Questo panoramica a colori del centro della Nebulosa di Orione è una delle più grandi fotografie ottenute dal montaggio di singoli fotogrammi dell'Hubble Space Telescope della NASA. Composta da un mosaico di 15 fotogrammi, copre un'area di cielo pari al cinque per cento della Luna piena.
Apparentemente senza fine e tappezzata di preziosi dettagli, presenta una fabbrica di stelle ribollente e turbolenta, immersa in un turbine di gas luminescenti in movimento. Nonostante l'ampiezza dell'immagine sia di soli 2,5 anni luce e quindi non rappresenti che una piccola porzione dell'intera nebulosa, presenta quasi tutta la luce proveniente dalla nube di gas e l'ammasso stellare associato. L'immagine rivela dettagli delle dimensioni di 6 miliardi di chilometri (meno della distanza di Nettuno dal Sole).
Il tempo osservativo dell'Hubble Space Telescope è stato dedicato alla realizzazione di questa panoramica perché la nebulosa è un immenso laboratorio per lo studio dei processi che hanno portato alla formazione del nostro Sole e del Sistema Solare 4,5 miliardi di anni fa. In una sola immagine, però, non potevano essere risolti molti dettagli della nebulosa. Come il Grand Canyon, la nebulosa ha un'incredibile topografia della superficie, con addensamenti di gas al posto delle rocce, ripide pareti e valli illuminate e riscaldate da torrenti di radiazioni ultraviolette emesse dalle quattro stelle centrali chiamate "il Trapezio", visibili vicino al centro dell'immagine.
Oltre al Trapezio, questa "grotta stellare" contiene altre 700 giovani stelle giunte a vari stadi evolutivi. Getti di gas ad altissima velocità emessi da alcune di queste, producono onde d'urto che si muovono a velocità di 160.000 km/h che appaiono come esili archi, a volte con dei noduli brillanti all'estremità (gli esempi più evidenti sono visibili vicino ad una delle stelle in basso a sinistra).
Questo mosaico rivela almeno 153 dischi protoplanetari (scoperti per la prima volta con il Telescopio Spaziale nel 1992 e chiamati proplyd) probabilmente embrioni di sistemi solari che forse in futuro formeranno dei pianeti. (da lungo tempo si pensa che il nostro Sistena Solare sia ciò che resta di un disco simile a quelli osservati, formatosi intorno al Sole appena nato). L'abbondanza di questi oggetti nella Nebulosa di Orione rafforza l'ipotesi che la formazione dei pianeti sia un evento comune nell''universo. I proplyd vicini alle stelle del trapezio (al centro delll'immagine) hanno perso parte della polvere e gas dei che le circondavano. La pressione delle radiazioni delle stelle più calde forma delle code con gli strati più esterni dei proplyd, che si muovono come una banderuola per l'effetto del vento, nella direzione del vento di radiazioni. Oltre ai luminescenti proplyd, sono visibili sullo sfondo chiaro della nebulosa anche sette oggetti scuri dello stesso tipo. La presenza di questi ha permesso agli astronomi di stimare le masse dei dischi in un intervallo compreso tra 0,1 e 730 volte quella della terra.
Ad una distanza di 1.500 anni luce e nello stesso braccio della spirale in cui si trova il Sistema Solare, la Nebulosa di Orione si trova nel mezzo della regione della spada di Orione, nella costellazione di Orione il Cacciatore, che domina il cielo invernale dell'emisfero settentrionale. Le stelle al suo interno si sono formate dal collasso, avvenuto negli ultimi milioni di anni, di nubi di gas interstellare. Le nubi più massive hanno formato le stelle più luminose che risplendono al centro e che, completato il processo di formazione, hanno iniziato ad illuminare le nubi di gas circostanti. Le stelle deboli, più numerose, stanno ancora subendo il collasso gravitazionale delle polveri circostanti anche se sono già diventate sufficientemente calde da risultare luminose.
