Le caratteristiche di questo corpo celeste sono veramente notevoli, a iniziare dalla massa: ben due volte e mezzo la somma di quelle di tutti gli altri pianeti del sistema solare! La sua struttura interna è molto diversa da quella terrestre. Infatti, Giove è costituito essenzialmente da idrogeno ed elio arricchiti da fosfina, acido solfidrico e piccole percentuali di idrocarburi.
Sotto la spessa coltre di nubi, che lo avvolge senza soluzione di continuità, troviamo un "guscio liquido" di idrogeno ed elio che modifica le sue caratteristiche man mano che procediamo in profondità. Solo nello strato più interno troviamo un piccolo nucleo di roccia e ghiaccio, sottoposto alla pressione di oltre tre milioni di atmosfere.
Giove ruota velocemente attorno al suo asse (sul pianeta il giorno dura meno di dieci ore) e questo causa un forte schiacciamento ai poli, visibile già in un piccolo telescopio. Il giorno gioviano, inoltre, non è uguale per tutto il pianeta: a latitudini equatoriali dura circa cinque minuti in meno che nelle altre zone.
Questo fa sì che si debbano adottare due sistemi di coordinate per misurare la longitudine dei particolari osservati. Il Sistema I viene usato per le longitudini comprese tra -10° e +10° di latitudine e il Sistema II per tutte le altre zone.
Dalla Terra possiamo osservare solo la spessa atmosfera che avvolge il pianeta. Questo può sembrare un grosso limite, ma chi osserva periodicamente Giove sa bene quanto il suo aspetto sia mutevole di anno in anno o, addirittura, di mese in mese.
Infine il pianeta è circondato da un gran numero di satelliti. I più famosi sono Io, Europa, Ganimede e Callisto, chiamati anche satelliti galileiani o medicei, che permisero a Galileo di indicare un esempio concreto di ciò che sostenenva la teoria eliocentrica.
Le eclissi di Sole causate dai satelliti galileiani sono visibili come puntini scurissimi che si muovono velocemente sul disco del pianeta. No vanno dimenticate le eclissi e le occultazioni dei satelliti da parte di Giove, molto suggestive perché li si vede sparire o riapparire velocemente dal cono d'ombra del pianeta.
Passando ad un telescopio da 8 cm di diametro, si comincia a notare che le due bande equatoriali sono spesso irregolari. Non è raro, infatti, osservare pennacchi o festoni che ne rompono la simmetria. Inoltre, con questo tipo di telescopi si può iniziare a riconoscere il colore delle formazioni più evidenti.
Con strumenti da 12cm in su, il numero dei particolari visibili cresce in modo esponenziale. Si possono osservare le bande principali, spesso divise in due componenti, a volte spezzate in modo irregolare o con evidenti "baie" che ne assottigliano lo spessore. La Macchia Rossa può apparire strutturata al suo interno e il colore risulta più evidente (anche se negli ultimi anni sembra essersi sbiadito un po').
E' anche molto facile vedere piccoli ovali chiari o zone di elevata turbolenza, soprattutto al confine delle bande principali, dove la violenza delle correnti gassose è evidentissima.
Infine, con un po' di fortuna, si può assistere all'evoluzione della scomparsa e del revival di una banda, fenomeni relativamente frequenti che perturbano in modo violento l'aspetto del pianeta per mesi o anni.
Naturalmente, per poter osservare tutti i particolari descritti bisogna acquisire una certa esperienza nell'osservazione planetaria. Molti osservatori casuali rimarrebbero distaccati leggendo la descrizione dei fenomeni potenzialmente visibili. Per questo motivo, conviene illustrare, sia pure per sommi capi, le tecniche osservative che permettono di ottimizzare i risultati di un'osservazione planetaria, per non rimanere delusi e pensare che sia un'attività praticabile con successo solo con grandi telescopi.
