Il Notiziario di
Sky & Telescope

Edizione italiana a cura di Mario Farina

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La rivista indispensabile di astronomia

Venerdi 11 giugno

A sinistra: Visione artistica del progetto Atacama Large Millimeter Array (ALMA). La cstruzione consisterà di 64 antenne di 12 metri di diametro poste ad un'altitudine di 5.000 metri sulle Ande cilene. Si ringrazia l'European Southern Observatory. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Annunciato un nuovo radiotelescopio

L'European Southern Observatory (ESO) e la National Science Foundation statunitense hanno annunciato ieri l'intento di costruire il più elevato osservatorio del mondo per l'osservazione continua. L'Atacama Large Millimeter Array (ALMA), 64 parabole di 12 metri ciascuna dislocate in un'area larga 10 km, verrà posto ad un'altitudine di 5.000 metri, 60 km ad est del villaggio cileno di San Pedro de Atacama. Le osservazioni con un simile telescopio avranno un impatto tremendo su quasi tutti i campi della ricerca astronomica, dai pianeti alle galassie più remote. La costruzione è, al momento, solo allo stadio progettuale ed il giappone potrebbe unirsi alla collaborazione. Se la costruzione inizierà entro un paio di anni, il complesso verrebbe completato nel 2009. Per ulteriori dettagli ed immagini, consultate il comunicato stampa dell'ESO.


Venerdi 11 giugno

A sinistra: Questo schema visualizza i sensori che hanno rilevato il debole cono di luce generato dalle collisioni dei neutrini con le mlecole d'acqua nel Sudbury Neutrino Observatory. La traccia fa pensare che si tratti di un neutrino atmosferico prodotto quando i raggi cosmici colpiscono la nostra atmosfera. Si rinrazia il Sudbury Neutrino Observatory. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

A Sudbury osservati i neutrini

I ricecatori hanno annunciato Mercoledi che il Sudbury Neutrino Observatory ha catturato il suo primo neutrino. L'osservatorio, situato 2 chilometri a sud di Sudbury, in Ontario, è stato progettato per rilevare i neutrini prodotti dalle fusioni nucleari del Sole. A tale scopo utilizza 1.000 tonnellate di acqua pesante (D20) contenute in un serbatoio in materiale acrilico di 12 metri di diametro. Il serbatoio è circondato da centinaia di tubi fotomoltiplicatori per rilevare la flebile luce delle collisioni dei neutrini. L'SNO è frutto della collaborazione di quasi 100 scienziati di 11 università e laboratori di ricerca canadesi, americani ed inglesi.


Lunedi 7 giugno

A sinistra: Queste immagini a tutto cielo mostrano una fenomeno luminoso molto raro da osservare: la coda di sodio lunare in prossimità del punto antisolare. A sinistra compare Orione. L'attrezzatura utilizzata per la ripresa era estremamente semplice: un obiettivo Minolta di 16-mm f/2.8, un filtro per il sodio a banda stretta ed una camera CCD. L'emissione del sodio ha avuto una luminosità pari ad 1/100 di quella rilevabile dall'occhio nudo. Si ringrazia Steven M. Smith. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

La coda lunare delle "Leonidi"

Nel corso di un'osservazione condotta nel novembre scorso, l'astronomo Steven M. Smith (Università di Boston) ha notato una strana luminescenza in un'immagine ripresa con il suo sistema CCD a tutto cielo. In un primo momento pensò fosse colpa delle lenti del suo obiettivo ma, in seguito, lui e tre colleghi hanno compreso di aver felicemente scoperto una coda di tipo cometario composta da atomi di sodio emessi dalla Luna durante l'ultimo sciame meteorico delle Leonidi.

Sin dal tempo delle missioni Apollo gli astronomi sanno che il nostro satellite ha un'atmosfera estremamente tenue creata dalle micrometeoriti che piovono continuamente sulla sua superficie. Sebbene totalizzi solamente circa 50.000 atomi per centimetro cubico, l'"aria" lunare contiene tracce di atomi di sodio neutri, rilevabili dalla Terra grazie alle forti emissioni nella "linea D" gialla a 5890 e 5896 angstroms.

Come ha spiegato il membro del team Jody K. Wilson, nel novembre scorso lo sciame delle Leonidi ha causato un breve ma drammatico incremento della quantità di vapori di sodio dispersi che sono stati spinti via dalla Luna dalla pressione della radiazione solare e che hanno formato una coda lunga un milione di chilometri. Per caso, la Luna nuova è arrivata durante il picco delle Leonidi, facendo passare la coda di sodio sopra ed oltre la Terra due giorni più tardi. Il sistema di ripresa di Smith, equipaggiato con un filtro per il sodio, si è trovato proprio in quel momento a guardare "sotto la coda" in direzione opposta al Sole. "Siamo stati proprio fortunati", ha ammesso. I risultati del team sono stati presentati il primo giugno al meeting dell'American Geophysical Union a Boston.

Quest'anno nel periodo delle Leonidi la Luna sarà prossima al primo quarto, la geometria Sole-Luna-Terra preverrà quindi qualsiasi ripetizione della performance. Ma il team dell'Università di Boston pianifica comunque l'osservazione. "Il morale di questa vicenda è che dovremmo sempre e comunque osservare" puntualizza Jeffrey Baumgardner. "Non puoi mai sapere quello che succede".