Informazioni tecniche: per ottenere questo mosaico sono state effettuate 45 riprese nel blu, nel verde e nel rosso tra il gennaio 1994 ed il marzo 1995. Le zone blu indicano la presenza di ossigeno, quelle verdi l'idrogeno e quelle rosse l'azoto. Il bilanciamento cromatico e' simile a quello che vedrebbe un ipotetico osservatore che vivesse nei pressi della nebulosa. Le irregolarità visibili ai bordi del campo osservato e prodotte dall'HST, sono state attenuate sovrapponendo delle immagini ottenute all'European Southern Observatory in Cile da Bo Reipurth e J.Bally e rappresentano circa il 2 per cento dell'area dell'immagine nella parte in alto a sinistra.
Credit: C.R. O'Dell (Rice University), and NASA
I dischi intorno alle stelle giovani (noti anche come dischi circumstellari o protoplanetari), si pensa siano formati per il 99% da gas e dall'1% da polveri. Questa piccola quantità di polveri è però sufficiente a rendere il disco opaco alle lunghezze d'onda della luce visibile. In questo caso i dischi sono visibili poichè si stagliano scuri contro il fondo di gas caldi più luminosi della nebulosa di Orione.
La macchia rossa al centro di ogni disco è una stella giovanissima, di appena un milione di anni (comparata ai 4,5 miliardi di anni del nostro Sole). La massa di queste stelle varia dal 30% al 150% della massa del nostro Sole.
Evolvendosi, i dischi potrebbero formare dei sistemi planetari simili al nostro. Anche se di queste sagome di dischi ne sono state scoperte solo un pugno, sembra che facciano parte di una più numerosa famiglia di oggetti simili che, secondo gli orientamenti attuali, nella Nebulosa di Orione sarebbero comuni.
Mark McCaughrean del Max-Planck-Institute for Astronomy di Heidelberg, in Germania ed il suo collaboratore C. Robert O'Dell della Rice University di Houston, Texas, hanno scoperto i nuovi dischi in una ricerca fotografica ad ampio respiro della Nebulosa di Orione che O'Dell ottenne dall'Hubble tra il gennaio 1994 ed il marzo 1995. Uno studio dettagliato delle immagini dei dischi è stato inviato per la pubblicazione all'Astronomical Journal.
Ogni immagine inquadra uno spazio di 257 miliardi di km (30 volte il diametro del Sistema Solare) e le dimensioni di ogni disco spaziano tra 2 ed 8 volte il diametro del nostro sistema. La differente angolazione tra il disco e la terra spiegherebbe, secondo gli scienziati, la forma circolare o ellittica dei dischi.
Ogni immagine è stata ottenuta con tre riprese della Wide Field & Planetary Camera 2 con filtri a banda stretta che lasciano passare le righe di emissione dell'ossigeno ionizzato (rappresentato dal blu), dell'idrogeno (verde) e dall'azoto (rosso). I gas caldi della nebulosa hanno forti emissioni a tutte queste lunghezze d'onda, fornendo così un fondo luminoso che fa risaltare le sagome dei dischi. In tutti i casi la stella è comunque chiaramente visibile.
Credit: Mark McCaughrean (Max-Planck-Institute for Astronomy), C. Robert O'Dell (Rice University) e NASA
L'immagine a sinistra, a tre colori compositi, è formata dalle immagini delle righe di emissione nel blu verde e rosso della nebulosa. L'immagine a destra è stata ottenuta utilizzando diversi filtri che bloccano le emissioni più forti della nebulosa evidenziando in maniera minore il disco stesso dal fondo meno brillante. Sono però ben visibili, sopra e sotto il piano del disco, delle nebulosità (le zone più chiare), che indicano la presenza della stella al centro della nube che non può essere osservata direttamente poiché nascosta dalla nube stessa.
Le immagini sono state ottenute tra il gennaio 1994 ed il marzo 1995 e lo studio delle loro caratteristiche è stato inviato per la pubblicazione all'Astronomical Journal.
Credit: Mark McCaughrean (Max-Planck-Institute for Astronomy), C. Robert O'Dell (Rice University) e NASA