Il Notiziario di
Sky & Telescope

Edizione italiana a cura di Mario Farina

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Dal meeting Planetary Sciences dell'AAS
Venerdi 27 ottobre

A sinistra: La scia di detriti che si estende alla sinistra dei due crateri Messier (a destra) e Messier A implica un impatto recente. Nuove analisi fanno però ritenere che i raggi chiari potrebbero non sempre significare un cratere giovane. Immagine CCD di Thierry Legault. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

I raggi dei crateri lunari sono antichi o recenti?

I sistemi di raggi chiari che circondano crateri lunari come Copernicus e Tycho sono degli obiettivi più che affascinanti per l'osservazione al telescopio. I geologi planetari li utilizzano come marcatori per stabilire la sequenza della storia lunare, una cronologia in parte basata sull'assioma che i raggi circondano i crateri giovani ma non quelli vecchi. Il materiale lunare si scurisce con il tempo quando il ferro nei suoi minerali diviene meno ossidato dopo l'esposizione nello spazio. Una volta che un cratere si forma quindi, si presume che i suoi raggi nel corso di diverse centinaia di milioni di anni tendano a diventare invisibili.

Nuovi risultati stanno però mettendo in discussione questa datata ipotesi. Un team di ricercatori guidato da B. Ray Hawke (Università delle Hawaii) ha effettuato una nuova valutazione su diversi crateri lunari utilizzando i dati della missione Clementine verificando la vetustà dei raggi non solo prendendo come unico riferimento la luminosità ma anche il contenuto in ferro e titanio e l'intensità dei colori alle lunghezze d'onda del rosso e vicino infrarosso. Ed hanno scoperto che alcuni raggi si formano quando della materia proveniente dagli altopiani più chiari viene sbalzata dai luoghi degli impatti su pianure scure, come nel caso del cratere Lichtenberg, del diametro di 20 km. Altri sistemi di raggi provengono dalle pianure stesse, perché i detriti eiettati dal cratere principale smuovono e rialzano la superficie sulla quale cadono. Le tracce chiare dei crateri Messier e Messier A sono un esempio di materiale dei maria venuto alla luce recentemente.

Fare una distinzione tra queste due origini è decisivo per la determinazione dell'età di un cratere perchè, per esempio, i raggi del tipo Lichtenberg, che contengono parecchi detriti degli altopiani, non si oscureranno mai completamente. "Abbiamo ipotizzato che i crateri irraggiati abbiano tutti un'età inferiore ad 800 milioni di anni", spiega Hawke, "Ma questi sistemi di raggi potrebbero avere 2, 2½ o persino 3 miliardi di anni". Ed avverte che una revisione avrebbe profonde implicazioni su come i geologi decifrano la storia del nostro satellite. Se ulteriori lavori dimostreranno che parecchi crateri sono molto antichi piuttosto che relativamente giovani, l'intera cronologia dell'evoluzione della superficie lunare andrà rivista.


Dal meeting Planetary Sciences dell'AAS
Venerdi 27 ottobre

A sinistra: Osservazioni fatte con l'Hubble Space Telescope indicano che l'asteroide 8405 Asbolus, del diametro di 80 km, classificato come di tipo Centauro, ha una vasta chiazza bianca sulla superficie. La caratterstica potrebbe essere un cratere, come mostra questa immagine artistica. Cortesia Space Telescope Science Institute.

Qual'è il colore del sistema solare esterno?

Osservare le gigantesche sfere ghiacciate nelle regione più esterne del sistema solare è una sfida anche per i telescopi più grandi del mondo. Ciò nonostante, i prim studi mostrano una chiara divisione in base al colore degli oggetti: quelli della Cintura di Kuiper (KBO, scoperti oltre l'orbita di Nettuno) sono leggermente rossi mentre gli oggetti Centauro (corpi meno lontani che sono migrati dalla Cintura di Kuiper verso l'interno del sistema solare) sono grigi. William Romanishin (University of Oklahoma) e Stephen Tegler (Northern Arizona University) notarono per la prima volta queste differenze di colore in un campione di 13 oggetti osservati con il telescopio Keck.

Le ragioni per spiegare questa dicotomia sembrerebbero convincenti: i KBO devono la loro tinta rossastra agli eoni di esposizione alla radiazione spaziale, quelli più all'interno sono stati riscaldati a sufficienza da permettere la fuoriuscita dei gas che hanno ricoperto la parte esterna di ghiaccio incolore. Al meeting di questa settimana della Divisione delle Scienze Planetarie dell'American Astronomical Society, Romanishin afferma che l'esistenza delle due classi di colore è confermata da un'ulteriore survey comprendente 30 oggetti.