Lunedi 7 giugno

A sinistra: Dopo 20 anni di servizio con il nome di "Clipper Lindbergh" per la Pan Am e la United Airlines, questo Boeing 747SP è destinato a diventare un osservatorio volante. Si ringrazia la Raytheon E-Systems. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Aggiornamento sul progetto SOFIA

Il lavoro per trasformare un Boeing 747SP usato nello Stratospheric Observatory for Infrared Astronomy (Osservatorio Stratosferico per l'Astronomia Infrarossa - SOFIA), uno sforzo congiunto della NASA e del Deutsches Zentrum für Luft- und Raumfahrt (DLR) (l'Agenzia Spaziale Tedesca), è iniziato. Il SOFIA trasporterà un telescopio di 2,5 metri per l'osservazione di un'ampia varietà di sorgenti celesti dall'alta atmosfera terrestre, dove l'assorbimento della radiazione infrarossa da parte del vapore acqueo è scarso. Il telescopio effettuerà le osservazioni da un'apertura rettangolare ricavata nel lato sinistro della fusoliera proprio davanti alla coda. La levigatura, la formatura e la lucidatura dello specchio primario realizzato in Zerodur, un materiale vetro-ceramico, dovrebbe iniziare questo mese. L'aereo stesso attualmente è sottoposto a revisione a Waco, in Texas, e le modifiche strutturali dovrebbero prendere il via nel febbraio prossimo. SOFIA dovrebbe iniziare le missioni di volo verso la metà/fine 2002, con un anno di ritardo rispetto al previsto.


Venerdi 4 giugno

A sinistra: Collisione in arrivo! Il 31 luglio la sonda Lunar Prospector sprofonderà in un cratere senza nome in prossimità del polo sud lunare. Questa cartina è stata realizzata da Jean-Luc Margot (Cornell University) e colleghi utilizzando l'interferometria radar, come viene spiegato nell'odierna edizione della rivista Science. In bianco sono indicate le aree in ombra perenne; in grigio i fondali dei crateri non osservabili da Terra che quindi, si presume, sfuggano all'illuminazione solare. Si ringrazia J. L. Margot (Cornell University). Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Il tonfo del Lunar Prospector

David B. Goldstein ha un suo metodo: la sonda della NASA Lunar Prospector terminerà i suoi giorni come un proiettile cosmico, sfracellandosi volontariamente sul polo sud lunare. Goldstein spera che nell'impatto del 31 luglio, proposto dal suo team in un cratere senza nome di 50 km di diametro, sollevi un pennacchio di detriti contenenti acqua proveniente dal ghiaccio che si pensa risieda nelle zone polari perennemente in ombra del nostro satellite. Il Telescopio Spaziale Hubble e l'Osservatorio McDonald seguiranno l'evento, cercando nello spettro le "firme" lasciate dall'acqua o dal suo derivato molecolare OH (idrossido). Registrare una chiara prova della presenza di ghiaccio polare sarà comunque un tentativo lungo e difficile. Come fanno notare Goldstein ed il suo gruppo nel numero del 15 giugno di Geophysical Research Letters, "Questo, lo ammettiamo, è un esperimento ad alto rischio che avrà significato solo se l'esito sarà positivo".

Ecco il piano: i controllori di volo utilizzaranno il carburante rimasto sulla sonda prima di tutto per innalzarne l'orbita da 30 a 200 km dalla superficie lunare e, poi, per ridurne la velocità e forzarne così la collisione in un'area in prossimità del polo sud alle alle 9:51 Tempo Universale del 31 luglio prossimo. L'angolo di avvicinamento non sarà superiore a 7° sull'orizzonte, ciò significa che la sonda, del peso di 160 kg, sfiorerà il bordo del cratere prima di sbattere sul fondo alla velocità di 1,3 chilometri al secondo. Secondo delle analisi preliminari, lo strato superficiale di regolite dovrebbe contenere sino al 2 per cento di acqua, sotto forma di ghiaccio, e l'energia dell'impatto del Prospector potrebbe, in teoria, riscaldare fino a 18 kg di ghiaccio alla temperatura di 127° Celsius. Dagli osservatori a terra si spera di registrare la nube di vapore mentre si espande oltre il limbo lunare (saranno passati tre giorni dalla Luna piena) oppure di rilevare i tenui fili di fumo dell'OH per diverse ore dopo, una volta che i detriti dell'impatto sono rotolati sulla superficie.

Ingegnere aerospaziale dell'Università del Texas, ad Austin, Goldstein fa notare che il suo piano è supportato dal team del Lunar Prospector ma attende l'approvazione finale dell'amministratore della NASA Daniel Goldin. Bisogna considerare che questo finale pirotecnico è stato preso in considerazione solo perché i fondi per la prosecuzione del progetto stanno finendo. Secondo il ricercatore William C. Feldman (Los Alamos National Laboratory), dall'orbita attuale la sonda opera bene e potrebbe, invece, continuare ad inviare informazioni scientifiche.


1-4 giugno
Speciale dall'AAS

A Chicago si parla di astronomia

Gli astronomi di tutto il mondo si sono riuniti questa settimana a Chicago per il 194° congresso dell'American Astronomical Society (AAS). Più di 1.600 ricercatori di discipline che vanno dalla fisica del Sole alla cosmologia, si stanno scambiando informazioni su un'ampia gamma di tematiche astronomiche. Il congresso, ospitato dalla Northwestern University, l'Università di Chicago, e dall'Adler Planetarium, segna anche il 100° anniversario della fondazione dell'AAS ed il numero delle conferenze che si terranno sarà il più elevato nella storia dell'organizzazione. Gli inviati di Sky & Telescope Carolyn Collins Petersen e Joshua Roth partecipano al congresso e ci invieranno gli aggiornamenti quotidianamente.


Venerdi 4 giugno
Speciale dall'AAS

A sinistra: Daniel S. Goldin, l'amministratore della NASA, ha parlato all'AAS delle nuove sfide dell'esplorazione spaziale per il prossimo millenio. Si ringrazia la NASA. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Nuove sfide per un nuovo millennio

Nell'ultimo giorno di conferenze e resoconti sulla ricerca astronomica, si è parlato di evoluzione stellare fino alla scoperta nel mezzo interstellare di alcuni precursori chimici della vita, gli astronomi presenti al meeting dell'AAS sono stati sfidati dall'amministratore della NASA, Daniel S. Goldin, a guardare oltre le attuali tecnologie e scoperte. In un discorso intitolato "Le prospettive della NASA all'inizio del nuovo millennio", Goldin ha esortato i ricercatori a "fare grandi sogni e guardare sempre avanti di almeno 10 anni".

