science a Houston, in Texas.

— J. Kelly Beatty —

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Martedi 20 marzo

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A sinistra: L'asteroide 107 Camilla (a sinistra) è di sette magnitudini più luminoso del suo piccolo satellite (indicato dlla freccia), dovrebbe avere quindi un diametro inferiore ai 10 km (l'aspetto allungato nell'immagine è un artefatto dovuto alla sua elaborazione). In questa ripresa nella luce blu dell'Hubble Space Telescope, l'est è verso sinisra ed ogni pixel misura 0,046 secondi d'arco. Cortesia Alex Storrs (Towson University). Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Il compagno di Camilla

Per la seconda volta in quest'anno, la quinta negli ultimi 13 mesi, gli astronomi hanno identificato il satellite di un asteroide. Alex Storrs e l'Hubble Space Telescope Asteroid Team hanno scoperto un compagno in orbita intorno a 107 Camilla, un asteroide della fascia pricipale di 220 chilometri di circa diametro. La scoperta è stata fatta in una rapida succesione di riprese dell'HST del primo marzo. Nonostante il satellite sia separato dall'asteroide di circa 1.000 chilometri nell'immagine in alto, saranno necessarie ulteriori osservazioni prima di poterne calcolare l'orbita. Il team di Storr avrà nuovamente l'HST a disposizione il 27 marzo. I dettagli sono comparsi sulla Circolare IAU 7599.

La scoperta del compagno di Camilla porta a sette il numero di asteroidi binari certi, si sospetta anche di altri otto o nove, molti dei quali sono piccoli oggetti near-Earth con curve di luce anomale.

— J. Kelly Beatty —

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Lunedi 19 marzo

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A sinistra: La Chandra Deep Field South, un'esposizione di un milione di secondi, è l'immagine dell'universo ai raggi X più profonda mai realizzata. Cortesia NASA/JHU/AUI. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Rivelata la Chandra Deep Field

Nel 1962, i primi astronomi che videro il cielo nella radiazione X scoprirono una misteriosa luminosità di fondo. Cosa poteva produrre quel fenomeno? Con il lancio del Chandra X-ray Observatory del luglio 1999 gli astronomi ebbero finalmente una risoluzione sufficiente a formulare la risposta: l'universo brulica di buchi neri.

Questa scoperta venne confermata da una registrazione record, l'esposizione denominata Chandra Deep Field di un milione di secondi. Attualmente le Deep Fields sono due: una della regione dell'Orsa Maggiore nell'emisfero settentrionale, l'altra nella costellazione della Fornace, nell'emisfero australe. L'inquadratura a nord comprende anche la famosa Hubble Deep Field. Queste due lunghissime esposizioni, le più profonde mai riprese nella radiazione X, mostrano oggetti incredibilmente deboli con rilevazioni che sono arrivate ad un solo fotone al giorno.

Le riprese del Chandra presentano un numero di buchi neri supermassivi inaspettatamente vasto sotto forma di quasar o altri nuclei galattici attivi che illuminano i centri di galassie neonate dell'universo primordiale. "Adesso vediamo che i buchi neri si trovano in tutto l'universo e possiamo andarne a studiare con grande dettaglio la loro formazione e l'evoluzione" ha detto Colin Norman (Johns Hopkins University).

Tra le prime scoperte fatte nelle Deep Fields c'è la rilevazione di un quasar di Tipo II. Questi oggetti, di cui da tempo si suppone l'esistenza, differiscono da quelli soliti di Tipo I solo perché sono circondati da polveri e gas che ne impediscono la rilevazione nell'ottico. Si stima che all'inizio dell'universo, ad alto redshift, il 90 per cento di tutti i quasar siano di Tipo III. Oltre a questo, di circa 100 oggetti della Chandra Deep Field South sono stati presi gli spettri con il Very Large Telescope dell'European Southern Observatory e ne saranno studiati altri trecentoi. I dettagli della scoperta dei quasar di Tipo II sono stati sottoposti all'approvazione per la pubblicazione su Astrophysical Journal.

— David Tytell —

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Venerdi 16 marzo

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A sinistra: Gli scienziati continuano a cercare di comprendere cosa ha creato questi canali di Marte. Alcuni pensano che non possa essere stata l'acqua. Cortesia NASA/JPL/Malin Space Science Systems, Inc. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Si cercano spiegazioni sulla formazione dei canali di Marte

Sin dall'annuncio dell'estate scorsa di Michael C. Malin e Kenneth Edgett (Malin Space Science Systems) sui canali di Marte, i planetologi hanno cercato di determinare cosa potesse aver creato queste caratteristiche. Malin ed Edgett ritengono che la causa più probabile sia stata l'acqua filtrata tra gli strati rocciosi esposti ai lati dei declivi e dei bordi dei crateri, anche se l'acqua sarebbe stata instabile, a causa della bassa pressione atmosferica e le fredde temperature del pianeta.

Alla conferenza Lunar and Planetary Science di Houston, in Texas, di quest'anno alcuni ricercatori si sono offerti di spiegare come possano essersi formati questi canali di scolo. Pascal Lee (NASA/Ames Research Center) ritiene che l'acqua provenga dall'esterno, non dall'interno, degli strati rocciosi. Ha tracciato un'analogia all'Isola di Devon nel Canada artico, dove sulle pareti delle valli si trovano generazioni di canali ed i pendii ricordano molto quelli visibili nelle immagini del Mars Global Surveyor. Sull'Isola di Devon, la neve ed il ghiaccio che si accumulano durante l'inverno in queste fessure, in estate sono le ultime a fondersi, gocciolando lungo i pendii ed allargando gradatamente i canali. Inoltre, gli ultimi blocchi di ghiaccio sono visibili solitamente sui lati dei pendii non esposti al Sole, allo stesso modo in cui sono orientati la maggior parte dei canali di Marte.