Questa schematizzazione non è, peraltro, così assoluta: gli oggetti Centauro 5145 Pholus, 7066 Nessus e 10199 Charliko sono gli oggetti più rossi del sistema solare ed una recente analisi ha mostrato che 8405 Asbolus, anch'esso un Centauro, presenta una grande macchia biancastra (un cratere?) sulla sua superficie arrossata.

Ora però, il modello Tegler-Romanishin potrebbe vacillare. Un team guidato da Alain Doressoundiram (Osservatorio di Parigi) ha infatti presentato uno studio effettuato su 20 Centauro e KBO che presentano un'ampia varietà di colori. Allo stesso modo, un'altra serie di oggetti osservati da David Jewitt (Università delle Hawaii) e colleghi presenta caratteristiche di colore diverse. Come fa notare il team di Jewitt: "Le proprietà riflettenti dei KBO chiaramente non sono uguali per tutti". Gli osservatori sono però d'accordo su di un punto: non potremo sapere chiaramente come e perché questi lontane palle di neve hanno questi colori sino a che non potremo analizzarne molti altri.


Dal meeting Planetary Sciences dell'AAS
Giovedi 26 ottobre

A sinistra: Il puntino indicato dalla freccia è S/2000 S2, uno dei quattro nuovi satelliti Saturno scoperti. Questa esposizione di 100 secondi, di 20 secondi d'arco di campo, è stata ripresa con un riflettore di 2,2 metri. Cortesia European Southern Observatory. Cliccate sull'immagine per vederla ingrandita ed animata.

Quattro nuove lune per Saturno

L'anno scorso, gli astronomi scoprirono nuovi satelliti intorno ad Urano, poi intorno a Giove pochi mesi fa, adesso i ricercatori ne hanno scoperto altri quattro in orbita intorno a Saturno.

Un team internazionale di otto astronomi li ha scovati utilizzando diversi telescopi intorno al mondo. Denominati S/2000 S1 fino ad S4, hanno un diametro che varia, probabilmente, tra 10 e 50 km. Prima che Saturno scomparisse nel tramonto nel marzo di quest'anno dovrebbero essere state raccolte informazioni sufficienti per definire le loro orbite con maggiore precisione.

Tutte e quattro le lune sono state classificate come "irregolari", poiché sono così lontani dal pianeta (e così tenuamente legate ad esso) che è più probabile che siano asteroidi catturati che corpi formatisi con il pianeta stesso. Di Saturno si conosce solo un altro satellite irregolare, quello scoperto nel 1898: Phoebe di 220 km. Giove invece, di irregolari adesso ne ha nove, Urano cinque e Nettuno due.

Ora Saturno conta 22 lune e sorpassa Urano che ne ha 21 e pare che non sia finita. Il team responsabile delle scoperte sta seguendo diversi altri candidati: "Sembra che esista un ricco sistema di piccole lune lontane che sciamano intorno a questo splendido pianeta inanellato".

Per ulteriori informazioni leggete il comuncato stampa dell'European Southern Observatory e dell'Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics.


Dal meeting Planetary Sciences dell'AAS
Giovedi 26 ottobre

A sinistra: Oltre ai pianeti maggiori, ci sono molti piccoli oggetti nel sistema solare esterno. Questo disego indica le posizioni degli oggetti minori noti e delle comete alla data del 25 ottobre. Il colore denota differenti classi di oggetti. Tra loro, quelli in rosso sono quelli della Cintura di Kuiper. Cliccate sull'immagine per ingrandire questo settore del sistema solare o cliccate qui per vedere l'interno sistema ed una descrizione completa dei simboli utilizzati. Cortesia Minor Planet Center.

C'è un limite al sistema solare?

In una ricerca presentata da due team di scienziati al meeting annuale della Divisione per le Scienze Planetarie dell'American Astronomical Society, gli astronomi hanno rivelato che l'ammontate della materia del sistema solare sembra diminuire drasticamente una volta oltrepassato Plutone. Per i grandi oggetti, il limite sembra trovarsi ad una distanza di 55 unità astronomiche, circa 8 miliardi di chilometri, dal Sole.