Ricordando le emozioni provate nell'infanzia davanti alle mappe di regioni esotiche, ha domandato agli astronomi di pensare a quel giorno del prossimo secolo, in cui gli studenti si emozioneranno guardando i le mappe di altri pianeti con nomi esotici, mappe realizzate attraverso lo sforzo di quelli che ha chiamato "i tedofori" della nuova astronomia che verrà nel 21° secolo.

Goldin ha parlato di sonde biomimetiche, telescopi di otto metri di diametro ed altre avvenieristici progetti che sente saranno i marchi caratteristici dell'astronomia e dello spazio nei prossimi 100 anni. Proprio per raggiungere questi ed altri obiettivi, ha portato la NASA ad assumere quanti più biologi possibile. Le sfide che dovranno affrontare gli astronomi, ha puntualizzato, renderanno obsoleti strumenti come il Telescopio Spaziale Hubble allo stesso modo in cui lo furono gli osservatori del XIX secolo ma, ha continuato, i progressi tecnologici nell'astronomia daranno agli sforzi umani una comprensione nuova e profonda del nostro ruolo nell'universo.

Un tema dove queste problematiche hanno preso forma nel XX secolo e che nel XXI gli astronomi continueranno ad esplorare, è quello dell'evoluzione stellare. Il congresso di quest'anno è stato particolarmente folto di resoconti sulle forze coinvolte nelle genesi stellari e di presentazioni sui vari modi in cui le stelle possono morire. Concludiamo la nostra rassegna dall'AAS proprio con due rapporti su questo argomento.


Venerdi 4 giugno
Speciale dall'AAS

A sinistra: Gli intricati dettagli dei flussi di gas sono ben visibili in questa immagine della nebulosa planetaria PK 285-02 nella Carena ripresa dal Telescopio Spaziale Hubble. Si ringraziano Raghavendra Sahai e John Trauger. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Nebulose planetarie: la straordinaria fine delle stelle ordinarie

Utilizzando la Wide Field and Planetary Camera 2 dell' Hubble Space Telescope, due scienziati continuano ad esplorare le strutture delle stelle morenti conosciute come nebulose planetarie. Raghavendra Sahai e John Trauger (Jet Propulsion Laboratory) hanno presentato diverse immagini facenti parte della loro survey di queste belle e spettrali stelle morte.

Le immagini in falsi colori , riprese nell'emissione della luce rossa degli atomi d'idrogeno presentano un complicato dedalo di strutture. La complessità delle forme riprese nelle immagini ha rappresentato per lungo tempo una sfida per gli astronomi che tentavano di spiegarne l'origine. "Le nebulose planetarie si sviluppano da bolle di gas e polveri che circondano le stelle giganti rosse" ha detto Sahai. "Non siamo ancora d'accordo sull'esatto meccanismo responsabile della struttura ma quello che le nostre immagini ci suggeriscono chiaramente è solo che la forma di queste nebulose potrebbe essere dovuta alla presenza di flussi collimati e veloci diretti verso l'esterno che cambiano di direzione.

In quattro esempi presentati al meeting, Sahai e Trauger hanno determinato che l'intricato guscio di gas venne espulso diverse migliaia di anni fa dalle stelle centrali che hanno un'età di diversi miliardi di anni e temperature da 30 a 40 mila gradi. Il gas che fuoriescono dalle stelle hanno velocità tra 20.000 e 60.000 chilometri orari. La teoria che hanno formulato i due ricercatori, basandosi sul lavoro svolto, ipotizza che la lenta espansione della nube di gas che circonda ciascuna stella morente starts out round. In seguito, flussi simili a getti si farebbero strada nella parte più interna del guscio. Venti stellari caldi premerebbero continuamente su di esso formando, presumibilmente, le delicate forme delle nebulose planetarie che osserviamo.

E' possibile anche che una compagna binaria per ciascuna stella morente abbia ulteriormente complicato la forma di ciascuna nebulosa. Trauger e Sahai continueranno la survey di nebulose planetarie nello sforzo teso a consolidare la loro teoria.


Venerdi 4 giugno
Speciale dall'AAS

A sinistra: Gli "stellamoti" in stelle di neutroni in rapida rotazione rallentano rapidamente questi resti stellari. Con lo spostamento della materia lungo la faglia del terremoto, si formano delle montagne e proprio questi cambiamenti nella topografia sbilanciano la rotazione stella causandone l'oscillazione ed un ulteriore scostamento del campo magnetico creando un ulteriore freno. Si ringraziano Lucia M. Franco (Università di Chicago), Bennett Link (Montana State University) e Richard I. Epstein (Los Alamos National Laboratory). Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Stellamoti nelle stelle di neutroni

Al capo opposto delle masse che possono raggiungere le stelle, troviamo le supergiganti, oggetti che terminano i loro giorni come stelle di neutroni o pulsars (come riportiamo nel numero del luglio 1999 di Sky & Telescope), potrebbero presentare alcune caratteristiche inaspettatamente familiari. Uno scienziato delll'Università di Chicago ed i suoi collaboratori hanno formulato una teoria che fenomeni simili a quelli geologici terrestri come terremoti e formazioni di montagne, potrebbero essere una macabra danza eseguita dalle stelle di neutroni nella parte finale delle loro vite.

"Gli stellamoti sono diversi dai terremoti" spiega Lucia M. Franco. "anche se per alcuni versi sono simili nel senso che c'è della materia in movimento e si formano delle montagne". A supporto di questa, a prima vista oltraggiosa visione delle stelle di neutroni, la Franco ha presentato al meeting dell'AAS una nuova teoria. Il suo lavoro, spiegato con oltre tre decenni di dati raccolti sulle stelle di neutroni, sembrerebbe spiegare i misteriosi rallentamenti della rotazione spesso osservati in questi immensi macigni stellari.