In un'altra ipotesi si arguiva che i canali sono frutto del lavoro del biossido di carbonio ghiacciato (il ghiaccio secco) anziché dell'acqua. Secondo Nick Hoffman (La Trobe University), la CO2 che "nevica" in inverno, in primavera si riscalda alla base ed inizia a vaporizzarsi. Questo cuscino di gas agisce come un lubrificante, consentendo alla lastra asciutta di ghiaccio secco di scivolare lungo il pendio come una sorta di roccia fluidificata e gas simili ad un pantano. Questa teoria permette anche l'attuale formazione di canali nelle regioni polari, quando la CO2 si ghiaccia accumulandsi ogni inverno.

Fa notare Edgett che però molti canali sembrano iniziare da uno strato preciso al di sotto della superficie, il che indicherebbe l'origine della sorgente anche se l'ipotesi dell'acqua filtrata dalle pareti rocciose difficilmente rappresenta la soluzione ideale. "Vorrei che si trovasse il modo di fare queste cose a secco" ha detto.

— David Tytell e J. Kelly Beatty —

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Venerdi 16 marzo

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A sinistra: La luminosa stella che brilla vicino a Marte ed Antares è Delta Scorpii, al suo ottavo mese di inaspettato brillamento. Le fotografie attenuano le differenze di luminosità tra le stelle ma ad occhio nudo Delta è chiaramente la più luminosa delle tre che formano la testa dello Scorpione. Jimmy Westlake ha ripreso questa immagine dalle montagne del Colorado la mattina del 4 marzo con un obiettivo di 35 mm a f/3,3 per un'esposizione guidata di 5 minuti su pellicola ISO 400. Questa settimana gli osservatori troveranno Marte un poco più a sinistra. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Delta Scorpii non si placa

L'avvicinamento di Marte alla Terra ed il suo aumento di luminosità hanno attratto gli osservatori all'alba e molti avranno notato un'ulteriore attrazione nelle vicinanze. La stella di seconda magnitudine Delta Scorpii è chiaramente la stella più luminosa nell'area, dopo Antares. Solitamente di magnitudine 2,3, Delta lentamente è aumentata di luminosità lo scorso luglio fluttuando in autunno. Atualmente è di magnitudine 1,8 circa, più di mezza magnitudine in più della sua normale luminosità, cambiando in modo evidente l'aspetto della testa dello Scorpione.

Delta è una stella calda gigante del tipo spettrale B0. Apparentemente sembra stia subendo un'eruzione a lungo termine tipo Gamma-Cassiopeiae con una perdita di massa. Comparatela a Beta Scorpii, di magnitudine 2,6 ed Antares, di magnitudine 1,1. Se rimarrà luminosa per ancora qualche mese, nelle sere estive potremo vedere uno Scorpione un pò diverso.

— Alan MacRobert —

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Venerdi 16 marzo

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A sinistra: Combinando la luce dei due telescopi Keck di 10 metri sulla sommità del Mauna Kea, alle Hawaii, gli astronomi sperano di raggiungere la risoluzione ottica di 0,001 secondi d'arco. Cortesia W. M. Keck Observatory Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

"Prima frangia" per l'interferometro Keck

Il 13 marzo gli astronomi hanno combinato con successo la luce proveniente dai due telescopi più grandi del mondo, i Keck di 10 metri, posti sulla sommità del Mauna Kea, alle Hawaii. L'evento, denominato "prima frangia" ha celebrato il momento in cui la luce stellare, caturata da due telescopi distanti 85 metri, è stata combinata in una singola immagine in modo da allinerare perfettamente le lunghezze d'onda rilevate.

Questo processo, noto come interferometria stellare, non è nuovo ma non era stato mai tentato prima su una scala così grande con la luce visibile. Ora è possibile raggiungere la risoluzione di 2-5 millesimi di secondo d'arco, un ordine di magnitudine più grande di quello che un singolo telescopio Keck potrebbe raggiungere persino utilizzando il suo sistema di ottiche adattive. "Siamo entrati nell'era dell'astronomia a risoluzione estremamente alta" ha detto James W. Beletic, direttore del Keck.

La dimostrazione tecnica delle prodezze del Keck sono solo l'inizio. Gli astronomi intendono costruire quattro telescopi di 1,8 metri (forse sei in seguito), chiamati regolatori esterni, che daranno ai Kecks un'altra risoluzione. Per il momento i due telescopio lavorano su un solo allineamento, il che permette agli astronomi di risolvere solo una dimensione di cielo. Secondo il direttore del Keck Frederic H. Chaffee, "Stiamo guardando a quello che accadrà tra tre anni quando le immagini dell'intera rete del Keck, composta dai due telescopi più gli altri sei, verranno combinate".

Il successo ottenuto oggi rappresenta anche una buona notizia per la NASA, che sta pianificando lo Space Interferometer Mission ed il Terrestrial Planet Finder, due intercerometri che opereranno nello spazio. Infatti la NASA cinque anni fa divenne partner del Keck proprio per sviluppare le tecniche necessarie per il compimento di queste missioni.

A dispetto del successo però, l'interferometro del Keck è ben lontao dal poter risolvere dei pianeti che orbitano intorno ad altre stelle o dal poter effettuare misurazioni simili. La prima frangia è solo una tappa, non la conclusione. "Ora inizieranno due mesi di prove e regolazioni per portare questa conquista tecnica ad una capacità scientifica produttiva" ha dichiarato Chaffee.

— Stephen James O'Meara —

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