Sino agli inizi degli anni '90, gli astronomi ritenevano che, eccezion fatta per le comete, il nostro sistema solare terminasse con Plutone. Oltre l'orbita di Nettuno si trova la Cintura di Kuiper, una regione che contiene un numero infinito di planetesimi ghiacciati sopravissuti all'era della formazione dei pianeti. Nel 1992 venne scoperto da David Jewitt (University of Hawaii) e Jane Luu (adesso all'University of Leiden) il primo oggetto della Cintura di Kuiper (KBO). Da allora, ne sono stati scoperti oltre 300 tutti posti tra 30 e 50 unità astronomiche dal Sole. Secondo la teoria, più lontano dovrebbe esserci un numero di oggetti KBO ancora più grande. Così, anche se il numero di KBO continua ad aumentare, non possiamo dire lo stesso per la loro distanza dal Sole. E gli astronomi si dimandano: la diminuzione di oggetti osservata è un caso oppure un limite reale?

Utilizzando l'Inter-American Observatory di Cerro Tololo in Cile, Lynne Allen, Gary Bernstein (University of Michigan) e Renu Malhotra (University of Arizona) hanno condotto una survey per ricercare KBO molto lontani. La loro ricerca, che ha raggiunto la magnitudine 25,8, avrebbe dovuto rilevare qualsiasi KBO più grande di 160 km alla distanza di 65 u.a. I loro sforzi hanno portato alla scoperta di 24 nuovi KBO ma nessuno si trova ad una distanza superiore alle 55 u.a. Un secondo studio condotto da Chad Trujillo (Caltech), Jewitt e Luu con il telescopio franco-canadese-hawaiano ha portato alla scoperta di altri 86 KBO ma, anche in questo caso, nessuno si trova ad una distanza superiore alle 50-55 u.a.

Diverse sono le ragioni possibili date da Allen alla mancanza di oggetti lontani: forse ce ne sono meno di quanti si creda oppure quelli grandi sono rari in una popolazione dominata da membri piccoli, oppure i KBO lontani potrebbero essere estremamente scuri e deboli o, ancora, i membri della cintura potrebbero essere confinati in una struttura simile ad una sottile frittata che entrambe le survey hanno mancato di rilevare.


Dal meeting Planetary Sciences dell'AAS
Mercoledi 25 ottobre

A sinistra: La freccia punta a 2000 EB173, appena visibile sulle stelle dello sfondo in questa immagine acquisita il 4 giugno. Cortesia Klet Observatory. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Scoperto un altro grande oggetto nella Cintura di Kuiper

Da quando venne scoperto il primo oggetto transnettuniano (1992 QB1) nell'agosto 1992, sono diventati più di 340 quelli appartenenti alla Cintura di Kuiper, una regione a forma di disco oltre Nettuno che si pensa contenga milioni di piccoli oggetti ghiacciati, che sono stati identificati. In una presentazione fatta Martedi alla Division for Planetary Sciences dell'American Astronomical Society, David Rabinowitz (Yale University) ha descritto una recente scoperta, 2000 EB173, come uno degli oggetti della Cintura di Kuiper più luminosi e grandi asteroidi mai scoperti. Con una magnitudine assoluta di 4,9 ed ipotizzando che la sua superficie abbia una riflettività del 4 per cento (valore tipico per un asteroide ricco di carbonio), 2000 EB173 potrebbe raggiungere i 600 km di diametro , un quarto del diametro di Plutone.

L'orbita di 2000 EB173 varia da 28,5 ad almeno 50 unità astronomiche con un periodo di 240 anni. Si pensa sia un "Plutino", un oggetto che si muove lungo un'orbita simile a quella di Plutone, con una risonanza 3:2 con Nettuno cioè che completa due orbite intorno al Sole nel tempo che Nettuno ne compie tre. Sembra che questa risonanza, la stessa la stessa di Plutone, serva a stabilizzare i Plutini dalle perturbazioni gravitazionali di Nettuno. Approssimativamente il 35 per cento degli oggetti transnettuniani conosciuti sono dei Plutini. Di color pressapoco rosso, 2000 EB173 è il più grande conosciuto anche se ce ne sono altri quattro nella Cintura di Kuiper paragonabili per dimensioni.

La scoperta è stata fatta il 15 marzo dal Quasar Equatorial Survey Team, un consorzio multi-istituzionale che fa uso del telescopio Schmidt di 1 metro a Llano del Hato, in Venezuela. E' possibile leggere il rapporto della scopertaqui; una lista di tutti gli oggetti transnettuniani conosciuti è disponibile qui.