Le stelle di neutroni hanno, approssimativamente, una massa pari a 1,5 volte quella del Sole in una sfera di circa 16 chilometri di diametro. Si sono formate dopo che una stella supermassiva è diventata supernova lasciando il resto supercompresso del nucleo costituito da nient'altro che neutroni in rapida rotazione.

La teoria dei terremoti ci viene in aiuto per spiegare come la stella di neutroni modifica la sua rotazione per compensare i disallineamenti del suo forte campo magnetico. Inizia a "rallentare" e la crosta della stella si stressa. La sua forma viene alterata, meno schiacciata ai poli, e di conseguenza la fragile crosta si spacca all'equatore. "Si formano delle piccole montagne (più piccole di una capocchia di uno spillo, NdT) che portano ad uno sbilanciamento della distribuzione della materia superficiale provocando un'oscillazione" spiega la Franco.

Questa teoria si adatta bene ai cambiamenti osservati nel rallentamento della rotazione di diverse pulsar "anomale" di cui abbiamo delle buone informazioni. Ora la Franco sta cercando di ottenere maggiori e migliori dati per verificare la correttezza della propria teoria. "Sarà interessante constatare se i cambiamenti nel tasso di rallentamento di altre stelle di neutroni combaciano con ciò che prevede questa teoria " ha detto.

Per maggiori dettagli, consultate il comunicato stampa online.


Giovedi 3 giugno
Speciale dall'AAS

A sinistra: Le discrepanze nelle misure delle distanze della galassia a spirale M106 (NGC 4258) appartengono ai dubbi irrisolti dei tentativi di fissare quella quantità dell'astrofisica nota come costante di Hubble. Questa immagine in falsi colori di Bill Keel (Università dell'Alabama) misura 9 minuti d'arco quadrati. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

I ricercatori del Key Project sistemano i dettagli

Il primo giugno al meeting dell'AAS è stata dedicata un'intera giornata ad una sessione sul Key Project dell'Hubble Space Telescope sulle Scale delle distanze extragalattiche. Il risultato principale, cioé che la costante di Hubble (H0) equivale a 70 chilometri al secondo per megaparsec, più o meno 10 per cento, era stato annunciato la settimana scorsa ma gli otto anni di lavoro necessari per giungere a questa conclusione non erano stati descritti in una riunione pubblica con un dettaglio pari a quello della maratona della sessione di martedi. Le osservazioni delle variabili cefeidi dell'HST, la prima pietra miliare raggiunta dal Key Project, sono state riassunte come parte di un lavoro su quattro cosiddetti indicatori secondari delle distanze, eseguito utilizzando centinaia di galassie per estendere il limite raggiunto dal progetto di ricerca ad un miliardi di anni luce dalla Terra.

Con valori di H0 ottenuti dal team del Key Project, simili a quelli dei principali "concorrenti", "abbiamo più che dimezzato l'incertezza di questo valore" ha detto il leader Wendy Freedman (Carnegie Observatories). D'altra parte i disaccordi su alcuni punti chiave, dalla distanza della Grande Nube di Magellano ai moti galattici su larga scala, ci confermano che, parole di Freedman, "l'incertezza del 10 per cento ci darà da discutere [su H0] per gli anni a venire". Gli astronomi dovranno studiare e spiegare alcune problematiche divergenze, come l'annuncio della distanza della galassia a spirale M106 (NGC 4258) di 23,5 milioni di anni luce ricavata con metodi radiometrici, che contraddice quella di 27-29 milioni di anni luce basata sul metodo delle stelle variabili Cefeidi.

Per ulteriori informazioni sullo studio di H0, consultate l'Hubble constant Web page nel sito del Marshall Space Flight Center della NASA .


Giovedi 3 giugno
Speciale dall'AAS

A sinistra: L'immagine della stella AB Aurigae ripresa il 23-24 gennaio con l'Imaging Spectrograph del Telescopio Spaziale Hubble rivela la presenza di un disco di polvere. La fotogradia in falsi colori, alle lunghezza d'onda da 2000 a 10100 angstroms, potrebbe rappresentare gli stadi iniziali dello sviluppo di un sistema planetario. Si ringraziano C. A. Grady (National Optical Astronomy Observatories, NASA Goddard Space Flight Center), B. Woodgate (NASA Goddard Space Flight Center), F. Bruhweiler e A. Boggess (Catholic University of America), P. Plait and D. Lindler (ACC, Inc., Goddard Space Flight Center), M. Clampin (Space Telescope Science Institute) e la NASA. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Verso altri sistemi solari?

Il 2 giugno gli astronomi hanno parlato dell'esistenza di possibili sistemi planetari in formazione intorno a due sistemi stellari della Via Lattea. In uno studio, Carol Grady (Space Telescope Science Institute) e colleghi hanno utilizzato lo spettrografo dell'Hubble Space Telescope per riprendere delle immagini di materia intorno ad AB Aurigae, una stella di tipo A con un'età di 4 milioni di anni, distante 470 anni luce dalla Terra. Applicando un coronografo allo spettrografo, la Grady ha bloccato la luce proveniente dalla stessa AB Aur; ciò ha permesso di rivelare una struttura a disco di 1.300 u.a. di raggio che riflette la luce della stella. La presenza di striature nel disco riflettente, ha suggerito alla Grady l'ìipotesi che il materiale possa ulteriormente raggrupparsi forse per avviare la formazione di una fascia di Kuiper o di corpi di tipo cometario o ancora, da qui a qualche milione di anni, di sistemi planetari.