Un concetto molto importante da ricordare è l'adattamento dell'occhio alle condizioni di osservazione. Qualsiasi tipo di osservazione astronomica inizia ad essere soddisfacente solo quando l'occhio si è adattato ai bassi livelli di illuminazione e il cervello inizia a sommare le immagini di qualche minuto di osservazione. Solo a questo punto, riusciamo a scorgere i particolari più fini e ad avere una visione nitida dell'oggetto nell'oculare.
Quindi, è consigliabile osservare continuamente il pianeta per almeno dieci minuti. Infatti col passare del tempo incominceremo a scorgere i dettagli che inizialmente non avevamo visto. Naturalmente, è meglio evitare di essere disturbati da forti luci, anche se l'inquinamento luminoso tipico delle nostre grandi città non preclude assolutamente una buona osservazione planetaria.
Un altro fattore da non sottovalutare è la turbolenza atmosferica, comunemente definita seeing. Infatti, i pianeti richiedono un buon seeing, dato che vogliamo osservare immagini ad alta risoluzione. Quindi, per evitare di perdere tempo e ore di sonno, si deovno scartare sempre serate di cattivo seeing, perché non riusciremmo a vedere nulla di interessante.
Al seeing è legata anche una scelta importante: gli ingrandimenti da usare. Infatti, capita spesso di usare un ingrandimento eccessivo, sia per il telescopio posseduto che per il seeing medio dela serata. Il risultato sarà un'immagine impossibile da mettere a fuoco per bene o, nel migliore dei casi, un disco poco dettagliato. Inoltre, non dimentichiamo che il contrasto delle immagini planetarie è quasi sempre molto basso. Quindi, più ingrandiamo, più rendiamo i dettagli evanescenti e la nostra osservazione di qualità mediocre.
A questo punto, è lecito chiedersi che tipo di oculari siano più adatti all'osservazione planetaria. Senza approfondire troppo la questione, si può dire che gli oculari ideali non devono avere difetti di aberrazione acromatica, riflessi interni, un eccessivo assorbimento della luce incidente e una focale troppo lunga (per non dare ingrandimenti troppo bassi).
Quindi, normalmente la scelta si limita agli oculari di tipo ortoscopico e ai Plossl. Si può anche considerare l'acquisto di una lente di Barlow, a patto che questa sia di ottima fattura per non degradare eccessivamente le immagini. Infatti, a volte è necessario usare focali molto corte (6mm ad esempio) che obbligano l'occhio a rimanere molto vicino all'oculare. Questa condizione può essere fastidiosa, specie nei periodi invernali per problemi di appannamento. Invece, con una Barlow è possibile evitare questi inconvenienti, a patto di sacrificare leggermente la qualità dell'immagine.
Anche nella scelta dei filtri bisogna sempre considerare le caratteristiche del proprio telescopio. Infatti, non ha senso usare un filtro molto denso come il Wratten 47A (trasmette solo il 3% della luce incidente) su un rifrattore da 8cm o un riflettore da 114mm, dato che non si riuscirebbe quasi più a vedere il pianeta!
Inoltre, non si deve mai scordare che i filtri usati diventano parte del sistema ottico che stiamo usando e quindi devono essere di ottima qualità, per non peggiorare l'immagine. Dunque, è meglio scegliere modelli in vetro, con facce rigorosamente pianoparallele e trattamento anti-riflesso. Se possibile, poi, si scelgano filtri costruiti riferendosi alla serie Wratten (Kodak) considerati uno standard per la fotografia professionale. Questo è importante soprattutto se li si vuole utilizzare anche fotograficamente o per partecipare a programmi internazionali di osservazione metodica.
Come si diceva sopra, la scelta del filtro è sempre legata alla strumentazione utilizzata. Ciononostante, è possibile descrivere sommariamente gli effett principali di alcuni filtri di più comune impiego.
Una volta individuato, sarà facile prevedere dove si troverà l'anno seguente, dato che il suo periodo di rotazione attorno al Sole è di circa dodici anni. Di conseguenza, non farà altro che spostarsi nella costellazione zodiacale successiva, posticipando il giorno della sua opposizione di circa un mese.
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