Dal meeting Planetary Sciences dell'AAS
Martedi 24 ottobre

A sinistra: Singole riprese nella luce blu, verde e rossa effettuate dalla sonda Cassini l'otto ottobre sono state riunite per realizzare questa immagine a colori reali di Giove. La sonda era a 77,6 milioni di chilometri dal pianeta. La famosa Grande Macchia Rossa è visibile in basso a destra del centro. Cortesia NASA/JPL/University of Arizona. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Le bande colorate di Giove

Le spettacolari bande colorate di Giove sono un piacere per l'occhio ma gli specialisti dell'atmosfera non sanno ancora a che cosa siano dovute le zone chiare e bande rosso-brune del pianeta. Il problema è che tutti i componenti che formano le nubi nell'atmosfera superiore di Giove sono bianchi, almeno quando sono bilanciati chimicamente. Le bande a tinte scure devono risalire quando è disturbato l'equilibrio della reazione da particelle cariche, fotoni energetici, fulmini o rapidi moti verticali tra strati a temperature diverse. Un possibile colorante è lo zolfo che, a seconda della sua struttura molecolare, da origine a diverse tinte. Altri candidati sono la fosfina (PH3) o i componenti organici derivati dalle reazioni fotochimiche che coinvolgono il metano (CH4).

Se nessuno conosce ancora quali composti chimici causino le variegate zone e bande, Amy A. Simon-Miller e due colleghi della Cornell University ritengono di aver definito dove si trovino. Come hanno riportato ieri al meeting annuale della Divisione Scienze Planetarie dell'American Astronomical Society, sono state le immagini della sonda Galileo a fornire la soluzione. Da queste riprese si deduce che la sommità dell'atmosfera di Giove, quella che vediamo attraverso i telescopi, sia formata da uno strato opaco di ammoniaca condensata (NH3) sormontata da uno spesso strato di foschia colorata nella troposfera e da un secondo e più sottile strato più in alto, nella stratosfera.

Poiché l'atmosfera di Giove generalmente scende nelle bande, lo strato di nubi di ammoniaca si trova più in basso rispetto alla sua posizione nelle zone. Sulla loro sommità si accumula uno spesso strato di foschie troposferiche che rende le bande, viste dall'alto, più scure. Secondo Simon-Miller, le bande devono il colore bruno-rossastro al forte assorbimento di luce blu da parte di alcuni coloranti all'interno dello strato di foschia ma, purtroppo, i dati della Galileo non forniscono indizi né sulla composizione né su come si formino.


Dal meeting Planetary Sciences dell'AAS
Martedi 24 ottobre

A sinistra: La sonda Near Earth Asteroid Rendezvous (NEAR) ha ripreso questa immagine dell'asteroide 433 Eros il 17 luglio da un'altitudine di 32 chilometri. I minimi particolari visibili misurano 3 metri di diametro. Giovedi la sonda si abbasserà sino a 5 km dalla superficie. Cortesia Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory. Cliccate sull'immagine per ingrandirla. Per altre immagini e filmati di Eros, consultate la NEAR Images page.

La NEAR-Shoemaker vola a bassa quota su Eros

Il 26 ottobre, la sonda Near Earth Asteroid Rendezvous (NEAR) raggiungerà il massimo avvicinamento all'asteroide 433 Eros, transitando a solo 5 km dalla sua superficie. A questa distanza, inferiore all'altitudine di crociera di molti aerei commerciali, le telecamere a bordo della NEAR-Shoemaker potranno risolvere dettagli fino a 0,7 metri di diametro.

Tra i misteri irrisolti che gli astronomi sperano di risolvere con queste immagini ultradettagliate, ci sono i numerosi massi e la scarsità di crateri. Eros appare infatti, relativamente povero di impatti di piccole dimensioni e sulla sua superficie compare un numero considerevole di massi. Prendendo in considerazione quelli da 20 m in giù, sulla sua superficie ci sono più massi che crateri. Parlando lunedi al meeting degli scienziati planetari a Pasadena, in California, Clark Chapman (Southwest Research Institute) ha specificato che ci sono, approssimativamente, oltre un milione di massi di 8 metri su quest'oggetto lungo 32 chilometri.