Un secondo team ha ravvisato la presenza di una banda di polvere zodiacale intorno ad HD 98800B, una stella binaria spettroscopica. La stretta fascia di materiali, di 4,5 u.a. di raggio ma spessa meno di 1 u.a., secondo Dean Hines e Glenn Schneider (Università dell'Arizona) "è assai simile alle bande di polvere zodiacale alimente dalle famiglie di asteroidi presenti nel nostro sistema solare". La banda di granuli di polvere scuri delle dimensioni di 200 micron alla temperatura di 165° Kelvin non era stata osservata nelle immagini nel vicino infrarosso di HD 98800B riprese con la Near Infrared Camera and Multi-Object Spectrometer (NICMOS) di Hubble; la sua presenza è stata notata dalle osservazioni infrarosse e submillimetriche effettuate da terra e dal venerabile archivio dell'Infrared Astronomical Satellite (IRAS). La mancata rilevazione delle polveri da parte di Hubble, peraltro, è stata utile per valutarne la temperatura estremamente rigida (156° K) e la particolare vicinanza alla binaria. Con una massa totale stimata appena inferiore a quella terrestre, "i detriti potrebbero essere la conseguenza del fallimento della creazione di un pianeta di tipo terrestre simile a quello che ha portato alla formazione della cintura di asteroidi tra Marte e Giove," ha detto Hines. Con una luminosità della 9° magnitudine, il sistema di HD 98800 si trova nella costellazione del Cratere ed ha un'età stimata in 5 milioni di anni.


Giovedi 3 giugno
Speciale dall'AAS

A sinistra: Qualcosa sta succedendo ad Eta Carinae ma cosa, esattamente, gli astronomi non lo sanno. Questa immagine del doppio lobo della nube di gas e polveri espulsi dalla stella è stata ripresa dalla Wide Field Planetary Camera 2 del Telescopio Spaziale Hubble nel settembre 1995. Si ringraziano Jon Morse (Università del Colorado) e la NASA. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Eta Carinae torna in attività

Da qualche settimana, cioè da quando l'astronomo Kris Davidson (Università del Minnesota) ed i colleghi Theodore Gull (NASA/Goddard Space Flight Center) e Roberta Humphreys (Università del Minnesota) hanno notato che questa stella massiva è aumentato la sua luminosità molto velocemente, la vita dei ricercatori che studiano Eta Carinae è diventata un poco più interessante. Dopo la scoperta, hanno allertato altri osservatori tra i quali una rete di astrofili dell'emisfero sud. I risultati delle loro osservaizoni sono stati presentati al congresso dell'AAS in una serie di documeni che sottolineano i cambiamenti visuali e spettroscopici che stanno trasformando il volto di Eta Carina per la seconda volta negli ultimi 130 anni.

Quando si parla di Eta Carinae ci si riferisce ad una luminosa stella blu variabile. Oscura il Sole in tutti i suoi aspetti: è 100 volte più massiva, irradia un'energia cinque milioni di volte più elevata ed il suo vento stellare soffia da 100 a 1.000 volte più forte di quello di stelle 30-40 volte più massive della nostra. Ci si aspetta che termini i suoi giorni come supernova o, come sospettano adesso alcuni ricercatori, come ipernova. Un'altra particolarità è costituita dai due lobi che la soffocano e che hanno impedito sinora agli astronomi di osservare quello che succede alla stella. E' interessante notare che la nube costituisce un fenomeno relativamente nuovo: nel 1940 questa stella gigante supermassiva brillò improvvisamente e, in un perodo durato 20 anni, espulse talmente tanta materia da poterci creare tre soli. Questa eruzione, noi la osserviamo oggi come la nebulosa chiamata "Homunculus".

Per poter comprendere il perché quest'anno Eta Carinae sembra essere aumentata di luminosità, Davidson e colleghi hanno utilizzato lo spettrografo del Telescopio Spaziale Hubble per osservare la stella e 0,5 secondi d'arco della parte più interna dell'Homunculus in cui è avvolta. Ciò che hanno trovato è così strano che stanno ancora cercado di spiegare quello che è accaduto. Sembra che una piccola struttura a doppio lobo stia crescendo all'interno del doppio lobo più grande. E' il gruppo di coni più interni che da aprile ne hanno triplicato la luminosità. Secondo Theodore Gull, il calore tremendo sviluppatosi all'interno di questi coni potrebbe essere il responsabile dell'aumentata luminosità. "Parte della luce potrebbe essere il risultato della ionizzazione all'interno della nebulosa" spiega, "E' anche possibile, però, che Eta Carinae stia per eruttare nuovamente".

Gli astronomi stanno anche cercando di determinare quale sia, in questo momento, lo spettro della stella. Quello che sorprende è che Davidson e gli altri studiano da tempo queste vriabili blu luminose ed hanno una buona conoscenza di come si comportino questi astri. "Fondamentalmente abbiamo compreso come lavorano queste stelle, tutte visibili ad occhio nudo" ci conferma; "Tutte tranne Eta Carinae. Ed ora, siamo sconcertati. Questo aumento di luminosità è stata una vera sorpresa perché non ci aspettavamo una grande eruzione per ancora qualche decennio". Da Eta Carinae i ricercatori si aspettavano un tipo di eruzione e di luminosità diverso. Ritenevano che lo spettro si sarebbe spostato da emissioni molto calde verso temperature più basse. I dati resi noti mercoledi non sono ancora completi e lasciano a Davidson e colleghi la possibilità di ripensare alla comprensione di Eta Carinae ed alla massiva, violenta ed instabile classe di stelle cui appartiene.


Mercoledi 2 giugno
Speciale dall'AAS

A sinistra: In questa singola immagine possiamo vedere le stelle in tutte le fasi della loro evoluzione. Leggermente sopra ed a sinistra del centro vediamo una supergigante blu evoluta denominata Sher 25. E' circondata da un anello gassoso e da una nebulosa dovuta ad un getto bipolare. L'ammasso stellare al centro dell'immagine contiene delle stelle giovani e massive. I loro venti stellari hanno spazzato via una parte della nube di gas che le circonda erodendo le strutture a forma di colonna (in alto a sinistra) di gas e polveri. Sotto l'ammasso ci sono due dischi protoplanetari (proplyds) che contengono stelle in fase di formazione. In alto a destra dell'immagine ci sono delle aree scure chiamate Globuli di Bok. Si ringraziano Wolfgang Brandner, Eva K. Grebel, You-Hua Chu e la NASA. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Un'istantanea dell'evoluzione stellare

Come in un collage di fotografie che presenta la vita di una persona dall'infanzia alla vecchiaia, diverse immagini rse note Martedi al congresso dell'AAS presentano i vari stadi del ciclo vitale delle stelle. Una delle immagini più spettacolari, ripresa con la Wide Field and Planetary Camera 2 delll'Hubble Space Telescope e presentata da Eva Grebel (Università di Washington), ci tuffa nel cuore della gigantesca nube di idrogeno denominata NGC 3603, che si trova a circa 20000 anni luce dalla Terra.

Tutti gli stadi dell'evoluzione stellare sono presenti con un dettaglio incredibile. Una nube di gas con due colonne simili a quelle osservate in M16 costituisce la parte dominante dell'immagine. Al centro troviamo un ammasso particolarmente attivo di giovani stelle calde emerse solo recentemente dalla fase natale. Queste due dozzine circa di astri hanno una massa pari a 120 volte quella del Sole ed emettono livelli di radiazioni estremamente alti. Appena al di sotto dell'ammasso troviamo un paio di dischi protoplanetari o proplyds, stelle che stanno ancora emergendo dalla nube protostellare. Probabilmente la coperta di polveri che nasconde i proplyds verrà spazzata via dalla radiazione emessa dall'ammasso di stelle e che quelle appena nate che si stanno formando al loro interno risplenderanno presto nel cielo. La stessa radiazione sta anche scolpendo l'enorme coppia di colonne.

Diversamente dal Sole, che ha attraversato questa fase più di cinque miliardi di anni fa, è abbastanza improbabile che qualcuna di queste stelle possa avere un pianeta che le orbita intorno. Secondo la Grebel e l'altro membro del team Wolfgang Brandner (Jet Propulsion Laboratory), le polveri intorno a questi astri non sopravviveranno ai processi che portano alla nascita della stella. "Entro poche decine di migliaia di anni, il disco di materiale protoplanetario verrà completamente ionizzato e disperso a causa della vicinanza dell'ammasso di stelle giovani e calde" ha chiarito Brandner.

L'immagine contiene anche due regioni scure denominate Globuli di Bok (dal nome dell'astronomo Bart Bok che studiò queste nubi molecolari scure). Sono regioni dove i processi di formazione stellare non hanno ancora avuto inizio. Quando ciò accadrà, i globuli assomiglieranno ai proplyds.

Le forze che portano una stella alla morte stanno sopraffacendo un altro astro visibile nella fotografia. Sopra l'ammasso, infatti, c'è la stella supergigante blu Sher 25. E' circondata da un anello gassoso e da un getto bipolare nebuloso. Queste strutture sono sintomatiche della perdita di massa da parte della stella e sono simili a quelle già viste intorno ai resti della Supernova 1987A.

Secondo You-Hua Chu (Università dell'Illinois a Champaign-Urbana), co-investigatore insieme alla Grebel, Sher 25 presenta tutti i sintomi di una stella prossima al collasso. Misurando gas e le polveri che circondano la stella, Chu ha scoperto che sono ricche di azoto, un elemento molto presente in una stella vecchia e molto calda che sta bruciando rapidamente l'idrogeno e l'elio disponibili per formare altri elementi. Chu spera di trovare carbonio ed ossigeno nella nube, se così fosse significherebbe che la supernova si sta "accendendo". Quando esploderà? E' lo stesso Chu a rispondere: "Non possiamo dirlo. Potrebbe essere domani...o tra qualche migliaio di anni, ma prima o poi certamente accadrà". E quando ciò avverrà, Sher 25 diventerà la stella più luminosa del Grande Carro.


Mercoledi 2 giugno
Speciale dall'AAS

A sinistra: Come vediamo da questa immagine ripresa dall'Hubble Space Telescope di una piccola regione della Nebulosa Trifida (M20), la radiazione emessa dalla potente stella centrale sta soffiando via la materia interstellare circostante. La regione di formazione stellare in alto a sinistra verrà distrutta entro i prossimi 20.000 anni dal fronte di ionizzazione in avvicinamento. Da notare la proiezione di materiale a forma di dito che offre rifugio a stelle di nuova formazione ed il getto emanato da una protostella nascosta. Si ringrazia Jeff Hester. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Primo piano sulla Trifida

Anche l'astronomo J. Jeff Hester ed i suoi colleghi dell'Arizona State University, del Jet Propulsion Laboratory e dello Space Telescope Science Institute hanno utilizzato la WFPC2 dell'HST per osservare una regione di formazione stella re nella ben nota Nebulosa Trifida (M20). La loro immagine mostra una regione di stelle in fase di formazione investita dalla radiazione emessa dalla stella al centro della nebulosa che si trova a circa 9.000 anni luce di distanza dalla Terra. Come nel lavoro svolto in precedenza per M16 (soprannominato "I pilastri della creazione"), nella Trifida il team ha scoperto dei globuli gassosi in evaporazione (EGGs).

Uno di questi emette un getto di materia lungo 3/4 di anno luce che si muove alla velocità di 370 km al secondo. Hester descrive questo getto come "un nastro di una telescrivente" che ci racconta la storia dell'oggetto stellare, nascosto alla vista, che si trova nell'EGG. Il getto è partito circa 600 anni faed è alimentato dalla stella in formazione. Ed inoltre è illuminato dalla stella al centro della Trifida. Entro i prossimi 10.000 anni circa, il fronte di ionizzazione che sta avanzando proveniente dalla stella principale della nebulosa, sommergerà la stella in formazione. Se l'onda d'urto sarà sufficientemente forte, la formazione della stella neonata potrebbe anche arrestarsi. Questo destino potrebbe toccare ad un'altra stella nell'EGG. Un sottile microgetto che fuoriesce da una delle "dita" dell'EGG potrebbe essere l'ultimo rantolo di una stella cui, più di 100.000 anni fa, la radiazione ionizzante ha tagliato il nutrimento di gas e polveri necessari al proseguimento della fase neonatale.