Una ragione possibile dell'assenza di piccoli crateri è stata suggerita dall'esperto in asteroidi William F. Bottke (Southwest Research Institute): a differenza della Luna, quando un oggetto impatta su Eros, scuote l'intero corpo. Questo rende omogenea la superficie allo stesso modo in cui scuotere una scatola con della sabbia cancellerebbe qualsiasi traccia. I massi abbondanti lasciano, peraltro, maggiormente perplessi. Non è chiaro se siano il risultato di depositi dovuti ad impatti o se le collisioni di meteoriti abbiano fatto emergere le rocce. Gli scienziati al lavoro con Eros sperano che sia proprio il passaggio ravvicinato a fornire le risposte.

Andrew F. Cheng (Applied Physics Laboratory) spiega che Eros è coperto da una fitta rete di creste e solchi, alcuni dei quali vanno da un capo all'altro dell'asteroide. Simili strutture indicano che l'oggetto non è un insieme di rocce ma ha piuttosto un interno coerente e roccioso. La sua forma allungata e l'estensione delle fratture fanno ritenere che nel lontano passato doveva far parte di un corpo più grande.


Venerdi 20 ottobre

A sinistra: Tra le missioni spaziali approvate dall'Agenzia Spaziale Europea c'è il Solar Orbiter, un successore del Solar and Heliospheric Observatory e della missione Ulysses. Cortesia Agenzia Spaziale Europea. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

OK dell'Europa alle nuove missioni spaziali

Con l'intento di continuare la serie di successi spaziali, l'Agenzia Spaziale Europea ha approvato cinque nuove missioni da lanciare negli anni 2008-2013. Le nuove iniziative, con in più un programma di riserva, sono state approvate nel corso di una riunione del Science Program Committee dell'ESA all'inizio del mese. E sono:

  • Bepi Colombo, una sonda destinata ad orbitare intorno a Mercurio che verrà costruita insieme al Giappone e lanciata nel 2009. Sarà la prima missione ad alto profilo dell'ESA "cornerstone", dedicate a studi scientifici di base. Sarà dedicata al pioniere italiano dello spazio, deceduto nel 1984.
  • Gaia, un'altro progetto cornerstone il cui lancio è previsto per il 2009, sarà ilproseguimento della missione Hipparcos dell'ESA. Fornirà precise e dettagliate indicazioni sul miliardi di oggetti più luminosi del cielo, indipendentemente dal tipo.
  • Una terza missione è LISA, la Laser Interferometer Space Antenna, costruito insieme alla NASA e di cui è previsto il lancio nel 2010. E' composta da tre sonde in orbita intorno al Sole in formazione di ampio triangolo equilatero di 5 milioni di chilometri di lato. Tentertà di rilevare le onde gravitazionali.
  • Solar Orbiter, il successore del Solar and Heliospheric Orbiter (SOHO), studierà la fotosfera solareed ilflusso di plasma da una distanza di 45 raggi solari (circa 30 milioni di chilometri).
  • L'ESA ha inoltre formalizzato il coinvolgimento nel Next Generation Space Telescope, costruito dalla NASA. L'NGST non verrà lanciato prima della fine del decennio ma nel prossimo anno dovrebbe essere scelto il progetto finale.

La missione di riserva, denominata Eddington, è volta allo studio dell'evoluzione stellare ed alla ricerca di pianeti abitabili.

Secondo l'ESA, queste missioni costeranno circa 500 milioni di dollari mentre il Solar Orbiter, l'NGST, ed Eddington sono classificate come "missioni flessibili" il cui costo è nell'ordine di 150 milioni di dollari.


Venerdi 20 ottobre

In alto: Non si tratta del DNA di un alieno ma dello spettro ultravioletto di Giove ripreso dalla sonda Cassini. E' una combinazione di 36 riprese effettuate in un periodo di 10 ore il 3 ottobre. Spiegano gli astronomi che lo spettro contiene segnali del toro di plasma di Io e delle zone aurorali di Giove. Le emissioni a lunghezze d'onda più brevi sono a sinistra, quelle più lunghe a destra. I segnali più forti (in rosso) denotano le emissioni dell'ossigeno ionizzato e degli atomi di zolfo. Le emissioni aurorali dell'idrogeno molecolare formano la banda centrale del lato destro. Cortesia Larry Esposito, University of Colorado. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Lo spettro ultravioletto di Giove

Avvicinandosi a Giove, la sonda Cassini rileva un numero sempre maggiore di particolari. Con l'Ultraviolet Imaging Spectrograph (UVIS), costato 12 milioni di dollari, la navicella diretta verso Saturno ha realizzato la prima immagine dello spettro della regione che circonda Giove, comprese le aurore del pianeta ed un gigantesco toro di gas surriscaldati che lo circonda. Quest'ultimo è composto da atomi carichi di zolfo ed ossigeno fuoriusciti dai vulcani attivi del satellite Io. Il sistema, a forma di ciambella, è invisibile ad occhio nudo ma l'UVIS è sensibile alla forte emissione ultravioletta. Secondo Larry Esposito (University of Colorado), il principale ricercatore che lavora con l'UVIS, "E' possibile vedere l'intera ciambella di gas iridescenti con tutti i colori possibili".