La maggior parte delle stelle come il Sole si forma in regioni simili a questa, nelle vicinanze di stelle potenti e massive. E' stata una questione di fortuna se la nostra stella è sopravissuta a questo "survival of the fittest" regime. Osservazioni in corso Ongoing con l'HST of the Trifid forniranno un'istantanea dell'ecosistema da cui si formano le stelle. Per ulteriori dettagli e primi piani dell'immagine leggete il comunicato stampa di Jeff Hester.


Mercoledi 2 giugno
Speciale dall'AAS

A sinistra: Questa immagine nei raggi X molli della regione intorno ad eta Chamaeleontis, realizzata dall'osservatorio spaziale ROSAT, mostra 12 sorgenti di radiazioni X (i puntini bianchi) che risaltano sullo sfondo rosso del rumore di fondo. Il campo inquadrato ha le dimensioni approssimative della Luna piena. Si ringraziano Eric E. Mamajek, Warrick A. Lawson, ed Eric D. Feigelson. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Raggi X emessi da giovani stelle calde

E le stelle neonate in un altro ammasso sono state oggetto di una serie di osservazioni effettuate con il satellite ROSAT prima che, all'inizio dell'anno, fosse spento. Alcuni scienziati dell'Università dello Stato della Pennsylvania e di quella del Nuovo Galles del Sud stavano cercando stelle appartenenti alla fase che precede quella principale (stelle che non hanno ancora iniziato a bruciare idrogeno ma che sono molto calde e luminose) ed hanno scoperto un ammasso aperto, sconosciuto in precedenza, che circonda la stella eta Chamaeleontis a circa 315 anni luce dalla Terra nella costellazione dell'emisfero meridionale del Camaleonte. Sono poche le stelle giovani vicine alla Terra come queste e la loro scoperta ha colto di sorpresa i ricercatori. Potrebbero essere le uniche stelle appena nate visibili da Terra con un binocolo o un piccolo telescopio.

Assai stranamente, queste stelle appaiono isolate nello spazio, lontane cioé dalla nebulosa gassosa in cui si sarebbero formate. Secondo Eric Feigelson, è molto difficile scoprire queste stelle appartenenti alla fase pre-sequenza principale lontane dalle loro nebulose progenitrici senza un telescopio per raggi X. Fu proprio Feigelson nel 1981 a scoprire che questo tipo di astri hanno delle "impronte" nette e distinte nella radiazione X, lavorando con Eric Mamajek alla localizzazione di queste giovani stelle partendo proprio da questa emissione. "L'intensità di questi segnali nella radiazione X è ben al di sopra di quella emessa dalle stelle che si trovano nella sequenza principale" spiega Feigelson. "Hanno dei brillamenti magnetici simili a quelli del Sole ma migliaia di volte più potenti"

L'ammasso è il primo ad essere scoperto con la radiazione X in questo secolo ed il più vicino alla Terra. Il tea azzarda l'ipotesi che le stelle di eta Chamaeleontis siano nate nell'associazione stellare Scorpius-Centaurus OB ma che ora si trovino a dzzine di anni luce di distanza dalla loro nursery stellare. "Sospettiamo che questo ammasso un tempo fosse all'interno dell'associazione Sco-Cen" ha detto Mamajek, "ma la nube di gas circostante venne strappata via dalle massicce esplosioni delle stelle supergiganti presenti in Sco-Cen".

A causa della sua formazione molto recente, i ricercatori stanno cercando tra i suoi membri degli oggetti di piccola massa chiamati nane brune. E' possibile che l'ammasso ospiti al suo interno qualcuno di questi misteriosi oggetti. Se così fosse, il gruppo spera di conoscere qualcosa in più sulla formazione di questi oggeti che, secondo alcuni astronomi, sono stelle mancate.

Per ulteriori informazioni, consultate la Eta Chamaeleontis Cluster Webpage.


Martedi 1 giugno
Speciale dall'AAS

A sinistra: Una ripresa infrarossa di 5 minuti d'arco quadrati della Two-Micron All-Sky Survey (2MASS) rivela una stella che non è rilevabile alle lunghezze d'onda della luce visibile. Gli astronomi hanno rilevato anche le "firme" del metano, che rivela la natura di nana bruna dell'oggetto. Si ringrazia l'Università del Massachusetts el'Infrared Processing and Analysis Center per l'immagine della 2MASS. Immagine della Digitized Sky Survey realizzata dallo Space Telescope Science Institut Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Scoperte altre nane brune

Sino a cinque anni fa, l'esistenza delle nane brune era mera congettura. Il termine era stato coniato per descrivere oggetti con una formazione simile a quella stellare ma che non avevano una massa sufficiente a sostenere i processi di fusione nucleare al loro interno. Secondo la teoria, queste palle di gas che hanno una massa pari all'otto per cento di quella solare, cioè 80 volte quella di Giove, sarebbero delle nane brune (rimane incerto cosa differenzi le nane brune dai pianeti giganti più grandi; le nane brune hanno infatti più o meno le stesse dimensioni di Giove, indipendentemente dalla massa). Negli ultimi cinque anni, dalle survey di giovani ammassi stellari, come le Pleiadi, sono affiorate inequivocabilmente alcune candidate nane brune. Gli scettici però, attendevano la scoperta di una stella non-quieta con le firme spettrali del metano (CH4), un composto che non potrebbe sopravvivere a temperature di molto superiori ai 900° Celsius. Il metano è presente in cospique quantità nello spettro infrarosso dell'atmosfera di Giove e la sua presenza potrebbe essere la prova di una mancata accensione della fornace nucleare. La loro attesa si è conclusa alla fine del 1995 con la scoperta di una nana bruna con il metano, in orbita intorno ad una stella vicina denominata Gliese 229.