Venerdi 20 ottobre

A sinistra: L'ottima vista dell'Advanced CCD Imaging Spectrometer (ACIS) del Chandra X-ray Observatory è documentata da questa immagine in falsi colori della stella binaria Zeta Orionis, i cui componenti sono separati da 2,4 secondi d'arco. Sorprendentemente, analizzando lo spettro della componente più luminosa si può arrivare a pensare che la radiazione X sia originata da un'attività magnetica simile a quella del Sole. Cortesia NASA/CXC/W. Waldron e J. Cassinelli. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

Le stelle più calde simili al Sole

Nuove informazioni dal Chandra X-ray Observatory hanno fornito alcuni dati contraddittori sulle caratteristiche delle stelle più calde e grandi del Sole. Un recente obiettivo del telescopio orbitante è stata Zeta Orionis, il sistema binario che forma la stella più ad est della Cintura di Orione. Il componente primario di Zeta è una calda supergigante blu di tipo O con una massa pari a 30 volte quella del Sole.

Gli astronomi pensavano che le emissioni X delle stelle così grandi provenissero da onde d'urto nelle emissioni dei venti stellari ma, secondo quanto ci riportano Wayne Waldron (Emergent Information Technologies, Inc.) e Joseph Cassinelli (University of Wisconsin, Madison), le osservazioni del Chandra di Zeta Orionis fanno ritenere che i gas che le producono siano 1.000 volte più densi di quanto si pensi. Oltretutto lo spettro della stella non presenta le larghe linee di emissione che dovrebbero produrre i fronti d'urto in movimento. Secondo gli astronomi, la migliore spiegazione possibile è quella della presenza di plasma caldo confinato, come quello degli archi di gas intrappolati dai campi magnetici osservati nella corona solare.

Gli astronomi dubitano però che Zeta Orionis possa produrre simili fenomeni. Si pensa infatti che stelle calde come queste non abbiano zone di convenzione in prossimità della superficie e la convenzione è necessaria per generare gli intensi campi magnetici richiesti per confinare e riscaldare il plasma. "Questo risultato è piuttosto sorprendente", ha dichiarato Waldron. "Si scontra con l'idea comune di trovare che queste stelle possano realmente assomigliare al nostro Sole".

I risultati della ricerca di Waldron e Cassinelli sono stati inviati ad Astrophysical Journal Letters. Per ulteriori informazioni, leggete il comunicato stampa.


Venerdi 20 ottobre

A sinistra: L'Hubble Space Telescope ha ripreso questa immagine della nebulosa N81 nella Piccola Nube di Magellano nel settembre 1997 con la Wide Field Planetary Camera 2. Cortesia NASA ed Hubble Heritage Team. Cliccate sull'immagine per ingrandirla.

All'interno di un lontano bozzolo

Se N81 nella piccola Nube di Magellano fosse più vicino, la sua incredibile caverna di gas e le sue strane formazioni sarebbero familiari quanto le nebulose Laguna o Trifida lo sono da generazioni. Alla distanza di 200.000 anni luce, la nebulosa ha mantenuto i suoi segreti sino a quando non è stata osservata dall'Hubble Space Telescope. La splendida immagine è stata rilasciata ieri come parte dell'Hubble Heritage Project. Come in altre nebulose ad emissione, giovani e luminose stelle blu emettono venti stellari ed onde d'urto che ridanno forma al gas che le hanno fatte nascere. Le stelle illuminano solo una piccola cavità all'interno di una più vasta nebulosa oscura.

Gli astronomi sono particolarmente interessati allo studio della formazione stellare nella Piccola Nube di Magellano perché contiene, in proporzione, solo un decimo degli elementi pesanti (più pesanti dell'idrogeno e dell'elio) contenuti nella nostra Via Lattea. Le regioni di formazione stellare, come quella di N81, offrono la possibilità di studiare un modello della formazione stellare dell'universo primordiale, quando l'idrogeno e l'elio del Big Bang erano relativamente incontaminati dagli elementi sintetizzati dalle successive generazioni di stelle.


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