Negli ultimi quattro anni Gl229B, come compagna substellare, rimase la sola. Adesso la situazione è cambiata. Sono in corso due ambiziose survey: la Sloan Digital Sky Survey e la 2 Micron All Sky Survey hanno localizzano una mezza dozzina di nane al metano. Il sospetto che si trattasse di nane brune nacquero sulla base dei loro strani colori; gli spettri nel vicino infrarosso (alcuni presi pochi giorni prima del congresso dell'AAS) hanno confermato le frme spettrali del matano. Questi oggetti "colmano realmente il vuoto" tra pianeti e stelle, dice il coinvestigatore della Sloan Xiaohui Fan (Università di Princeton) e, secondo il suo collega David Golimowski (Università Johns Hopkins), potrebbero essere comuni nella nostra galassia quanto le stelle normali.

Stabilire quindi l'abbondanza di queste deboli nane brune è un obiettivo che va oltre un mero proposito di censimento; è cruciale per la comprensione della formazione delle stelle e dell'ancora misteriosa materia oscura della Via Lattea.


Martedi 1 giugno
Speciale dall'AAS

A sinistra: Immagini a raggi X che documentano i drammatici cambiamenti nella corona solare dal 1991 al 1995 nella fase di diminuzione del precedente ciclo dell'attività solare. Questa immagine è stata realizzata con riprese effettuate dalla sonda in orbita terrestre Yohkoh, lanciata nell'agosto 1991 dall'Institute of Space and Astronautical Science giapponese. Si ringraziano Greg L. Slater e Gary A. Linford (Lockheed Palo Alto Research Laboratory). Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Il massimo dell'attività solare

Un altro problema dalla fine del millenio: il massimo dell'attività solare. Gli effetti dell'aumento dell'attività solare previsti per il prossimo anno, sono stati Lunedi al centro della scena, quando i ricercatori hanno presentato le stime dei livelli previsti dell'attività solare e di quanto questa influenzerà la vita sulla Terra. Joann Joselyn dello Space Environment Center presso la National Oceanic and Atmospheric Administration a Boulder, in Colorado, ha riferito sui pericoli rappresentati dai brillamenti solari e dalle eiezioni di masse coronali (CMEs) ovvero "dell'altro problema di fine millennio".

La meteorologia spaziale, questo il termine coniato dai ricercatori solari per descrivere i disturbi nel vento solare generati dai brillamenti e dai CMEs, è stata responsabile di alcuni effetti spettacolari. Oggi sappiamo che i brillamenti rilasciano più energia di un'eslosione nucleare da 100 megatoni, nello spazio di alcuni minuti. Nel 1989 fu proprio un brillamento a lasciare senza energia elettrica l'intera provincia canadese del Quebec.

Secondo la Joselyn, il Sole attraversa uno dei cicli più attivi degli ultimi anni. La prova immediata dell'aumento dell'attività solare si avrà sulla Terra con l'aumento della frequenza e dell'intensità dei fenomeni aurorali, di strani effetti nella ionosfera che potrebbero influenzare le trasmissioni radio, di comandi fantasma e di problemi di inseguimento dei satelliti oltre a correnti spurie negli elettrodotti e negli oleodotti. Inoltre, l'attività prolungata riscalderà l'atmosfera terrestre provocandone l'espansione nello spazio. Ciò aumenterà l'attrito dei satelliti in orbita bassa, come il Telescopio Spaziale Hubble, modificandone l'orbita e, in alcuni casi, abbreviandone la vita dei componenti. C'è preoccupazione anche per la "costellazione" di satelliti del Global Positioning System (GPS) strumenti vitali per troppi aspetti della navigazione moderna e per il rilevamento degli orari.

Verso il massimo dell'attività. Considerato il pericolo distruttivo delle tempeste solari, i primi sistemi di allarme per gli operatori di satelliti e per le compagnie di linee elettriche sono attivi già da qualche anno. Anche i metodi di previsione a lungo termine dei periodi di massima attività nel corso del ciclo sono stati concepiti in largo anticipo. Richard C. Altrock dell'Air Force Research Laboratory presso il National Solar Observatory a Sacramento Peak, nel Nuovo Messico, per prevedere il massimo solare ha sviluppato un metodo unico chiamato "La corsa ai poli". Nel corso di qualche anno, ha registrato la forma e la migrazione verso i poli solari delle emissioni coronali alle alte latitudini che compaiono all'inizio di ogni ciclo solare. Le sue osservazioni consistono di scansioni giornaliere della riga di emissione dell'Fe XIV, generata nel calore di un milione di gradi della corona. Le emissioni compaiono al 55° di latitudine nord del Sole e si muovono verso i poli alla velocità di 9-13° all'anno. Dopo 3 o 4 anni, questi fenomeni scompaiono in prossimità dei poli.

L'attuale "corsa ai poli" prevede il massimo solare nel periodo tra gennaio ed aprile del 2000, risultato compatibile con quelli ottenuti da altri metodi di previsione.

A caccia del massimo solare. Nel corso del massimo delle macchie solari, verranno approntati due nuovi strumenti per lo studio dei brillamenti solari. I ricercatori della Montana State University a Bozeman, guidati da Richard Canfield, stanno completando il lavoro sull'High Energy Solar Spectroscopic Imager (HESSI), che osserverà i raggi gamma emessi dai disturbi solari. La NASA lancerà l'HESSI nella metà del 2000.

Una serie di telescopi solari ottici terrestri denominati Synoptic Optical Long-Term Investigations of the Sun (SOLIS) dovrebbero diventare operativi dall'inizio del 2001. Fondata dalla National Science Foundation, ci si aspetta che SOLIS fornisca ai ricercatori informazioni ad elevata risoluzione sui tempi e modi dei brillamenti. Uno di questi telescopi è stato progettato specificamente per fotografare il campo magnetico solare dell'intero emisfero visibile, utilizzando un particolare spettromagnetografo. Una volta in funzione, questo fornirà un'istantanea del campo magnetico solare ogni 15 minuti, consentendo ai ricercatori di seguire la formazione ed il successivo rilascio dei brillamenti solari in modo dettagliato.


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